17 marzo 2011

150 ANNI D'UNITA' D'ITALIA. Buon compleanno a tutti noi.



L'INNO D'ITALIA.


CANTO DEL RISORGIMENTO ITALIANO.


POST CORRELATO: AUGURI ITALIA.

FRATELLI D'ITALIA. R. Benigni.




Integrale:


150 ANNI FA NASCEVA L' ITALIA.

17 MARZO ORE 21:00
AUDITORIUM SULBIATE

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NOTA DEL MATTINO 17 MARZO 2011

1. L’UNITA’ FA LA FORZA. DIVISI CI AVREBBERO SPAZZATO VIA. IL MONITO DI NAPOLITANO. L’ARTICOLO DI BERSANI. GLI AUGURI DI OBAMA. L’INCONSISTENZA POLITICA DELLA LEGA.
Oggi si celebra il 150esimo anniversario dell’unità di Italia. Una delegazione del Partito Democratico guidata dal segretario Pier Luigi Bersani depone una corona sull’Altare della Patria, a Roma. Numerosi gli articoli, le cerimonie, i ricordi e i commenti. Ieri sera il Presidente della Repubblica ha detto parole chiare: «Festeggiamo il meglio della nostra storia. Se fossimo rimasti come nel 1860, divisi in otto stati, senza libertà e sotto il dominio straniero, saremmo stati spazzati via dalla storia. Non saremmo mai diventati un grande paese europeo». «Abbiamo avuto momenti brutti, abbiamo commesso errori, abbiamo vissuto pagine drammatiche, ma abbiamo fatto tante cose grandi e importanti, la più importante unirsi». «Discutiamo e battagliamo. Ma ciascuno di noi deve sempre ricordare che è parte di qualcosa di più grande, che è appunto la nostra nazione, la nostra patria, la nostra Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono».
Il presidente Usa, Barack Obama, ha voluto ricordare questo giorno con un messaggio significativo, che segnala quanta parte della nostra epopea risorgimentale sia stata seguita con attenzione e anche emozione nel resto del mondo (non a caso la casa di Garibaldi a New York è mantenuta come museo): “Oggi, 17 marzo, l`Italia celebra l`anniversario della sua unificazione in un unico Stato. In questo giorno ci uniamo agli italiani in tutto il mondo nell`onorare il coraggio, il sacrificio e la lungimiranza dei patrioti che hanno dato vita alla nazione italiana. Al tempo in cui gli Stati Uniti stavano lottando per preservare la loro stessa unità, la campagna di unificazione dell`Italia di Giuseppe Garibaldi ispirò molti in tutto il mondo nelle loro battaglie, inclusa la 39ma Fanteria di New York, nota anche come "La Guardia Garibaldi". Oggi il lascito di Garibaldi e di tutti quelli che unificarono l`Italia vive nei milioni di donne e uomini americani di origine italiana che arricchiscono e rafforzano la nostra nazione”. I rappresentanti della Lega hanno continuato ieri a giocare sul tema della loro presenza o meno oggi alla cerimonia ufficiale con Napolitano alla Camera, presenti deputati e senatori riuniti insieme. Questo solo fatto ne misura la consistenza politica. Numerose le critiche nei loro confronti, fino a mettere in dubbio che essi possano rappresentare il governo del paese. Un lungo articolo del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, sull’Unità, indica il legame tra quell’inizio di 150 anni or sono e l’oggi. “L’anniversario è di tutti, o dovrebbe esserlo. Cominciamo col dire questo. Lo si capirà bene oggi pomeriggio, nell’Aula della Camera, quando il Parlamento in seduta comune ascolterà le parole solenni di Giorgio Napolitano, capo dello Stato e mai come oggi vero garante del patto costituzionale e repubblicano. Ma gli anniversari parlano. Raccontano sempre del clima del paese e dello spirito di un popolo. Fu così un secolo fa, quando i primi cinquant’anni del Regno scontarono la polemica di cattolici, socialisti e repubblicani. E mezzo secolo dopo, a ridosso del boom, con una retorica soppiantata dalla celebrazione di un’epopea diversa, tutta interna al carattere bloccato della nostra democrazia. Erano, quelle di allora, contrapposizioni profonde, ideologiche e per fortuna archiviate. Ma oggi? Su cosa si fonda oggi la celebrazione di una unità che tutti dovrebbero avere compreso e assimilato? Nel bene e nel male l’Italia liberale, e ancora di più quella repubblicana, hanno inteso la patria come coscienza di un passato vissuto, ma soprattutto come la proiezione di un futuro comune. Possiamo dire lo stesso anche noi? Tutti noi? Perché poi si può discutere se il nostro Risorgimento sia stato effettivamente quell’evento fondativo che fu la “grande Rivoluzione” per la Francia o la Riforma per la Germania. Ma certo fa riflettere l’idea che nel 150° della nostra unificazione la guida del paese sia affidata a quanti di quella svolta storica contestano la natura e lo sbocco. Ed è tanto più preoccupante vedere come un tale sentimento, neppure represso, attraversi l’azione del governo e i suoi messaggi di fondo. Peccato. Lo diciamo con la sensibilità e la responsabilità di un grande partito nazionale. Peccato che una parte della classe dirigente non abbia colto la portata morale e il valore simbolico del traguardo che raggiungiamo oggi. Come ha scritto Emilio Gentile, all’origine di quell’espressione – risorgere – vi era la spinta ad affrancarsi da una degradazione civile, individuale e collettiva. Più ancora che un progetto di integrazione dei territori si manifestava l’ansia di “conferire agli italiani una dignità di cittadini”. Una novità, e infondo la più profonda delle rivoluzioni. L’antica nazione culturale affrontava la prova decisiva
della sua unità spirituale e politica. Furono vicende drammatiche. Passaggi dolorosi, ma infine
fu l’avvio di una parabola storica assolutamente unica che, alternando grandezza e tragedie, si
è proiettata sino a noi. Ecco perché c’è qualcosa di imponente non già nella data e non solo
nell’anniversario in sé, ma nelle radici di ciò che oggi lo Stato e il popolo italiani sono chiamati
a celebrare. Dietro e dentro la ricorrenza c’è l’Italia che ha combattuto per la propria dignità.
Ci sono le radici della nostra democrazia. Di una Repubblica sorta sull’onda di una guerra di
Liberazione. Vi sono il primo e il secondo Risorgimento. Con le biografie – le immense biografie
– di una nazione che ha segnato del proprio destino il destino dell’Europa tutta. Di questo
stiamo parlando. Eppure il tempo alle nostre spalle sembra aver incrinato proprio quelle
premesse, al punto che la stessa unità del paese ad alcuni non pare più un sacro principio da
difendere. E per la prima volta una secessione degli animi vorrebbe anticiparne altre, nelle
regole, nei principi, nella forma stessa dello Stato. La destra su questo ha fondato il suo
lavorio. Ha negato legittimazione agli avversari e spinto per dissolvere i fattori coesivi.
Un’opera tutt’altro che rozza che è transitata dal modo di concepire materie sensibili, il patto
fiscale, la sicurezza, le identità dei territori. Da lì, a scendere, lo sfregio delle regole, un
Parlamento svuotato di funzioni fino alle conflittualità esasperate verso le istituzioni di
garanzia. Hanno cercato di rompere la struttura del paese con un racconto dell’Italia dove via via evaporava l’intera nostra storia e tradizione democratica. A tutto questo noi, in questi
mesi, ci siamo opposti e continueremo a farlo. Ma con la stessa determinazione diciamo che siamo i primi a voler fondare una nuova unità dello Stato e un nuovo patto repubblicano che sia finalmente all’origine di una patria comune e di una coscienza civile capace di rispettare sempre le differenze di giudizio e di pensiero ma in una identità democratica condivisa. A partire, ovviamente, da un federalismo che unisce e non divide, coinvolgendo tutte le parti del paese, nessuna esclusa. La nostra sfida è saldare il destino dell’Italia a una nuova Europa e a un mondo nuovo. Un mondo dove molto, forse tutto, è destinato a cambiare. E allora la vera domanda per noi non è cosa siamo stati, ma cosa saremo. Quale paese lasceremo a chi verrà dopo. L’Italia liberale affidò il compito di formare un “carattere italiano” all’esercito e alla scuola. Il fascismo volle militarizzare la questione. La Repubblica visse tra chiese divise e doppie lealtà, ma in fondo trovando nei partiti di massa la spinta per una modernizzazione epocale, seppure depennata da sintomi patriottici, poiché il mito nazionale fu presto soggiogato al primato delle ideologie. La forza del nostro tempo – la speranza di questo 150° - è nella possibilità di combinare in forme nuove democrazia, cittadinanza e un’etica pubblica rigenerata. Ce la possiamo fare. Davvero. Ce lo dicono le piazze che in questi mesi si sono riempite di giovani, donne, lavoratori. Ce la possiamo fare se contrasteremo quello che Baudelai e, col senno del suo tempo, aveva chiamato "l’avvilimento dei cuori”. Ci si avvilisce quando si scopre di essere privi di difese. Esposti al ricatto del più forte. O quando si è convinti di non avere un tempo davanti, ma solo il peso gravoso di molte eredità. Il Partito Democratico è nato per fare l’opposto. Noi siamo nati per restituire speranza, coraggio e fiducia a un paese che lo merita. E anche per questo oggi esporremo il tricolore fuori dalla finestra di casa”.

2. IL DRAMMA GIAPPONESE IMPONE A TUTTO IL MONDO LA RIFLESSIONE SUL NUCLEARE. IL NO SECCO DEL PD. IL GOVERNO DEGLI AFFARI E DEL CEMENTO FA L’ENNESIMA BRUTTA FIGURA.
Presi dall’ingordigia per gli affari collegati alla costruzione delle centrali nucleari, i cantori del cemento (per larga parte la costruzione delle centrali prevede cemento armato) hanno voluto
tenere il punto oltre ogni limite. In questo modo il governo italiano e tutta la maggioranza hanno finito per fare l’ennesima brutta figura di fronte al mondo, oltre che in Italia. Di fronte al disastro nucleare giapponese, ai rischi palesi, al dramma di un popolo in fuga dalle radiazioni, anche il governo italiano ha cominciato ieri a fare marcia indietro. Non si parla ancora di pausa di riflessione, ma l’indicazione che le centrali si potranno fare solo se le regioni interessate diranno sì la dice lunga. Di regioni interessate non ce ne sono. Il Pd ha rinnovato ieri il proprio no al ricorso al nucleare, il proprio sostegno al referendum ed ha inviato di nuovo il governo, per bocca del segretario Bersani, a rivedere subito gli incentivi alle fonti di energia rinnovabile, bloccati con un decreto che ha avuto l’effetto di una gelata su uno dei pochi settori industriali in crescita nonostante la crisi dell’economia.

3. TUTTO COME PREVISTO: IL CAVALIERE CHIEDE DI NON PRESENTARSI IL 6 APRILE IN TRIBUNALE. IL PDL RIPRESENTA LA PRESCRIZIONE BREVE ALLA CAMERA. E IL PALLONE DELLA RIFORMA EPOCALE SI SGONFIA.
Appena la magistratura ha chiuso l’inchiesta su Fede, Mora e Minetti, presentando tutte le carte sul caso di Ruby e delle altre 33 ragazze interessate al bunga bunga, la riforma epocale della giustizia è scomparsa dall’orizzonte e allo stesso modo è scomparso il proposito di Silvio Berlusconi di partecipare ai processi. Ieri, in significativo sincronismo, gli avvocati del presidente del Consiglio hanno presentato la richiesta di rinviare la prima udienza (6 aprile) del processo per concussione e prostituzione minorile a Milano e a Roma i parlamentari del Pdl hanno presentato gli emendamenti del governo al processo breve, prevedendo la introduzione di una prescrizione accelerata dei reati per gli imputati incensurati. La Pd Donatella Ferranti ha sintetizzato così il significato di quest’ultima mossa: «Ecco la maschera che cade: la norma serve al premier per scappare dai processi».

4. IL RIMPASTO VA IN PANNE. I RESPONSABILI CHIEDONO POSTI SUBITO. IL GOVERNO VA SOTTO IN PARLAMENTO. OGGI UNA CONFERENZA STAMPA IMBARAZZANTE. E INTANTO EMERGONO DIVERSI PAGAMENTI IN CONTANTI DA 250 MILA EURO ALLA VIGILIA DEL 14 DICEMBRE.
Silvio Berlusconi ci ha provato per l’ennesima volta: al presidente della Repubblica ha chiesto invano di poter modificare con un decreto il numero dei componenti del governo. Non ci sono i motivi della necessità e dell’urgenza, hanno confermato al Quirinale. Bisognerà procedere con un disegno di legge. Tempi lunghi dunque. E problemi per Berlusconi: ai cosiddetti responsabili, i parlamentari accorsi in soccorso della maggioranza traballante, ha promesso posti e prebende, i suoi parlamentari non hanno richieste meno pressanti, altre promesse devono essere soddisfatte. E le richieste sono il doppio dei posti disponibili. Il rimpasto è finito in panne. E l’effetto è ben visibile. Ieri, assenti molti deputati, che hanno anche voluto far vedere quanto pesa la propria presenza, il governo è andato sotto diverse volte. Sull’election day si è salvato solo per la defezione del deputato radicale Marco Beltrandi, che ha votato con la maggioranza e che è stato subito al centro di polemiche e accuse da parte degli altri democratici. Oggi conferenza stampa del ministro dell’Agricoltura in pectore rimasto ancora a bocca asciutta: Saverio Romano.
Intanto, dalle carte dei processi emergerebbero alcuni pagamenti in contanti nella vita del presidente del Consiglio. Giuseppe D’Avanzo, La Repubblica: “ In dicembre ci sono undici «cambi assegni» in quattordici giorni, a cavallo del 14 dicembre quando la Camera vota la fiducia al governo. Due soli negoziazioni sono trascurabili, il 21 dicembre per 40 mila euro e il giorno successivo per 14.687 euro. Al contrario, i restanti nove «cambi assegni» sono rilevanti. Ecco la sequenza. 9 dicembre, 270 mila. 10 dicembre, 274 mila. 13 dicembre, 250 mila. 14 dicembre, 250 mila. 15 dicembre, 250 mila. 16 dicembre, 250 mila. 21 dicembre, 250 mila. 22 dicembre, 350mila. 23 dicembre, 257 mila. A chi sono finiti questi soldi?...”

5. DOPO GRECIA E SPAGNA DECLASSATO IL PORTOGALLO. E SI RIACCENDONO I RIFLETTORI SUI DEBITI DEGLI STATI.
Moody’s ha declassato ieri, dopo la Grecia e la Spagna anche il debito sovrano del Portogallo. Il
debito pubblico sta dunque tornando sotto i riflettori dei mercati finanziari. E per l’Italia questa non è mai una buona notizia.

6. LIBIA, BENGASI ACCERCHIATA. BAHREIN IN RIVOLTA.
Le forze libiche fedeli a Gheddafi ormai circondano Bengasi. L’Occidente continua a discutere
sul modo migliore di affrontare questa emergenza. Nel Bahrein in rivolta la presenza di soldati
sauditi (di fede sunnita come la casa regnante in Arabia Saudita) sta avendo l’effetto della
benzina sul fuoco, considerato che la maggioranza dei residenti è di fede sciita (come il vicino
Iran).