18 maggio 2021

Non chiamatela guerra: quello di Israele a Gaza è un massacro a senso unico

Una superpotenza militare, economica e politica, contro un fazzoletto di terra sovrappopolato e poverissimo: questo è ciò di cui parliamo quando parliamo del “conflitto” tra Israele e Gaza. Ecco quel che facciamo finta di non vedere. Ecco perché l’equidistanza non è obiettività. Ecco perché l’Occidente dovrebbe fare una sola cosa: chiedere a Israele di smettere di segregare, discriminare, bombardare. 

di Francesco Cancellato - Fanpage.it

Le parole sono importanti? Bene, e allora smettiamo di chiamarla guerra, quella tra Israele e Palestina. O meglio, smettiamo di raccontare la storia per cui ci sono due parti che lottano per far soccombere l’altra. Un tempo era così, forse. Oggi, nonostante tutto, le forze in campo sono talmente sbilanciate che non ha più nemmeno senso parlare di conflitto. Ma di massacro. A senso unico.

Lo raccontano le cifre di poche ore di bombardamenti su Gaza, 122 morti dall’inizio delle ostilità, 33 dei quali bambini, 11 solo nelle ultime 24 ore, cui si sommano più di 250 feriti, contro i sette morti israeliani. Lo racconta, anche, la facilità con cui Israele, grazie al sistema d’arma mobile Iron Dome – letteralmente Cupola di Ferro – ha intercettato e reso inoffensiva la pioggia di missili di Hamas su Tel Aviv e su numerose altre città.

Ancora più delle cifre, tuttavia, lo racconta la sproporzione della forza economica e militare in campo, con un fazzoletto di terra lungo 40 chilometri e largo 10, poverissimo e sovrappopolato come nessuno al mondo che si ritrova a combattere nemmeno si capisce bene per cosa contro un nemico ricchissimo, all’avanguardia globale della tecnologia militare e scientifica – parliamo del primo Paese al mondo che ha raggiunto l'immunità di gregge contro il Covid-19 –  che per di più lo circonda su tre lati del confine, di fatto assediandolo e impedendo la libera circolazione dei suoi abitanti, anche solo per cercare un lavoro altrove.