di Pietro Greco - Micron
Inutile girarci intorno: a Madrid si è consumato un fallimento. Che non è solo il mancato accordo sul double counting e sul loss and damage. Ma che è anche e soprattutto lo iato tra il livello di allarme indicato dalla comunità scientifica e l’allegra spensieratezza con cui risponde la gran parte dei governi di tutto il mondo procede, condita (e, dunque, permessa) dalla quasi indifferenza del mondo dei media.
Stiamo parlando, è chiaro, di COP 25, la venticinquesima Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che per due settimane si è inutilmente tenuta nella capitale spagnola.
L’avverbio – inutilmente – non è dettato dalla pancia del cronista che segue il circo dell’ecodiplomazia da più di trent’anni. È piuttosto la sintesi di un bilancio freddo e razionale, tanto amaro perché non prevenuto. Sappiamo infatti che non è facile mettere d’accordo i rappresentanti di quasi duecento paesi più l’Unione Europea, di cui diremo qualcosa (di positivo) di qui a poco. Ma è meglio che giudichi il lettore.
La COP 25 che doveva tenersi a Santiago del Cile ma è poi è stata spostata a Madrid per i noti fatti che hanno sconvolto il paese sudamericano non era programmata per fare la rivoluzione. Era una tappa di avvicinamento per COP 26 che si terrà a Glasgow esattamente tra un anno. Era stato deciso così alla COP 21 di Parigi del 2015. Chiediamo al lettore perdono: sappiamo che non è semplice navigare tra questi numeri e tra questi appuntamenti.