17 gennaio 2012

Crac Pellicano: Ponzoni non si trova, arrestato A. Brambilla Vice Presidente di MB.

Fonte il Giorno.

Monza, 16 gennaio 2012 - L'ex assessore regionale della Lombardia e attuale consigliere Pdl del 'Pirellone' Massimo Ponzoni è stato colpito da un provvedimento di custodia cautelare emesso dal Gip di Monza.

Massimo Ponzoni.

Ponzoni, che secondo quanto si apprende si trova attualmente all'estero per lavoro, è accusato di bancarotta nell'ambito del crac della società Pellicano.

Arrestati, nell'ambito della stessa inchiesta, anche Franco Riva, ex sindaco di Giussano, Antonino Brambilla, vice presidente della provincia di Monza e Brianza, Rosario Perri, ex assessore provinciale e l'imprenditore bergamasco Filippo Duzioni. Gli ordini di custodia cautelare sono stati eseguiti dai militari della Guardia di Finanza di Paderno Dugnano e dalla Polizia Tributaria di Milano

Antonino Brambilla.


Il Comunicato stampa del PD Provinciale:

"Allevi azzeri la Giunta".


I CAPI DI IMPUTAZIONE - L’indagine, che nasce alla fine del 2009, spiegano i finanzieri, si è sviluppata su due fronti investigativi: reati contro il patrimonio (appropriazione indebita sfociata anche in ipotesi di bancarotta fraudolenta) e finanziamento illecito a esponenti politici in relazione al sostenimento di spese, sia per la campagna elettorale di Ponzoni.

Due società, “Il Pellicano Srl” e “Immobiliare Mais Srl” entrambe con sede a Desio, sono state dichiarate fallite, dal Tribunale di Monza nel 2010, a seguito degli accertamenti condotti nel corso delle indagini; reati contro la pubblica amministrazione (più fatti di corruzione, concussione e peculato), “in relazione alla capacità di Ponzoni - spiegano ancora i finanzieri - di determinare, almeno in parte, i contenuti dei Pgt di Desio e Giussano, assicurando ad imprenditori a lui vicini (referenti di importanti gruppi societari) cambi di destinazione di terreni (da agricoli a edificabili), grazie ai legami influenti e al posizionamento di propri uomini di fiducia in ruoli chiave delle varie amministrazioni (a loro volta destinatari di denaro e/o altri vantaggi, anche solo in termini politico elettorali)”.

Ruolo chiave nell’indagine, secondo gli inquirenti, ha assunto la figura del faccendiere Filippo Duzioni il quale, a capo di un gruppo di aziende di consulenza, ha veicolato le ingenti somme di denaro frutto degli accordi corruttivi. In tale ambito si è proceduto, inoltre, all’effettuazione di numerose perquisizioni anche nei confronti degli imprenditori indagati.

VOTI DALLA MALAVITA - Nella ordinanza di custodia cautelare a carico di Massimo Ponzoni, il gip di Monza sottolinea "il fatto che una costola della 'ndrangheta abbia veicolato voti su Ponzoni, perlomeno in relazione alle consultazioni elettorali regionali del 2005".

Circostanza che, sottolinea il gip, "risulta riferita dallo stesso interessato, il quale, a seguito dell'ottimo risultato conseguito nelle ultime elezioni regionali del marzo 2010, si compiaceva con tale Alessandro di aver fatto a meno, questa volta, dei voti provenienti da quel contesto, con cio' confermando che a detto bacino elettorale aveva invece attinto nel passato" ("mi son tolto di mezzo la grande soddisfazione di arrivare primo..., secondo
sono arrivato con Carugo e terzo mi sono tolto i voti di certi personaggi affiliati a certi clan").

APPALTI A NIGUARDA NEL MIRINO - Altro ‘finanziatore’ di Massimo Ponzoni sarebbe stato Pietro Rivoltella, imprenditore nel settore delle pulizie. L’imprenditore "ha finanziato Ponzoni - si legge nell’ordinanza - per essere favorito presso il direttore generale dell’ospedale Niguarda di Milano, dottor Cannatelli Pasquale, consentendogli di ottenere in appalto il servizio di pulizie dello stesso ospedale".

Cannatelli si legge "veniva a sua volta opportunamente remunerato da Ponzoni attraverso un consistente sconto per l’acquisto di due appartamenti per i figli dalla società Serena Immobiliare amministrata da Pennati".

La nota del mattino del 17/01/2012.

LA BATTAGLIA DELL’EURO 1. DRAGHI METTE DA PARTE LA PRUDENZA E LANCIA L’ALLARME: O L’EUROPA FA PRESTO A PREDISPORRE LE DIFESE O RISCHIANO TUTTI, PESANTEMENTE. IL CONFLITTO DI INTERESSE DELLE AGENZIE DI RATING.
Il campanello di allarme è di nuovo scattato. A farlo suonare ieri è stato il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, che in un intervento di fronte al Parlamento europeo ha richiamato senza giri di parole le responsabilità dei governi dell’Ue, a cominciare dalla Germania, nella predisposizione di politiche per la crescita e per il rafforzamento delle difese nei confronti della speculazione finanziaria (a cominciare dalla maggiore fornitura di risorse all’Efsf, il cosiddetto fondo salva Stati rispetto al quale ieri Standard & Poor’s ha abbassato il rating, e al futuro fondo europeo Esm). Draghi, solitamente misurato nei toni e nelle parole, non ha limitato i riferimenti alla assoluta gravità della situazione, impressionando per questo tutti gli interlocutori, segno che l’Europa tutta è davvero a un tornante decisivo.
Da Il Sole 24 Ore. Articolo di Beda Romano. “Il recente declassamento del debito sovrano di nove Paesi della zona euro su 17 ha continuato anche ieri a provocare dubbi e nervosismi. Davanti al Parlamento europeo, Mario Draghi ha definito il momento «molto grave» (very grave, in inglese). Il presidente della Banca centrale europea ha quindi esortato i Paesi a rafforzare il fondo di stabilità Efsf, come ripete da giorni il premier Mario Monti. «La situazione è ulteriormente peggiorata» dall`ultima audizione del precedente presidente della Bce JeanClaude Trichet in ottobre. «Siamo in una situazione molto grave e non dobbiamo minimizzarlo», ha detto Draghi nella sua veste di presidente del Comitato europeo per il rischio sistemico (Esrb), parlando davanti alla commissione Affari economici del Parlamento europeo, in sessione a Strasburgo. ( …) Commentando la Scelta di S&P ieri di ridurre anche il rating del fondo di stabilità, Draghi ha spiegato che l`Efsf potrà mantenere «la stessa capacità di fuoco» o prestare «allo stesso tasso d`interesse» solo se «i Paesi con la tripla A aumenteranno i loro contributi». Questi sono Finlandia, Lussemburgo, Olanda e Germania. Ad avere perso questo rating venerdì scorso sono state l`Austria e la Francia. Nel contempo, tuttavia, lo stesso banchiere centrale ha invitato a considerare le agenzie di rating «come un parametro tra molti», precisando che la sua raccomandazione è rivolta «ai regolatori, agli investitori e alle banche». E’ necessario, ha aggiunto, «imparare a fare a meno delle agenzie di rating». In questi anni, molti hanno accusato queste società di accentuare le conseguenze negative della crisi con scelte discutibili. Rispondendo alla domanda di un deputato, che voleva avere una previsione su come si svilupperà l`anno appena iniziato, Draghi ha colto l`occasione per tratteggiare una possibile ricetta per uscire dalla crisi. Da un lato, il
presidente della Bce ha chiesto ai Governi di adottare piani di risanamento «seri», definendo le numerose misure fin qui decise a livello nazionale «generalmente incoraggianti», Dall`altro, il presidente della Bce ha parlato della necessità di mitigare gli «inevitabili» effetti di contrazione della domanda. «Cosa possiamo fare per mitigare questi effetti?», si è chiesto. «Una prima risposta - ha detto - è che le riforme economiche non dovrebbero consistere solo in riforme per il consolidamento, ma anche in riforme strutturali, per aumentare la competitività, la crescita e l`occupazione». Infine, Draghi ha messo l`accento sulla necessità che l`Europa si doti di un firewall «capace di evitare eventi a catena», in altre parole con una potenza di fuoco sufficientemente generosa. Il banchiere centrale si è limitato a parlare di economia, non si è avventurato sulle eventuali conseguenze sociali di una recessione in Europa, ma la sua analisi è parsa ieri vicina a quella del premier Monti….
Da Il Sole 24 Ore. Articolo di Mrya Longo su chi controlla le agenzie di rating. “Si chiama Capital World Investment. Si tratta di una delle maggiori società di gestione del risparmio americane. E alla domanda più ricorrente di questi giorni, cioè «chi sta dietro le agenzie di rating?», può permettersi di alzare non una ma due mani. Capita! World Investment è infatti contemporaneamente íl primo azionista di Standard & Poor`s (detiene il 10,26% della casa madre McGraw Hill) e il secondo maggiore socio di Moody`s (con il 12,60%). Moody`s e S&P sono concorrenti sul mercato, certo. Ma a Capital World Investment non importa: ha comprato 28 milioni di azioni della prima e 30 milioni della seconda. Giusto per non rischiare di sbagliare, ha puntato su entrambi i cavalli. La stessa filosofia ha guidato Vanguard Group, i fondi Blackrock, State Street e molti altri: tutti questi grandi investitori Usa - secondo í dati Bloomberg figurano infatti tra i principali azionisti sia di Moody`s, sia di S&P. Insieme a tanti altri fondi o banche. Questo crea,potenzialmente, un cortocircuito: tutti questi investitori sono da un lato azionisti dei due big del rating, ma dall`altro sono anche utilizzatori dei loro stessi rating quando acquistano obbligazioni sul mercato. Il conflitto di interessi è evidente. Le possibili pressioni anche. I big del rating-ha sentenziato ieri il commissario europeo Rehn - «giocano secondo le regole del capitalismo finanziario americano». Ovvio, si potrebbe aggiungere: hanno l`intero capitalismo finanziario americano come azionista... Che í colossi del rating siano intrisi di conflitti di interesse è risaputo. Il più noto è legato al fatto che Moody`s S&P e Fitch sono pagati dalle stesse società che devono valutare. Questo solleva da sempre sospetti di ogni genere: in tanti sono convinti che le agenzie di rating abbiano per esempio assegnato alle cartolarizzazioni di mutui americani voti troppo benevoli proprio per "coltivare" i propri clienti. Per compiacerli. Per tenerli buoni. Le agenzie di rating si sono sempre difese su questo fronte: Moody`s e S&P valutano insieme più di due milioni di società, Stati o prodotti strutturati. Questo rende quasi ininfluente – secondo la loro difesa-la singola commissione percepita per il singolo rating. Sta di fatto che il conflitto resta. E che ogni errore, anche quando commesso in buona fede,
sarà sempre guardato con dietrologico sospetto. Ma quello degli azionisti è forse il conflitto più macroscopico: i grandi soci di Moody`s e S&P, come visto, sono in gran parte i fondi che usano i rating per investire,oppure sono banche che alle stesse agenzie chiedono un voto quando devono emettere obbligazioni. Questo conflitto è stato sollevato anche dalla Sec, l`Autorità di vigilanza Usa, che lo scorso settembre ha segnalato: «Due delle maggiori agenzie non hanno specifiche procedure per gestire il potenziale conflitto di interessi quando una società loro azionista chiede un rating». (…..). Quando l`economista di una banca si esercita in previsioni sull`economia di vari Paesí, è altrettanto forte il sospetto che la stessa banca per cui lavora abbia un`esposizione su quello stesso Paese. Eppure nessuno si scompone quando Morgan Stanley, oppure Goldman Sachs, effettuano previsioni sull`Italia o sulla Francia. Perché invece i tanto vituperati giudizi di Standard & Poor`s, Moody`s o Fitch sollevano così tante reazioni? La risposta è semplice: perché quei voti che le agenzie di rating assegnano, vanno a condizionare le politiche d`investimento di tutti i fondi del mondo. Insomma: perché le decisioni delle agenzie di rating- giuste o sbagliate che siano - vanno a creare una serie di effetti automatici a catena che rischiano di avvitare la crisi. Ecco perché. I fondi operano sulla base di mandati molto stretti: alcuni di loro, per esempio, possono comprare solo obbligazioni con un rating superiore alla "Tripla B". Quando un bond viene declassato, e il suo rating scende sotto quella soglia, tutti questi fondi sono dunque costretti a venderlo. È così che la decisione di un`agenzia di rating - cioè un`opinione - va a condizionare, nello stesso momento, le decisioni di milioni di investitori in tutto il mondo….

2. LA BATTAGLIA DELL’EURO 2. MONTI INCONTRA VAN ROMPUY E POI PARLA CON IL FINANCIAL TIMES, ANCHE IN VISTA DELLA RIUNIONE A LONDRA CON CAMERON.
Anche il presidente Ue, Van Rompuy, ieri a Roma per una visita a palazzo Chigi, e il presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, hanno messo da parte ieri la cautela e insistito fortemente per un rafforzamento immediato delle difese europee. In un’intervista al quotidiano Financial Times, il più importante giornale economico europeo, Monti ha sottolineato ieri che se la Germania non si impegnerà di più nel sostegno dei paesi più deboli, le ripercussioni politiche potrebbero essere molto forti.
Da Financial Times, l’intervista a Monti di Peter Spiegel Guy Dinmore Giulia Segreti (traduzione de Il Sole 24 Ore). “Il primo ministro italiano Mario Monti ha chiesto alla Germania e ad altri Paesi creditori di fare di più per aiutare il suo Paese a ridurre il costo del debito pubblico, ammonendo che in caso contrario c`è il rischio di una «forte crisi di rigetto» fra gli elettori della martoriata periferia dell`euro. In un`intervista rilasciata solo tre giorni dopo il declassamento (di due punti) del debito pubblico italiano da parte di Standard & Poor`s. Monti ha detto di essere d`accordo quasi interamente con la diagnosi dei problemi dell`Italia fatta dall`agenzia di rating.
A suo parere, però, l`analisi di Standard & Poor`s convalida la linea di condotta che sta portando avanti. Monti ha segnalato in particolare un fattore di rischio politico «negativo» citato dall`agenzia di rating: «La politica portata avanti dall`Europa e le sue istituzioni», non il suo Governo tecnico.
Roma vuole che Berlino si renda conto che è «nel suo interesse di lunga periodo» usare tutto il suo peso per far calare i tassi dei titoli di Stato dell`Italia e di altri Paesi fortemente indebitati. La moneta unica ha portato «enormi benefìci e forse alla Germania ancora più che agli altri», ha detto il premier. Un atteggiamento simile potrebbe mettere Monti (la cui nomina a presidente del Consiglio, al posto di Silvio Berlusconi, è stata salutata con favore dal cancelliere Angela Merkel) in rotta di collisione con Berlino. La signora Merkel finora si è dimostrata riluttante a prendere misure più decise per far calare i tassi di interesse sui titoli di Stato italiani, a livelli record dal momento dell`introduzione dell`euro, rifiutandosi di dare il suo assenso alla creazione degli eurobond (titoli di debito dell`Eurozona nel suo complesso) o al rafforzamento del fondo di salvataggio dell`euro. In cambio della disciplina di bilancio, ha detto Monti, «deve esserci un miglioramento visibile sotto altri aspetti», e ha aggiunto: «In un Paese come l`Italia di oggi, altri aspetti può significare soltanto i tassi di interesse». Il presidente del Consiglio ha affermato che la Germania è riuscita a dare la sua impronta al dibattito economico europeo, definendo la «cultura della stabilità» di Berlino «un prodotto prezioso che la Germania ha saputo meravigliosamente esportare» ad altre società dell`Eurozona. Ma i nordeuropei non l`hanno riconosciuto a sufficienza.
«Se non si ammette che sta avvenendo un forte movimento nel senso della disciplina di bilancio e della stabilità assisteremo a una grave crisi di rigetto in quei Paesi che in questo momento stanno sostenendo uno sforzo di risanamento colossale», ha detto. Monti si è detto convinto che l`adozione degli eurobond e l`incremento della potenza di fuoco del fondo salva-Stati potrebbero contribuire a placare il nervosismo degli investitori, ma è stato attento a dire che gli eurobond, fieramente combattuti da molti esponenti del Governo della signora Merkel, potrebbero essere «un interessante punto di arrivo» futuro. Molti analisti sono convinti che se la Banca centrale europea procedesse a massicci acquisti di titoli di Stato (un`altra misura a cui Berlino si oppone), i tassi di interesse sul debito pubblico italiano potrebbero scendere sensibilmente, ma il presidente del consiglio italiano ha detto che, lui, la cancelliera Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, si sono accordati per un «silenzio simmetrico» nei confronti della Bce”.

3. LA BATTAGLIA DELL’EURO 3. PD, UDC E PDL PER UNA MOZIONE UNITARIA CHE SOSTENGA LA LINEA DEL GOVERNO IN EUROPA.
In vista della battaglia che l’Italia conta di condurre in Europa per un cambiamento positivo della politica seguita fin qui e del trattato finanziario in via di elaborazione,
Monti ha pranzato ieri con i segretari del Pd, dell’Udc e del Pdl. "Bisogna cambiare registro perché siamo arrivati all'assurdo che l'Europa resta la più grande piattaforma economica mondiale e non è possibile che ci siano paesi fondamentali che abbiano dei rating come Colombia o Perù" ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, parlando con le agenzie di stampa, al termine del vertice con Monti, Casini e Alfano. Un incontro "molto buono" in cui il premier Mario Monti ha mostrato, secondo Bersani, di avere "idee molto chiare" su come affrontare la crisi. Ma, ha detto Bersani, "serve una piattaforma nazionale" che dia più forza al governo italiano nelle trattative in sede Ue. "Tocca a tutte le forze politiche – ha aggiunto Bersani - anche dentro le rispettive famiglie europee, sostenere una piattaforma nazionale. Tocca a Monti, ma tocca anche ai partiti". In Parlamento il Pd ha già presentato una mozione, invitando il governo a chiedere a tutti gruppi parlamentari di votare un testo comune. "Un passo deve farlo l'Italia e un passo l'Europa - ha spiegato Bersani - ci vuole una piattaforma nazionale perché è necessario cambiare la linea" finora imposta dalla Germania all'Ue, e "ciascuno deve fare la sua parte. Il governo fa quel che deve e quel che può ma c'è bisogno di una posizione netta della politica. Noi per esempio con i partiti progressisti europei stiamo facendo la nostra parte perché ci sia una piattaforma comune su una linea di politica economica e abbiamo fatto dei passi avanti, l'Spd ha una posizione avanzata e avremo un appuntamento importante a Parigi a marzo" il tema è una "linea alternativa a quella tenuta fin qui" un compito che secondo Bersani "deve interessare tutti, governo e forze politiche, e ciascuno nella sua famiglia politica europea perciò mi auguro che le forze che appartengono al Ppe facciano la loro parte e che non solo qui dicano che la ricetta della Merkel non va".

4. LA PALLA AL PIEDE DELL’ITALIA. NEL PDL BERLUSCONI LAVORA PER UN ULTIMO, PERICOLOSO TENTATIVO: FAR SALTARE SUBITO MONTI.
Stringe il tempo per la sopravvivenza politica della leadership berlusconiana e Berlusconi lo sa. Per questo sta cercando di mischiare le carte, di far dimenticare i guasti provocati, di far passare il salvataggio dell’Italia per un quasi golpe da parte del presidente Napolitano. Un tentativo pericolosissimo, perché punta a far saltare subito Monti, nella consapevolezza che più passa il tempo e più il vecchio Berlusconi diventa un’immagine sbiadita che rischia di perdere potere e affari (ieri Piersilvio Berlusconi lo ha detto chiaramente: Mediaset vuole le frequenze televisive gratis). A farne le spese potrebbe essere anche lo stesso segretario del Pdl Alfano, che infatti in questi giorni si è mostrato molto cauto.
Per capirlo basti leggere alcuni passaggi dell’articolo del direttore del quotidiano Il Giornale, Alessandro Sallusti: “Dopo la risatina su Berlusconi, ecco lo schiaffo a Mario Monti. Il presidente Sarkozy ha annullato l`incontro a tre Francia-Germania-Italia che avrebbe dovuto tenersi venerdì a Roma. Un vertice che avrebbe avuto un
significato formale importante, un pieno riconoscimento dei due grandi d`Europa al nuovo governo italiano davanti agli occhi del mondo e dei mercati finanziari. Evidentemente le cose non stanno così come ce le raccontano le dichiarazioni ufficiali, le strette di mano e le foto ricordo. L`Italia è stata messa all`angolo, e il problema, come ormai è evidente, non era l`ingombrante presenza di Silvio Berlusconi. Il piano escogitato da Napolitano per ridare credibilità all`Italia fa acqua da tutte le parti e poco consola che le famigerate agenzie di rating che ci hanno spedito in serie B siano in realtà covi di speculatori, spacciatori finanziari sulla pelle dei risparmiatori. Il dato di fatto è che nulla è cambiato. Anzi, la situazione, come ha detto ieri sera il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, si fa sempre più critica. Anche per tutto questo Mario Monti ha innestato la retromarcia rispetto a quella sorta di «ghe pensi mi» di berlusconiana memoria pronunciato, con parole più sobrie e forbite, sei giorni del suo insediamento. Così ieri il premier ha chiesto ai segretari dei tre partiti che lo sostengono, Alfano, Bersani e Casini, di dargli una mano in vista del vertice europeo di febbraio, decisivo per le sorti dell`Italia e quindi sue. Operazione ovviamente legittima, ma a questo punto è anche legittimo chiedersi che senso ha avere un governo tecnico se il peso delle scelte deve essere quasi interamente sulle spalle dai tanto deprecati politici. Con una aggravante. Che alla fine, comunque vadano le cose, chi rischia di pagare il conto sarà il Pdl, cornuto per aver dovuto lasciare inutilmente il comando ad altri, mazziato per dover sostenere scelte contrarie alla propria ragione sociale e che invece agevolano Pd e Udc. Ho l`impressione che la fase due del governo Monti stia entrando nel vivo. E non è quella delle liberalizzazioni e dei provvedimenti dello sviluppo. Temo possa essere quella di trascinare il Pdl dentro una zona grigia con la scusa dell`emergenza per poi inghiottirlo del tutto. Alfano sta tenendo duro con mestiere e pazienza, ma ogni giorno che passa è un pezzo di identità che si lascia……

5. LA BATTAGLIA DELLE LIBERALIZZAZIONI. OGGI IL GOVERNO INCONTRA LE CATEGORIE. GIOVEDI’ IL GOVERNO DECIDE. INTANTO LE DICHIARAZIONI DEI REDDITI DI PROFESSIONISTI, COMMERCIANTI, ARTIGIANI CI RICORDANO IL BUBBONE DELL’EVASIONE FISCALE.
Giovedì Consiglio dei ministri sulle liberalizzazioni e oggi incontri con le categorie. Per capire quanto sono forti le resistenze e anche quale sia la consistenza dei problemi che l’Italia deve affrontare bisogna scorrere oggi anche le medie delle dichiarazioni dei redditi tratte dagli studi di settore (La Repubblica, pagina 6). .

6. USA. ROMNEY A UN SOLO PUNTO NEI SONDAGGI DA OBAMA.
Da Il Messaggero. Articolo di Anna Guaita. “Il candidato che si era detto convinto che l`elettorato repubblicano avrebbe alla fine «scelto al centro», ha dovuto rimangiarsi le sue convinzioni e rassegnarsi alla sconfitta. Le sue posizioni moderate non hanno
affatto conquistato gli elettori repubblicani, che lo hanno costantemente relegato nelle ultime posizioni. Ieri mattina dunque Jon Huntsman ha annunciato il ritiro dalla corsa per la nomination repubblicana. Non solo: l`ex governatore dello Utah ed ex ambasciatore in Cina, ha deciso di dare subito l`endorsement al rivale, Mitt Romney. Ogni giorno che passa, dunque, Romney sembra confermarsi sulla strada della nomination. I sondaggi nazionali lo danno anche a un solo punto di svantaggio nella sfida con Obama: 46 a 45…