8 novembre 2011

Berlusconi non ha più la maggioranza. Il rendiconto: solo 308 voti.

L'Aula approva il rendiconto ma solo con 308 voti, lontano dai 316 necessari per avere la maggioranza.
L'opposizione presente non vota. In totale sono 321 i parlamentari che han
no negato il sì al Governo.




Pier Luigi Bersani è il primo a parlare subito dopo il voto:«Rassegni le dimissioni, qui faremo la nostra parte per il Paese. Se lei non lo facesse le opposizioni considererebbero iniziative ulteriori perché così non possiamo andare avanti».

Al Cavaliere la scelta su come uscire dallo stallo, ma a questo punto il de profundis del Governo ormai è inevitabile.

"Alla Camera è andata in onda davvero la resa dei conti - ha detto
Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del PD al Senato - Berlusconi non ha più una maggioranza parlamentare. Se nella maggioranza c'è ancora qualcuno che ha a cuore l'Italia convinca Berlusconi a dimettersi subito. Se il premier non lo farà dimostrerà di essere un irresponsabile nei confronti del Paese".

Dimissioni il grande bluff. Cronaca della giornata di ieri.

La maggioranza non esiste più e il voto di fiducia di oggi porta non poche preoccupazioni al premier, alla Lega e alla maggioranza.
Di contro le opposizioni unite dimostrano ancora di più che il governo Berlusconi è giunto ormai ai titoli di coda.

Italia: un giovane su quattro non studia nè lavora.


Sono 2,2 milioni i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni che non studiano nè lavorano. Idati sono stati comunicati da Bankitalia. In percentuale sono il 23,4% della popolazione in questa fascia d'età. Sono definiti "Neet" (dall'inglese not in education, employment, training).
La percentuale dei 'neet' tra le donne supera il 26%, contro il 20% degli uomini

La nota del mattino del 08 novembre 2011


1. SCATTA PER L’ITALIA IL TIMER GRECO, LO SPREAD CONTINUA A CRESCERE. PIU’ PASSA IL TEMPO E PIU’ SAREMO COSTRETTI AD AFFIDARCI ALLE MEDICINE DECISE DA ALTRI.
Altro che stiamo meglio degli altri. Tutto ciò che sta accadendo segnala che per l’Italia è scattato lo stesso timer della Grecia.
Da La Repubblica. Articolo di Maurizio Ricci. “Il timer è partito. Se si segue la logica e l`esperienza degli ultimi due anni sui mercati, l`Italia non ha più di tre settimane per ricondurre il costo del suo debito a livelli più sostenibili. Si deve far scendere il tasso sui Btp decennali sotto il 6,50%. Eppure, esattamente fra 15 giorni di contrattazioni, a partire da ieri, cioè il 25 novembre, l`Italia e l`Europa si troveranno di fronte alla scelta fra un piano di salvataggio di dimensioni gigantesche e la bancarotta del debito italiano, con l`apocalisse dell`euro. Ma il timer potrebbe essere anche più veloce: la spirale finale potrebbe cominciare ad avvitarsi già da venerdì prossimo, fra soli quattro giorni, quando le autorità che regolano i mercati potrebbero decidere un ulteriore rincaro del debito italiano, perché ritenuto troppo rischioso. Né l`una né l`altra sono predizioni. Sono i calcoli ad occhio che fanno operatori ed analisti, sulla base di quanto è sinora avvenuto in questa crisi europea. In particolare, in Grecia, Irlanda e Portogallo, i tre paesi per cui è stato necessario un salvataggio europeo. In media, nei tre paesi, i titoli decennali sono stati trattati ad un tasso superiore al 5,5% per 43 giorni, prima di superare stabilmente la soglia del 6%. Poi, sono rimasti per altri 24 giorni sopra quota 6, prima di scavalcare, in modo continuativo, il 6,50%. Da qui, sono bastati 15 giorni di mercato per sfondare il 7%, largamente ritenuto un livello insostenibile. L`Italia è un paese di un`altra categoria, con fondamentali più solidi e un`economia molto più grande. Ma anche con un debito, in cifre assolute, enormemente superiore: 1.900 miliardi di euro, oltre cinque volte il debito greco. E il percorso dei titoli italiani è sinistramente simile, per certi versi anche più inquietante. I1 Btp decennale è stato trattato sopra il 5,50% per 40 giorni, prima di superare il 6%. E` avvenuto i1 28 ottobre. Da allora è bastata una sola settimana (e non 24 giorni) per arrivare sopra il 6,50%. Se non dovesse scendere stabilmente a quote più respirabili, il finale di partita potrebbe essere anche più rapido di quanto avvenuto ad Atene, Lisbona e Dublino”…..
2. OGGI SI VOTA SUL RENDICONTO. PROVA GENERALE PER VEDERE QUANTI VOTI HA LA MAGGIORANZA ALLA CAMERE. LE OPPOSIZIONI UNITE PER FAR CADERE BERLUSCONI. SI LAVORA ALLA COMPOSIZIONE DI UN GOVERNO DI SALVEZZA NAZIONALE. MA NON A TUTTI I COSTI.
Questa mattina i capi gruppo dei partiti di opposizione decidono come affrontare il voto sul rendiconto dello Stato. La maggioranza si sta sfaldando. Perfino la Lega, che finora ha sostenuto a spada tratta il governo, non ci crede più. Tutti si rendono conto che il tempo stringe e che bisogna voltare pagina. Si lavora alla formazione di un governo tecnico che possa affrontare l’emergenza e riformare la legge elettorale. Ma per fare questo passaggio c’è bisogno del concorso di tutti, della scelta di una personalità riconosciuta a livello internazionale e di un programma concordato, che
non sfoci in macelleria sociale. Niente ribaltoni dunque. Niente governo di centrodestra con sostegni esterni. Niente pasticci.

BERLUSCONI SI LASCIA ALLE SPALLE LE PRESSIONI INTERNAZIONALI, GUARDA AGLI INTERESSI DI FAMIGLIA E PUNTA A RESISTERE FINO A NATALE PER PORTARE LUI IL PAESE ALLE ELEZIONI.
Da Il Corriere della Sera. Articolo di Massimo Franco. “L`obiettivo berlusconiano, tuttavia, non è quello di durare molto: gli basta resistere il tempo necessario per evitare qualunque tentazione o, peggio, possibilità di dare vita a una maggioranza diversa. La maggioranza non martella sugli effetti devastanti che questa fase politica sta avendo per i risparmi degli italiani; né mette in primo piano la mancanza di credibilità internazionale del premier. Insiste invece sul pericolo di un «ribaltone» che sarebbe «un colpo di Stato». E quella che i fedelissimi chiamano «strategia del panettone natalizio»: una resistenza mirata a garantirgli di restare in sella fino a dicembre; e di guidare lui l`Italia verso le elezioni anticipate. Pazienza se nel frattempo il Paese viene bersagliato in modo spietato dagli speculatori. Berlusconi si propone oggi come unico rappresentante italiano della politica di austerità richiesta dall`Europa e dal Fondo monetario internazionale. Quando fa sapere che nel maxiemendamento che sarà presentato fra qualche giorno al Senato ha inserito anche lo «spirito» della lettera di intenti presentata il 26 ottobre scorso all`Ue, annuncia una sfida. Se il governo cadrà su quella, il premier potrà additare come antieuropei gli avversari; e costruirci sopra la campagna elettorale. Si tratta di un gioco d`azzardo nel quale è maestro”…
Da La Repubblica. Articolo di Miguel Gotor. “Berlusconi si muove sull`orlo del baratro e nelle ore decisive incontra a Milano i figli e il fido Confalonieri, la famiglia e l`azienda, a ribadire la matrice privatista della sua gestione della cosa pubblica. Non sappiamo quando, ma l`albero di Berlusconi cadrà di schianto e le borse voleranno. Sarà anzitutto un bene per l`Italia perché prima degli interessi di una parte, vengono quelli nazionali, da troppo tempo umiliati e offesi. Dal giorno dopo, si apriranno due possibili scenari che implicano un differente giudizio sulla stagione berlusconiana e una diversa valutazione del grado di drammaticità raggiunto dall`attuale emergenza italiana sul piano economico e civile. Il primo di essi vede una soluzione della crisi dentro il recinto delle attuali forze di governo con Berlusconi che accetta di fare un passo indietro in favore di Schifani o di Letta in cambio dell`allargamento della maggioranza al Terzo polo. Tale proposta ha il limite di interrogare la solidità del patto politico tra Futuro e Libertà e l`Udc, verosimilmente dividendolo. Ai seguaci di Fini potrebbe bastare un Berlusconi in panchina per rientrare nell`ovile da dove sono stati cacciati, con l`intenzione di capitalizzare il risultato e di provare a riprendersi i voti di destra ancora disponibili in quell`area. Casini, però, ha rotto con Berlusconi prima delle elezioni e quindi l`eventuale passo indietro del Cavaliere non sarebbe una ragione sufficiente a rientrare nei ranghi, tanto più che, seppure nelle retrovie, riuscirebbe ancora a condizionare il gioco della squadra. In fondo una simile soluzione si limiterebbe a prolungare l`agonia dell`attuale maggioranza: un`agonia alla quale il leader dell`Udc, inspiegabilmente, deciderebbe di aggiungere in articulo mortis il suo partito, scegliendo di tornare su una barca che sta affondando, dopo avere avuto il coraggio di abbandonarla quando aveva il vento in poppa. Il secondo scenario, di gran lunga preferibile in base agli interessi dell`Italia, è quello evocato domenica scorsa da Eugenio Scalfari, ossia un governo di larghe intese odi responsabilità nazionale affidato
a un`autorità terza, in grado di rassicurare i mercati e di unire un insieme di forze destinate poi a separarsi di nuovo dopo avere raddrizzato la rotta italiana. Il Pd si è detto disponibile a una soluzione del genere, ma ha contemporaneamente escluso il sostegno a qualunque forma di ribaltone. Si tratta di una posizione comprensibile perché dal 14 dicembre 2010 di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Nel frattempo la crisi economica ha raggiunto un livello tale che non sarebbe possibile affrontarla con un governo privo del sostegno dei vincitori del 2008, non legittimato dal voto popolare e per di più esposto alla mercé di nuovi transfughi, questa volta a parti invertite: ieri Scilipoti, uscito dall`Idv, oggi gli Antonione e le Carlucci, usciti dal Pdl. È un film già visto e dagli esiti paradossali: non solo lascerebbe a Berlusconi e a Bossi una formidabile arma di propaganda in vista delle prossime elezioni, ma caricherebbe sulle spalle delle opposizioni di ieri il peso di interventi strutturali da fare oggi per affrontare un`emergenza non provocata da loro. In questo ambito, dunque, l`unico scenario possibile, è quello di una grande coalizione tra Pdl, Pd e Terzo polo. Non bisogna, però, far finta di non vedere il nodo politico di fondo: a prescindere dal profilo del presidente del Consiglio, quest`ipotesi, per essere realistica, prevede il coinvolgimento del Pdl e del Pd in un governo comune, una scelta che significherebbe la fine del bipolarismo italiano non per via elettorale, ma per libera scelta delle due forze principali del Paese, in base a una convergenza di interessi che non sembra avere una base politica solida su cui poggiare. Permangono, inoltre, alcune contraddizioni significative: è possibile andare oltre Berlusconi con il sostegno del partito di Berlusconi e salvare l`Italia con l`appoggio di quanti, avendo governato otto anni degli ultimi dieci, hanno svolto un ruolo determinante nel provocare l`attuale situazione? Non a caso, questa proposta diventa improvvisamente evanescente quando si provano a individuare i soggetti del Pdl che potrebbero sostenerla. Un gruppo consistente di volenterosi, che sarebbero subito accusati di alto tradimento, o tutto il partito? Ma è mai credibile che una forza fino a oggi giudicata padronale, sia capace all`improvviso di riscoprire l`autonomia della politica contro la volontà del proprio capo carismatico? Perché qui sta il punto. Il Pdl in questi anni ha tutelato gli interessi legittimi e persino illegittimi di Berlusconi e proprio la soluzione tecnocratica proposta è quella che il Cavaliere, insieme con la Lega, maggiormente ostacola poiché costituirebbe l`umiliazione più cocente. In una partita come questa contano anche la psicologia e la biologia: Bossi e Berlusconi sono troppo accorti per non sapere di essere due leader ormai al tramonto che non hanno nulla da perdere avendo già giocato nel corso di quasi vent`anni la loro partita e con qualche reciproca soddisfazione. Entrambi vorranno rivendicare il privilegio di scegliere l`arma con cui combattere l`ultima battaglia e sono disposti a farne un punto di onore, levandosi il gusto di guardare in faccia i disertori. Tutto lascia pensare che preferiranno la sfida a viso aperto, chiamando il popolo all`appello su una piattaforma radicale di carattere populista e antipolitico costruita intorno ai rispettivi miti di origine, piuttosto che darla vinta ai traditori di sempre (Fini e Casini) o, peggio ancora, a delle ipotesi tecnocratiche. Berlusconi per contare i fedelissimi di oggi da ricollocare in un Parlamento di domani con una nuova energia contrattuale; Bossi per rigenerare la Lega dall`opposizione su una piattaforma secessionista. La strada delle elezioni sarà quella che Berlusconi e Bossi proveranno a imporre al Paese come prezzo per uscire di scena: a tutela dei propri interessi e contro il bene comune dell`Italia, ma nessuno potrà dirsi stupito di ciò”.