Maroni porta dunque a casa l'agognata e travagliata riforma sanitaria e,
sornione, ringrazia le opposizioni, perché, dice, se ci fosse stato lui
al loro posto, si sarebbe andati sicuramente a settembre.
Ma che cosa porta di nuovo questa riforma?
Maroni sostiene che offra un modello per i prossimi 20 anni di sanità e
welfare in Lombardia. Il tutto passerebbe da un fortissimo legame degli
ospedali con il territorio a partire dal quale si potrà dare risposte
innovative e sviluppare l'eccellenza del sistema sanitario lombardo.
Noi siamo propensi a credere che sia in agguato il rischio di un grande
equivoco: va bene rinsaldare il legame degli ospedali con i territori,
ma attenzione a non farli soffocare nell'erogazione di prestazioni che
avranno sempre più a che fare con la cronicità e le lungo degenze e non
saranno in grado di stare al passo con le grandi partite della sanità
europea e internazionale. La sanità territoriale va fatta rinascere,
dopo la vera e propria decimazione che i servizi di prossimità ai
cittadini hanno progressivamente subito nella stagione formigoniana e
post-formigoniana, ma non va persa di vista la necessità che ricerca e
sviluppo non siano esclusivamente appiattite sulle necessità del
territorio.
Da questo punto di vista, come ha sottolineato nel suo intervento
conclusivo in aula il nostro capogruppo Enrico Brambilla, questa riforma
è una grande incompiuta, perché si limita a disegnare un più che
ipotetico nuovo sistema di governance e non offre reali prospettive di
sviluppo e innovazione di un sistema sanitario che rischia di rimanere
ostaggio dei precari equilibri di forza della maggioranza maroniana.