3 gennaio 2012

L'agenda di Bersani: lettera a Repubblica.


Oggi su Repubblica è stata pubblicata la lettera di Bersani che analizza le sfide che dobbiamo affrontare, la necessità delle riforme, e il modo e la priorità di concentrarsi sul sociale. Clicca qui.

CARO DIRETTORE, come tutti dicono, abbiamo davanti un anno arduo e non semplice da interpretare. Vale forse la pena di "progettarlo" un po', togliendo di mezzo un eccesso di fatalismo. Vorrei cominciare con qualche prima idea.

1. La scena si apre sull'Europa. Fino ad ora le decisioni sono state deboli. L'agenda da qui a marzo di per sé non rassicura. Nelle opinioni pubbliche è ancora dura come il marmo quell'ideologia difensiva e di ripiegamento che le destre europee hanno coltivato, ricavandone inutili vittorie, e che i progressisti non hanno potuto o saputo contrastare, ricavandone larghe e dolorose sconfitte. Inutile illudersi. O si mette in comune rapidamente e seriamente la difesa dell'Euro (vincoli di disciplina, strumenti efficaci e condivisi contro la speculazione e per la crescita, politiche macroeconomiche coordinate) o sarà il disastro. Se davvero l'Italia è troppo grande sia per fallire che per essere salvata, allora è troppo grande anche per stare zitta. È tempo che ciascuno di noi faccia la sua parte in Europa; il Partito Democratico sta lavorando per la piattaforma comune dei progressisti europei. Ma è tempo anche di fare qualcosa assieme, qui in Italia. Governo e forze politiche possono determinare una posizione nazionale. Il Parlamento (che non esiste solo in Germania!) può articolarla e assumerla. Il nostro Presidente del Consiglio può interpretarla e gestirla al meglio. Le idee ci sono e vedo su di esse la possibilità di una larga convergenza. Il biglietto da visita delle nostre idee in Europa potrebbe essere così concepito: noi continueremo le nostre riforme e ci riserviamo ogni ulteriore iniziativa per rafforzare la nostra credibilità. Ma non faremo più manovre. A chi raggiunge il 5% di avanzo primario che cosa altro si può chiedere? Nel caso, nessuno pensi di trattarci come la Grecia. Come si diceva, siamo troppo grandi e quindi parecchio ingombranti. Se ne tenga conto.

2. Torniamo qui ai nostri compiti. Salvare l'Italia significa, al concreto, contrastare la recessione, produrre crescita e occupazione, dare una prospettiva alla nuova generazione. Salvare l'Italia è possibile solo se cambiamento e coesione si danno la mano. Se coesione e cambiamento diventassero un ossimoro, non ci sarebbe speranza. L'azione di governo deve dunque possedere un metodo fondamentale e un fondamentale messaggio. Quanto al metodo, emergenza e transizione pretendono una forma particolare di dialogo sociale tale da sollecitare partecipazione e corresponsabilità, salvaguardando comunque la decisione tempestiva. Si può fare e, a parer mio, si deve fare. Ma voglio sottolineare in particolare il metodo politico. Il Governo troverà la sua forza in un rapporto stabile, permanente e ordinato con i Gruppi Parlamentari; un rapporto da allestire anche nella fase ascendente delle decisioni. Si parli di mercato del lavoro, o di liberalizzazioni, o di politica industriale, di pubblica amministrazione, di immigrazione, di Rai e di cento altri temi, esistono in Parlamento, da ogni lato, idee inevase da anni e non necessariamente divisive. Dica il Governo il suo piano di lavoro, raccolga dal Parlamento orientamenti e idee e avanzi quindi le sue decisioni e le sue proposte. Noi non pretendiamo il cento per cento di quel che faremmo, e così sarà per gli altri. Ma la trasparenza e la chiarezza servono a tutti. Quanto al messaggio fondamentale, se nell'emergenza è in gioco il comune destino del Paese, si deve innanzitutto promuovere un'idea di comunità degli italiani. Ci si ricordi allora che la solidarietà è la materia prima di una comunità, è ciò che la distingue da una accozzaglia anarchica di interessi. Se vogliamo farcela, tutti assieme, i riflettori vanno dunque puntati su chi è più in difficoltà. Bisogna predisporre l'aiuto a chi sta vivendo e vivrà le condizioni più difficili, come l'assenza di lavoro, l'insufficienza di reddito o una disabilità abbandonata. Su questo, non ci siamo ancora. Occorre fare di più, cominciando col cancellare qualche inutile asprezza di alcune misure già adottate che suscitano un giusto risentimento.

3. La grande parte delle forze politiche e parlamentari si dichiarano interessate e disponibili ad una iniziativa di riforma delle Istituzioni e della politica. Il Presidente della Repubblica la sollecita autorevolmente. È evidente che un simile percorso significherebbe stabilità per il Governo e maggiore credibilità della politica e delle Istituzioni nella prospettiva della nuova legislatura.
Sto parlando della già avviata adozione di parametri europei nei costi della politica, di riduzione del numero dei Parlamentari, di riforma del bicameralismo, di radicale aggiornamento dei regolamenti parlamentari e, alla luce delle prossime decisioni della Corte, di riforma elettorale. Su tutto questo esistono proposte e appaiono possibili convergenze significative. Si intende fare sul serio? Intendiamo davvero passare dalle parole ai fatti? Questo pronunciamento tocca innanzitutto ai segretari dei partiti, ovviamente non solo a quelli che hanno votato la fiducia al Governo, ma a partire da loro. C'è poco tempo ed è quindi ora di prendersi impegni pubblici, espliciti e dirimenti. I tre punti che ho segnalato dovrebbero essere, a parer mio, l'agenda di gennaio. Infine una parola per chi, nel gioco ormai stucchevole fra tecnica e politica, si predispone a promuovere, chissà in quali forme nuove, l'edizione 2012 dell'antipolitica. L'Italia ha già dato. Per quello che ci riguarda il Partito Democratico ha compiuto un gesto propriamente politico, trasparente e generoso, nel sostenere questa transizione e si predispone ad offrire agli elettori, quando sarà il momento, una proposta riformista e democratica di ricostruzione, alternativa al decennio populista. Siamo pronti a riconoscere in termini nuovi i codici e i limiti della politica. Anche in questo difficile passaggio, tuttavia, siamo convinti di poterne rafforzare la dignità e l'indispensabile ruolo. (03 gennaio 2012)

Da PD e Idv un coro di no contro l'acquisto dei caccia F-35.

«Con i 15 miliardi che si potrebbero risparmiare cancellando l'acquisizione degli f-35 jsf si potrebbero fare molte cose: ad esempio costruire duemila nuovi asili nido pubblici, mettere in sicurezza le oltre diecimila scuole pubbliche che non rispettano la legge 626 e le normative antincendio, garantire un'indennità di disoccupazione di 700 euro per sei mesi ai lavoratori parasubordinati che perdono il posto di lavoro». Fanno i conti in tasca al governo le oltre quaranta associazioni che hanno lanciato la campagna "Sbilanciamoci" contro l'acquisto dei 131 bombardieri f35 da parte del ministero della difesa.

La raccolta firme su www.sbilanciamoci.org «chiede al governo di destinare i fondi risparmiati alla garanzia dei diritti dei più deboli ed allo sviluppo del paese investendo sulla società, l'ambiente, il lavoro e la solidarietà internazionale». venti miliardi di euro (15 per il solo acquisto e altri 5 in parte già spesi per lo sviluppo e le strutture di assemblaggio) la cifra di cui si parla in un momento, sottolineano le organizzazioni, in cui le manovre approvate porteranno gravi conseguenze sui cittadini. questa seconda fase della campagna, denominata «taglia le ali alle armi!» è partita nel settembre scorso. nella prima, erano già state raccolte 19.900 adesioni online, 16.000 firme cartacee e 388 adesioni di organizzazioni.

Ma il mondo delle associazioni non è l'unico a chiedere un ripensamento all'esecutivo di Monti. Molte le voci che si alzano anche dai banchi della politica.

IGNAZIO MARINO

«Si vogliono eliminare gli sprechi? Basterebbe un deciso taglio degli armamenti - spiega il senatore del Partito Democratico -. Abbiamo mantenuto l'impegno di spesa di 29 miliardi di Euro per 121 aerei da caccia, 131 F-35 e 100 elicotteri da combattimento NH90: con il solo costo di due cacciabombardieri F-35 si potrebbero trovare fondi per il sostegno dei giovani precari oppure sostenere investimenti per la ricerca e l'innovazione».

ANTONIO DI PIETRO

«Noi dell'Italia del Valori denunciamo quest'assurda situazione da mesi, ma ancora qualche settimana fa, quando il ministro della Difesa ammiraglio De Paola ha detto che a tagliare le spese militari non ci pensava proprio, nessuno tranne noi aveva fiatato. Adesso - prosegue - è lo stesso ministro ad ammettere che anche per le Forze armate ci vorrebbe un pò d'austerità. Purtroppo, però, alle sue belle parole è probabile che seguano pochi fatti. Il ministro, infatti, vorrebbe risolvere il problema licenziando. Con 40-50mila militari in meno ci sarebbe un bel risparmio. Glielo va a spiegare lui, poi, a quelle decine di migliaia di persone e alle loro famiglie come sopravvivono una volta che saranno rimasti senza stipendio. Comunque lui stesso ha poi aggiunto che quei licenziamenti sono impossibili. Per fortuna, diciamo noi. Quello che, invece, il ministro non vuole fare assolutamente è tagliare le spese per le armi. Abbiamo ordinato 131 caccia bombardieri F-35».

NICHI VENDOLA

Il governatore della Puglia, in un messaggio su twitter, fa sue le parole di Elettra Deiana: «Le Forze Armate sono sovradimensionate, costano troppo, ci sono troppi soldati e soprattutto troppi ufficiali e sottoufficiali: così più o meno il Ministro della Difesa Di Paola nel suo messaggio di fine anno. In tutto180 mila militari, spese record, sprechi, inefficienze, privilegi ingiustificati. Ridurre e modernizzare il personale? L’idea del ministro è questa, insieme salvando, ovviamente, i sistemi d’arma, gli F35, la missione in Afghanistan. Tagliare da una parte – se si taglierà – per avere più risorse da destinare agli armamenti e alle missioni. Il rischio è questo. Da contrastare».

fonte l'Unità.