19 settembre 2016

Ehi ci sono anch'io!

Il settembre più caldo del secolo deve aver contagiato anche Regione Lombardia.
La ripresa post estiva pare essere stata più lenta del solito e la Giunta Maroni si è limitata, al momento, a sparare qualche cartuccia che teneva in serbo, senza troppa convinzione riguardo l'efficacia dei provvedimenti adottati.
L'ultimo botto, che ha incuriosito parecchio i media, riguarda il licenziamento di Equitalia, vero e proprio terrore dei cittadini che non sono in regola con il pagamento dei tributi o devono recuperare qualche buco fiscale pregresso. La fase più virulenta della campagna mediatica contro Equitalia pare ormai lontana, ma la notizia che la riscossione dei tributi lombardi non passerà più dalle grinfie del vampiro legalizzato (così spesso è stata dipinta Equitalia) non è certo passata inosservata.
Molti lombardi si sono subito chiesti se potessero ignorare o stracciare le cartelle esattoriali pendenti, ma così non è: il nuovo sistema di riscossione regionale scatta dal 15 settembre e promette di essere più gentile e soprattutto meno costoso, soprattutto per le casse della regione. Buona cosa, s'intende, ma ben altra rispetto ai proclami che avevano portato Maroni ad annunciare la scomparsa del bollo auto, principale imposta regionale. Al momento il caro (in tutti i sensi) bollo è vivo e vegeto e l'unica cosa che cambia è il protagonista della riscossione che non utilizzerà più le famigerate cartelle esattoriali, ma si limiterà alle non meno antipatiche ingiunzioni di pagamento. Il governatore parla di un fisco più attento e vicino ai cittadini, ma la sostanza quella è e le tasse van pagate, con l'augurio che i nuovi riscossori siano davvero all'altezza del compito loro affidato.

Maroni in questi giorni si è anche recato in Riviera, non per un supplemento d'estate, ma per celebrare il primo vertice dei tre governatori del Nord di stretta osservanza centro destrorsa. Dal summit lombardo veneto con spolverata di Liguria è emerso un documento sull'immigrazione annunciato pomposamente come rivoluzionario, ma ben poco originale riguardo le possibili soluzioni e collaborazioni interistituzionali.
Molte parole d'ordine care all'asse leghista del Nord, dall'aiutiamoli a casa loro al non facciamoli arrivare, condite con richieste di maggiore severità e più controlli del territorio, ma caratterizzate da una sostanziale deresponsabilizzazione delle regioni. Il problema è nazionale e se ne occupi chi di dovere, alle regioni di confine devono essere garantiti meno problemi e maggiori attenzioni per evitare tensioni sociali.
Non un cenno a una possibile corresponsabilità istituzionale nel costruire un sistema di accoglienza diffuso e a un impegno, piccolo che sia, per stemperare tensioni e polemiche che i governatori nordisti sembrano piuttosto propensi ad alimentare. La richiesta della dichiarazione dello stato di emergenza per riconoscere il fatto che il fenomeno sia destinato ad esaurirsi rientra poi nel campo della pura irrealtà. Al governo va detto che serve un progetto più organico e stabile per la gestione degli arrivi e il riconoscimento dello status dei profughi, ma le raccomandazioni dei tre moschettieri del Nord paiono più un esercizio di retorica antimigrazionista che un effettivo contributo alla gestione del problema. Forse non possiamo chiedere di più a chi, in fondo in fondo, si augura che il tema non scompaia dall'agenda politica perché pensa (e non a torto) di potersene avvantaggiare più di altri.

Una parola anche sul Patto per Milano, siglato martedì scorso tra Renzi e il sindaco Sala: 2,5 miliardi di investimenti per una città a cui è affidato il compito di trainare l'Italia. Maroni ha dato l'impressione di masticare amaro con qualche dichiarazione di soddisfatta circostanza, ma l'evidente rosicamento di chi guarda con malcelata preoccupazione il ruolo di Milano che rischia di mettere in ombra la Lombardia. Non osavamo pretendere che il governatore si spingesse fino a prendere atto dello sforzo del governo e ad assicurare la massima collaborazione della regione, ma la piccata e quasi astiosa richiesta di fondi ben più cospicui per un ipotetico Patto per la Lombardia rivela il malumore con cui ha accolto la faccenda. Quasi volesse dire al premier, infilandosi nella foto di rito: "Ehi, ci sono anch'io".
Rimaniamo convinti che il bene e il futuro di Milano coincidano con quelli dell'intera Lombardia, pur non esaurendoli di certo, ma evidentemente Maroni apprezza solo quello che può colorare di verde padania.

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