13 luglio 2010

Orfani bianchi in Romania

Cari tutti,
a latere degli impegni istituzionali a Strasburgo e a Bruxelles (Commissioni, Plenaria, riunioni di gruppo) spesso promuoviamo, in Parlamento, degli incontri per sollevare dei temi specifici.

Tra questi ve ne è stato uno che sento il bisogno di condividere con voi, anche emotivamente, il tema degli orfani bianchi in Romania, che abbiamo affrontato in un incontro, promosso da me e David Sassoli, a Strasburgo, con la testimonianza dell’Associazione L’Albero della Vita Onlus, che ha presentato il dossier "Left Behind - La famiglia transnazionale e gli orfani bianchi nella Moldavia Romena" .

Naturalmente parliamo di Romaniaperché là il fenomeo è più esteso che altrove, ma riguarda anche altri paesi dell'Europa orientale e altri paesi vicini come l'Ucraina.

Da tempo sto lavorando, anche con altri colleghi, sul tema dell’infanzia in Romania: le problematiche sono diverse, dalle adozioni bloccate, agli orfani bianchi, allo sfruttamento minorile.

Sono realtà su cui anche tantissimi italiani sono attivi, con progetti specifici, a partire da don Gino Rigoldi, don Virginio Colmegna e i Padri Somaschi, ciascuno con forme diverse, in base al carisma specifico della sua opera, ma tutti con grande passione e generosità.

Nell’incontro sono emersi dati davvero spaventosi: sono 350 mila gli "orfani bianchi" che vivono in Romania senza uno o senza entrambi i genitori, migrati per garantire ai figli un futuro migliore, e rappresentano complessivamente il 7% della popolazione minorile. Il paradosso è che, mentre vanno a vivere in altri paesi per dare un contributo ai figli, li abbandonano con gravisssime conseguenze fisiche, sanitarie e psicologiche.

Nel dettaglio, sarebbero 157 mila i bambini che attualmente hanno il padre all'estero, 67 mila solo la mamma, mentre più di un terzo, ossia 126 mila, sarebbero privi di entrambi i genitori. Metà degli "orfani bianchi" ha meno di 10 anni. Tra questi, più della metà ha tra i 2 e i 6 anni, solo il 4% ha meno di un anno. Il 16% di questi bambini è stato più di un anno lontano dai propri genitori. Il 3% addirittura più di quattro. In totale sarebbero 4 milioni i rumeni emigrati. Il 15% delle famiglie della Romania ha almeno un componente della famiglia all'estero. Se ad emigrare è il padre, il 21% dei figli non lo vede per 2-4 anni consecutivi, il 28% per un tempo ancora più lungo. Se sono le donne ad essere lontane, la famiglia estesa diventa un supporto fondamentale: solo il 58% dei bambini vive con il proprio padre rimasto in patria, gli altri con i vicini o persone più o meno presenti.

Si stima che finora il fenomeno abbia coinvolto più di 750 mila bambini, in questi ultimi anni.

Questa mia mail vuole semplicemente essere uno spunto per una riflessione ed una condivisione con voi di un problema che mi ha toccato molto. Dovremmo "vedere" il tema degli stranieri presenti in Italia per lavoro anche sotto quest'ottica: cioè pensando alla loro famiglia lontana e "sfaldata". Inoltre faccio presente che l'attuale dimensione della crisi economica sta spingendo fortemente anche molti dei Paesi dell'Europa orientale a spostarsi verso "occidente" per cercare lavoro.

Ringraziandovi per l’attenzione, vi saluto cordialmente e resto a disposizione per chi volesse approfondire.



Patrizia Toia

VIAGGIO ALL’INFERNO: ANDATA E RITORNO

“Ciao, come stai, tutto bene?”: francamente, penso che pormi una domanda siffatta sia quantomeno irrispettoso della mia vicenda personale e di quanto la vita mi abbia riservato. Soprattutto questo, quando a chiederlo sono persone che non sono mai entrate nella mia vita, né mai avranno intenzione di farlo forse perché mi reputano solo uno “sfigato in carrozzina”, uno dei tanti scomodi in questa società di vincenti. O forse ancora, perché in modo molto presuntuoso pensano sempre di stare meglio di me, magari nel loro triste ed incolore: ”Tiro avanti”.
Se non amate i gusti forti della vita, beh, allora il consiglio è di chiudere il giornale ed interrompere subito la lettura di questo articolo.
A raccontarla tutta sinceramente, sono stati quasi due anni di m. . . ., da quando, nell’agosto 2008, mi si aprì una piaga a livello ischiatico (sotto la natica destra- N.d.R.), conseguenza del mio procedere forzatamente su una sedia a rotelle. In questo periodo, ho visto la faccia speculativa della ns. Sanità, quella che vive di medicazioni inconcludenti e senza finalità, solo per gonfiare il bilancio di una clinica privata. Clinica ovviamente convenzionata secondo il regime imperante nella nostra Regione. Con una “pietas umana” rivestita solo di bassi interessi economico-politici, sono stato per circa un anno e mezzo nel girone dantesco dei “senza speranza”, di quelli, giovani e non, che passano il loro tempo in lunghe e vuote attese presso ambulatori medici. Dove, nella coda interminabile di pazienti, io ero solo uno dei tanti sfortunati, neanche degni di “disturbare” la fitta agenda d’impegni del sommo ed illustre primario. Beninteso, non sto denigrando tale medico, sicuramente meritevole dal punto di vista professionale di aver inventato ed allestito un servizio di vulnologia in questa clinica di Monza: sicuramente più di qualcuno è stato salvato da questa scontrosa figura medica. Dire però, come la mia infermiera del servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) che quella clinica sia il posto migliore dove curarsi le piaghe, insieme ad un’altra clinica privata convenzionata della Lombardia, penso sia francamente troppo. A Monza, per fortuna, ci sono anche ospedali pubblici, dove le persone lavorano più in silenzio e nell’ombra, senza esporre nessun cartello altisonante. La qualità della cura mal si concilia con la quantità: gli angeli poi, ti aiutano proprio così, nel silenzio e mettendosi poi nascosti sulla nostra spalla.
Ora, dopo il ricovero di 23 giorni, una lunga e paziente degenza, torno alla vita, sempre più convinto che il mio compito in questo mondo sia di essere felice speranza, per me e per tutti quelli che stanno intorno a me, per quelli che mi vogliono bene ed anche per quelli che me ne vogliono un po’ di meno. Voglio vivere il resto dei miei giorni, cercando sempre di cogliere il mezzo bicchiere pieno della vita, fino a che anche una sola goccia di lacrime lo riempirà. Ed ora fatemi chiudere con questa battuta: “La vita è anche una questione di sedere, si sa, ma vivere col sedere chiuso è un gran bel vivere”.

“Felice Speranza”