5 novembre 2019

Migranti. La strategia dei «porti chiusi» non ha ridotto partenze e morti

sabato 2 novembre 2019 - Avvenire.it
Michele Cantarella  - Ricercatore di Economia all’Università di Modena e Reggio Emilia

Uno studio dimostra l'inefficacia della politica di deterrenza nel Mediterraneo. I costi «umani» da Minniti a Salvini
 
Nel corso degli ultimi anni, guerre e disordini in Medio Oriente e Africa hanno generato un flusso di rifugiati verso l’Europa d’intensità senza precedenti, molti dei quali hanno tentato di raggiungere le nostre coste attraversando il Mediterraneo: percorrendo le tre tratte, in ordine di intensità, del Mediterraneo centrale, verso Italia e Malta, occidentale, verso la Spagna, ed infine orientale, verso Grecia e Cipro. Questo è ben lungi dall’essere un viaggio sicuro, come testimoniato dalle innumerevoli e ininterrotte tragedie in mare. L’attraversamento del Mediterraneo, infatti, non è solo il modo più veloce per raggiungere le coste europee (spesso è necessario meno di un giorno di navigazione per raggiungere la destinazione) ma, per molti richiedenti asilo, questa è spesso anche l’unica alternativa.

In effetti, l’evoluzione della crisi di profughi e migranti in un disastro umanitario ha dominato il discorso politico e creato non pochi attriti tra gli Stati membri dell’Ue (e all’interno dei Paesi: basti pensare allo scambio di accuse sui dati degli ultimi sbarchi tra l’attuale ministro dell’Interno Lamorgese e il suo predecessore Salvini). Mentre le Ong hanno tentato di sopperire con mezzi propri alle mancanze nazionali ed intergovernative, gli Stati membri dell’area mediterranea si sono trovati ad affrontare, per lo più da soli, un problema a cui linee di pensiero diverse hanno dato risposte contrastanti: da un lato, abbiamo l’approccio idealista, a difesa dell’obbligo morale al soccorso; dall’altro, un approccio, che si potrebbe definire realista, a sostegno della tesi per cui la riduzione dei soccorsi ridurrebbe gli sbarchi e, di riflesso, anche le morti.