di Jacopo Scandella
“Il primo che passa non può scegliere il mio Segretario!”, oppure
“ma allora a cosa serve fare la tessera al Partito?”
Sono due delle
domande più ricorrenti che mi trovo a
fronteggiare durante le Feste Democratiche della provincia. Tra
primarie aperte, ruolo degli iscritti, coincidenza tra segretario e
candidato premier, provo a dare il mio contributo al dibattito che anima
il nostro Partito alla vigilia dell’assemblea nazionale che dovrà
stabilire le regole del prossimo
congresso.
Prima di tutto, dobbiamo chiarirci una cosa: nel 2007, quando abbiamo
dato vita al PD, ci siamo detti che sarebbe stato un Partito di “
iscritti ed elettori” (Statuto Nazionale).
Perché lo abbiamo fatto? La prendo da lontano.
Nel 1977, il Partito Comunista Italiano contava 1 milione e 800 mila
iscritti. Una platea vastissima, che rappresentava in maniera piuttosto
fedele un elettorato composto da circa 10 milioni di persone. Una classe sociale
omogenea,
quella operaia, che si riconosceva nel Partito come tutelante dei
propri interessi e delle proprie battaglie. Il PCI era un partito di
sindacato, che nell’immaginare una società “diversa”, lottava nelle
istituzioni per tutelare in primo luogo i bisogni dei propri iscritti. I
quali “pesavano” nelle scelte, eccome. Proprio perché
rappresentativi di tutti (o quasi) quelli che il Partito lo votavano.