19 luglio 2018

Borsellino, i 26 anni dalla strage di via D'Amelio e il depistaggio

 

di Luigi Grimaldi

Il 19 luglio 1992 un'autobomba uccide a Palermo il magistrato Paolo Borsellino, 5 agenti di scorta e le speranze di molti italiani. Solo quest'anno una sentenza parla di "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana" proprio a proposito delle indagini su quella strage

Sembrava la scena di un bombardamento. Un palazzo sventrato. Sangue, fumo e distruzione ovunque. Un'autobomba uccide a Palermo il magistrato Paolo Borsellino, e con lui la speranza di un Paese intero: vincere la battaglia contro la mafia che da pochi mesi aveva ucciso allo stesso modo il collega Giovanni Falcone. "È tutto finito", si disse. Non era vero. Moriva Borsellino, eroico servitore dello Stato, e iniziava una nuova guerra che ancora oggi continua. Quella per la verità.

19 Luglio 1992 - 19 Luglio 2018: 26 anni. Tanti ne sono serviti perché una sentenza sancisse questo mese, nelle motivazioni che "soggetti inseriti negli apparati dello Stato" indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e i 5 agenti della scorta.

"È uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, ha sostenuto la Corte d’assise di Caltanissetta, nelle motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater. È una tappa importante nel difficile percorso di ricerca della verità, perché fissa in maniera chiara i misteri ancora irrisolti e indica una strada per proseguire le indagini.

Scrive la Corte: "È lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi”. Il riferimento è ad alcuni investigatori guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, che invece di cercare la verità costruirono a tavolino alcuni falsi pentiti.

Al falso pentito Scarantino vennero suggerite "circostanze del tutto corrispondenti al vero”, che lui però non poteva sapere. "È del tutto logico ritenere", scrivono ora i giudici, "che tali circostanze siano state suggerite a Scarantino da altri soggetti, i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte”. 

La Corte ricorda che il 13 agosto 1992, il centro Sisde (l'ex servizio segreto civile) di Palermo, comunicò alla sede centrale che "la locale polizia aveva acquisito significativi elementi sull’autobomba” e col Sisde collaborava anche il capo della Mobile La Barbera. E finalmente nella sentenza si sostiene quanto i parenti del giudice hanno sempre sospettato e denunciato: il "collegamento tra il depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino".

Secondo la sentenza del Borsellino Quater, La Barbera è "coinvolto nella sparizione dell’agenda, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”. Un'agenda rossa scomparsa dalla scena della strage che poteva contenere misteri d'Italia ancora irrisolti.

No, la verità completa ed esauriente che tutti gli italiani si aspettano ancora non c’è. Però sappiamo che poliziotti infedeli pilotarono il falso pentito per finalità tutte da scoprire ma che rappresentano certamente un complotto contro la verità . 

Ci furono anche magistrati distratti e davvero poco professionali. Non tutti: due pm, Ilda Boccassini e Roberto Saieva, avevano scritto una nota ai colleghi per segnalare "l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da Scarantino su via D’Amelio". Lettera morta. 

Certo, ci sarà un processo per il depistaggio nelle indagini di via D’Amelio e per la prima volta uomini delle istituzioni verranno messi sul banco degli imputati per i misteri che ancora avvolgono le indagini sulla strage.

"Sono stati buttati via 26 anni costruendo falsi pentiti con lusinghe e con torture", ha detto Fiammetta Borsellino, sorella di Paolo, davanti alla Commissione parlamentare antimafia. "Ci vorrebbe un pentito nelle istituzioni". Ma naturalmente nessuno finora ha avuto un rimorso o l’onestà e il coraggio di farsi avanti.





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