10 giugno 2018

È il momento di decidere da che parte stare

Il neo-premier afferma che sono finite le visioni del mondo, le ideologie, ma nella coalizione c’è fortissima quella della Lega. E se il M5S non vuole farsi assorbire, dovrà prendere una sua posizione. E anche l'opposizione deve rigenerarsi    di Marco Damilano

Pierre Carniti è morto mentre il Senato votava la prima fiducia al nuovo governo. Aveva 81 anni, la voce roca dal fumo dei sigari e dai mille comizi, era nato a Castellone, papà operaio, «a casa eravamo in otto e c’erano due stanze, una per viverci, l’altra per dormire, abbiamo fatto la fame. Non mi chiedete quale è stato il mio primo incontro con la realtà che chiede aiuto al sindacato: io dentro questa realtà ci sono nato...», raccontava. Divenne il capo dei metalmeccanici della Fim-Cisl all’inizio degli anni Settanta, durante l’autunno caldo, 270 mila tute blu iscritte, e poi segretario della Cisl. Un riformista, un cattolico non democristiano, un socialista. «Ha grinta, tenacia, è intransigente, uomo dai rancori lunghi, le sue famose furie improvvise gli salgono alla gola anche durante le trattative, “quando vogliono farmi credere che Gesù era morto di freddo”», lo raccontava Giampaolo Pansa.

Soumayla Sacko aveva 29 anni, era venuto dal Mali, viveva in Calabria, era sindacalista anche lui, impegnato nell’Usb, l’Unione sindacale di base. Organizzava le lotte per i diritti dei braccianti agricoli sfruttati nella piana di Gioia Tauro e costretti a vivere nell’inferno della tendopoli di San Ferdinando. Lo hanno ucciso a fucilate mentre stava raccogliendo lamiere abbandonate per le baracche con due compagni. Lavoratori pagati due euro all’ora, senza nessun rispetto delle condizioni minime di lavoro, come racconta l’inchiesta di Antonello Mangano in edicola sull'Espresso da domenica 10 giugno.

Pierre Carniti e Soumayla Sacko erano due sindacalisti, di due epoche diverse. Due difensori dei lavoratori, in un tempo antico e nel nostro presente. L’Italia passata in tempi brevissimi nel dopoguerra dalla fame al benessere, dal sindacato dei poveri al pan-sindacalismo dei diritti, delle rivendicazioni (e dei privilegi di una generazione) negli anni Settanta-Ottanta, prima della grande ristrutturazione capitalista. E l’Italia dei giorni nostri, del lavoro atomizzato, precario, il lavoro che non c’è, l’Italia dei nuovi fantasmi, gli invisibili con regolare permesso di soggiorno e ridotti a schiavi, senza cittadinanza e senza il diritto di esistere. Nella diversità della loro vita e della loro fine, specchio delle abissali trasformazioni del Paese in questi decenni, sono stati due combattenti, di parte, certi della parte che avevano deciso di rappresentare, sicuri di stare da una parte sola.

Pensavo a Carniti e a Soumayla mentre assistevo da una tribuna di Palazzo Madama all’esordio parlamentare della squadra ministeriale presieduta dal professor Giuseppe Conte. Eccolo, il Governo del Cambiamento.