12 dicembre 2011

Manovra, Enrico Letta intervistato da l'Unità.

Non nasconde i malumori interni al PD, le diverse sfumature rispetto allo sciopero generale, l’enorme fatica che i democrat dovranno fare per spiegare al loro elettorato che era inevitabile attraversare la tempesta.
Ma Enrico Letta aggiunge: «Noi stiamo dimostrando che l’azione riformista del PD è in grado di far cambiare le cose e questo dovrà essere il metodo di lavoro anche per i prossimi mesi».

Indicizzazione delle pensioni fino a 1400 euro, ammorbidimento dello “scalone”, agevolazione per l’Ici prima casa.
Quanto riuscirete ad ottenere?

«Il tavolino a tre gambe – risanamento, crescita e equità – con questa manovra è uscito fuori azzoppato. Per questo sono sicuro che le uniche modifiche riguarderanno proprio l’equità».

Come cresce un Paese se ceto medio e fasce più deboli rischiano addirittura di rimanere amputate per l’accettata che, per ammissione della stessa ministra Fornero, è stata inferta?

«È esattamente questo il punto. Le persone più deboli economicamente, i pensionati e gli italiani che vivono contando anche l’ultimo centesimo, devono sentire che c’è un governo che dà loro fiducia, che tiene conto dell’enorme fatica che fanno».

Susanna Camusso traccia la «linea rossa» sull’indicizzazione delle pensioni almeno a 1500-1600. Sarà possibile raggiungerla?

«Di sicuro la cifra stata stabilita in manovra è troppo bassa e deve salire il più possibile. Non si vive bene con 1200-1300 euro al mese e sono milioni gli italiani in questa situazione. Non a caso il primo provvedimento che prese Romano Prodi quando andò al governo fu quella di aumentare le pensioni minime».

Quei soldi dovrebbero arrivare da una maggiore tassazione dei capitali scudati. l tecnici delle commissioni parlamentari hanno dubbi sulla effettiva possibilità di rintracciarli.

«Quella decisione non salta, ha già passato il vaglio del Capo dello Stato, i dubbi posti si verificheranno nella fase dell’attuazione. Quei capitali vanno tassati e si deve passare dall’1,5% previsto oggi almeno al 5% e i titolari di quei capitali devono anche dire grazie perché rispetto al resto d’Europa gli andrebbe piuttosto bene».

Il PD torna a dire che bisogna avviare l’asta sulle frequenze. Berlusconi, per ovvi motivi, non è d’accordo.

«E noi invece siamo convinti che si debba fare. Non si possono chiedere ai pensionati sacrifici mentre si regalano le frequenze a Rai e Mediaset. Siamo convinti anche che si debba fare l’accordo con la Svizzera sui capitali italiani depositati nella Repubblica elvetica».

Ma il ministro Giarda dice che il governo non ci pensa perché su quei trattati ci sono dubbi della Commissione Europea.

«Noi insistiamo e diciamo al governo che se lo hanno fatto i tedeschi, che oggi danno lezioni in Europa, non si capisce perché non dovremmo farlo noi».

Mario Draghi invoca, dopo la manovra, misure per la crescita. Non pensa che sia questo il vero problema?

«Draghi ha ragione ma d’altronde Monti l’ha detto quando è venuto alla Camera: presto arriveranno provvedimenti in materia di infrastrutture, green economy, sburocratizzazione e, dall’anno prossimo, di riforma fiscale. Tuttavia, credo sia importante spiegare che già in questa manovra ci sono misure importanti per la crescita e che forse sono state sottovalutate. Parlo dell’Irap, che è finalizzato a giovani e donne, e la cosiddetta Ace, la norma che ricorda molto le norme di Vincenzo Visco, sulla capitalizzazione delle imprese».

Il ministro Passera ha detto che presto partiranno i cantieri per le infrastrutture. Si fa fatica a crederlo.

«Noi invitiamo il governo a presentare quanto prima questi interventi. Sulle infrastrutture la nostra filosofia è molto semplice: si mettano da parte le opere faraoniche, come il ponte sullo Stretto, e si usino quei fondi per le opere immediatamente cantierabili, sono circa cento e sono quelle più necessarie. Ma anche sulla green economy serve un’accelerazione perché quello è il futuro e il PD ha al riguardo proposte molto forti».

Letta, durante la riunione del gruppo alla Camera nel PD sono emersi moltissimi malumori. Lei è sicuro che il suo partito riuscirà a superare la fase della transizione senza lacerazioni?

«È chiaro che questa manovra è dura, che alcune misure non vanno bene, ma un grande partito riformista come il nostro deve lavorare per dare il proprio contributo, anche in questa fase. Ho la forte speranza che questa sia l’ultima manovra, dopo della quale avremo i conti pubblici più in ordine d’Europa. Se superiamo questo momento, che è un pezzo dell’eredità Berlusconi, possiamo iniziare a pensare alle misure sulla crescita».

Alla fine si voterà il “mini-maxiemendamento” del governo con la fiducia?

«Credo di sì. Penso che si interverrà su indicizzazioni e scalone delle pensioni e Ici prima casa: tre punti su cui le forze politiche troveranno una quadra. Questa trattativa con il governo è molto importante anche per il futuro: è la dimostrazione che i tre partiti maggiori che appoggiano il governo non hanno soltanto una funzione “passiva”, cioè votare le misure”, ma un ruolo influente. Il PD, anche in queste ore sta dimostrando che la via riformista ottiene risultati. Sia una lezione per chi minaccia l’Aventino».

In queste ore si sta dimostrando anche sempre più difficile il rapporto con l’Idv.

«Questo è un problema di Antonio Di Pietro, deve decidere se vuole lottare con noi in parlamento o fare come la Lega».

Forse sospetta manovre in vista delle prossime elezioni.

«La verità è che non si rassegna al fatto che Berlusconi non è più a Palazzo Chigi e sta dando l’idea che era in politica solo perché c’era Berlusconi dall’altra parte. Noi ci siamo a prescindere da chi c’è, siamo qui per il Paese».

Letta, ma invece in casa PD tra lei e Fassina le distanze sono grandi. Anche sullo sciopero unitario dei sindacati.

«Non è una questione personale. Io sono felicissimo per la scelta unitaria dei sindacati sullo sciopero, ma penso che bisogna distinguere i ruoli. Noi oggi abbiamo la responsabilità di cambiare la manovra in Parlamento e la reciproca autonomia fa bene sia al partito sia ai sindacati, che si tratti della Cgil, della Cisl o della Uil».

Andiamo in Europa. Sarkozy dice che non ci sarà una seconda possibilità dopo questo vertice.

«Questo sarà un vertice fondamentale, ma credo che il PD debba dare un proprio contributo: alzare la bandiera degli Stati uniti d’Europa dei quali deve far parte solo chi ci crede perché dalla crisi non si esce se accanto alla moneta non si mette il governo politico ed economico dell’Europa. E oggi, con Monti, soprattutto dopo questa manovra che rafforza il Paese, cambia la prospettiva europea, perché è l’unico primo ministro dichiaratamente federalista europeo, partigiano degli Stati uniti d’Europa».

Conferenza di Durban in extremis un accordo.

I delegati riuniti a Durban per la 17esima Conferenza mondiale sul clima organizzata dall’Onu (COP17) hanno raggiunto nella notte un’intesa «storica», secondo il presidente della conferenza e ministro degli esteri sudafricano Maite Nkoana-Mashabane. È stato un compromesso in extremis, visto che i lavori si sarebbero dovuti concludere teoricamente venerdì. Ma i rappresentanti dei vari paesi hanno negoziato per altre 36 ore, fino alle 4.30 (ora italiana) di domenica.

L’accordo prevede innanzitutto il rinnovo del protocollo di Kyoto, che scade il 1 gennaio 2013. A Durban, invece, si è stabilito che debba durare fino ad un massimo di altri cinque anni, anche se Russia, Canada e Giappone non hanno accettato questa decisione. Ma soprattutto, la Conferenza ha deciso che tutti i paesi dovranno arrivare, entro il 2015, a un accordo più severo contro le emissioni di carbonio. Il piano era stato inizialmente definito come una vera e propria roadmap, con date e impegni stabiliti con precisione, per la quale hanno insistito l’Unione Europea, le piccole isole dell’AOSIS (Alliance of Small Island States, per la maggior parte nel Pacifico e nella zona caraibica) e il blocco dei paesi meno sviluppati, i cosiddetti LDC (Least Developed Countries).

Ma proprio i termini e le scadenze stabilite dalla roadmap hanno rallentato molto i lavori. La Cina e soprattutto l’India, infatti, erano contrarie perché consideravano l’accordo troppo vincolante a livello legale. Per questo, attraverso la mediazione del Brasile, si è raggiunta l’intesa su una dicitura più complessa di quella iniziale, ossia “soluzione concertata avente forza di legge”, ma che non cambia di molto la sostanza. Una volta stabilito da tutti i paesi, il nuovo piano dovrà essere messo in pratica dal 2020.

La Conferenza ha raggiunto inoltre un accordo sul cosiddetto “Fondo verde” per il clima, che dovrebbe aiutare le nazioni povere a combattere il surriscaldamento globale. Ancora non è chiaro come verranno finanziati i 100 miliardi di dollari previsti dal Fondo, ma tutti i paesi hanno approvato la sua istituzione.

I delegati non tornano dunque a mani vuote da Durban, anche se gli accordi restano ancora abbastanza vaghi. Secondo Michael Jacobs, dell’istituto di ricerca Grantham di Londra per i cambiamenti climatici, «siamo ancora sulla strada verso il surriscaldamento di 4 gradi della Terra» ma è stato comunque un buon risultato «costringere tutti i paesi a migliorare le loro politiche ambientali entro il 2015».

Inoltre, la Conferenza ha mostrato le spaccature già viste in passato, con i paesi emergenti (Sudafrica, Brasile, India e Cina) che rimproverano ai paesi industrializzati duecento anni di inquinamento, per i quali non vogliono essere loro a pagare le conseguenze. Tuttavia, dopo Durban lo scenario è cambiato, almeno in linea di principio. Infatti, mentre secondo il Protocollo di Kyoto i paesi in via sviluppo non sono legalmente obbligati a ridurre le emissioni, ora dovranno rispettare le regole come quelli sviluppati, anche se solo dal 2020.

fonte IL POST.