2 agosto 2017

Pedemontana lombarda, il rischio di una nuova incompiuta

L'ultimo bilancio si è chiuso con una perdita di 7 milioni. La procura di Milano chiede il fallimento, ma Apl si oppone. L'opera da 5 mld doveva essere soprattutto a carico dei privati. Che però si sono dileguati.
Luca Rinaldi Twitter

Il project financing è quel giochino in cui si dice che pubblico e privato fanno «sinergia» per favorire la collettività. La storia recente insegna però che i privati a un certo punto si dileguano e a sostenere i costi restano solo i contribuenti.
La Pedemontana lombarda, che si è presa di diritto lo scettro di "autostrada più costosa d’Italia" - poco meno di 58 milioni di euro per chilometro - ne è l’esempio più rappresentativo: i 5 miliardi fin qui messi sul piatto sono finiti tutti sulle spalle del cittadino. In origine 1,2 miliardi erano a carico del pubblico, la restante parte doveva essere coperta dai privati. Ma di questa ora nessuno vuole farsi carico e la società ora rischia di portare i libri in tribunale. Così la seconda grande opera politicamente più bipartisan della storia repubblicana, dopo il progetto del Ponte sullo Stretto, rischia di trasformarsi in una nuova incompiuta. E questo nonostante le sponsorizzazioni di peso: da Formigoni a Maroni passando per Di Pietro.

APL DAVANTI AL GIUDICE FALLIMENTARE. Sono stati i pm di Milano Paolo Filippini e Giovanni Polizzi a portare la società Apl (Autostrada Pedemontana Lomnbarda), controllata dalla Milano-Serravalle e partecipata da istituti di credito come Intesa Sanpaolo e Ubi, davanti al giudice fallimentare. Il bilancio, per la procura meneghina, non sta in piedi: 7 milioni di perdite, costi che superano i ricavi, extracosti quantificati tra i 70 e 80 milioni e previsioni di traffico completamente sballate non permettono di affrontare la spesa per completare l’opera che ammonta ad almeno 3 miliardi di euro. Insomma, la società sarebbe insolvente, pure a fronte di fondi pubblici già stanziati per 1,2 miliardi di cui 800 milioni già spesi.
Non solo. I piani finanziari sono stati approntati all’insegna del pagamento dei pedaggi (i più cari d’Italia: 21 centesimi al chilometro) che invece il presidente della Regione Lombardia si è impegnato a togliere sulle due tangenziali che fanno parte del tracciato. A questo va aggiunta pure la difficoltà nel recupero crediti dei pedaggi non pagati: a gennaio dello scorso anno Apl è stata informata del ritrovamento in stato di abbandono tra i Comuni di Rosate e Albairate, periferia di Milano, di numerosi solleciti di pagamento affidati per il recapito alla società bolognese Smmart Post. Quaranti chili di solleciti non sono dunque mai arrivati e Apl, a inizio 2017, ha depositato denuncia contro ignoti al tribunale di Pavia.
Come si diceva, di capitali privati non si è vista nemmeno l’ombra: le banche sono entrate in partita grazie alla garanzia da 450 milioni di euro del fondo di garanzia regionale, parte del fondo da 2,7 miliardi concesso dal governo. Eppure l’aumento di capitale da 267 milioni di euro, ha ricordato recentemente L’Espresso, slitta da quattro anni. A sottoscriverlo è stata la sola Regione Lombardia per 32 milioni di euro. L’ultimo è previsto a gennaio 2018, in piena campagna elettorale per le Regionali. Ed è proprio al gennaio 2018 che l'ex presidente di Pedemontana Antonio Di Pietro (grande sostenitore dell’opera quando era ministro per le Infrastrutture) fissava la sostenibilità di Apl. «Possiamo garantire autonomia finanziaria fino a gennaio 2018», diceva l’ex pm il 5 ottobre 2016 davanti alla commissione Bilancio della Regione Lombardia.

PER PEDEMONTANA «NESSUNA INSOLVENZA». Il capitolo che si sta consumando davanti al giudice fallimentare di Milano Guido Macripò è dunque decisivo. I legali di Pedemonata, dal canto loro, sostengono che «l’insolvenza della società non esiste» e che la richiesta di fallimento dei pm è «totalmente infondata». A margine di repliche e controrepliche il procedimento ripartirà il prossimo 11 settembre. A contestare la linea della procura sono stati sempre Di Pietro, secondo cui lo stop alla società creerebbe contenziosi per 1 miliardo di euro, e l’attuale presidente Fabrizio D’Andrea, ex ufficiale della Guardia di Finanza che, una volta appreso dell’indagine, tramite una nota ha fatto sapere che «quella della procura è una richiesta che ci sorprende in quanto a nostro avviso non esiste alcuna situazione, né dichiarazione di insolvenza».

Tuttavia il collegio sindacale, in sede di approvazione del bilancio 2016, è stato fin troppo chiaro: la mancata sottoscrizione del finanziamento “senior”, che prevede una nuova tranche ponte da 200 milioni di euro, «comporterebbe per Apl l’impossibilità di proseguire nella costruzione dell’infrastruttura». Il consiglio di amministrazione, si legge di nuovo nella relazione, «ha segnalato che ritiene di chiudere il bilancio al 31 dicembre 2016 in situazione di continuità aziendale» ma «qualora entro il 31 gennaio 2018 non intervenga la chiusura del finananziamento “senior”, ovvero la proroga del prestito ponte bis, non sarà più possibile assicurare tale continuità con tutte le conseguenze giuridiche del caso». In tutto questo il ministro Graziano Delrio non pare intenzionato a mettere un altro euro. Lo scorso gennaio è stato chiaro: «Lo Stato non è un bancomat».

LA "REGIONALIZZAZIONE" DELLE PROVINCIALI. La partita incrocia anche il piano di statalizzazione e regionalizzazione delle strade provinciali che torneranno sotto l'egida Anas. La quale entro fine anno dovrebbe dare il via a una nuova società insieme con Regione Lombardia. Nello specifico in Lombardia saranno «regionalizzati» 740 chilometri di strade ex provinciali e statalizzati altri 850 chilometri tra cui le tangenziali di Como e Varese che fanno parte della Pedemontana. Le tratte su cui Maroni ha garantito che non si pagherà più il pedaggio. I maligni hanno pensato sia solo un modo per aggirare il diktat di Delrio.

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