29 novembre 2011

Una maggioranza risicata approva il PTCP di Monza e Brianza.


Fonte sito PD Monza e Brianza.

Molto critico il Pd, che nei prossimi giorni presenterà le sue proposte
: "La provincia non pone un argine al consumo di suolo". Un largo numero di comuni della provincia di Monza non condivide il Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) proposto dalla giunta Allevi e approvato oggi nell'assemblea dei sindaci da una maggioranza molto ridotta delle Amministrazioni comunali brianzole (delle 33 presenti stamani, su 55, 18 hanno detto sì, 14 no e 1 si è astenuta).

Lo sottolinea il gruppo provinciale di Monza del Pd, che nei prossimi giorni illustrerà le proprie proposte. Dopo il parere espresso oggi dai sindaci, il Ptcp sarà presentato e discusso in Consiglio provinciale a partire dal prossimo 15 dicembre.

"Un documento che non raccoglie neanche la maggioranza assoluta dei sindaci brianzoli – commenta il capogruppo Domenico Guerriero. La provincia, con il proprio documento, non pone un argine al consumo di suolo, anzi: rispetto al Ptcp in vigore aumenta il territorio urbanizzabile.

Su Pedemontana – continua Guerriero - viene solo considerato il tracciato senza nulla dire su che ne sarà delle aree intorno, mentre sulle aree agricole da considerare strategiche la Provincia ha praticamente escluso tutte quelle su cui i comuni pensano di sviluppare in futuro nuove edificazioni.

Con questo piano, insomma – conclude il capogruppo Pd – l'amministrazione provinciale ha rinunciato a dare precise indicazioni e disposizioni ai comuni su come tutelare in modo più incisivo uno dei territori più cementificati del nostro Paese".

Sulbiate Consiglio Comunale: questa sera - martedì 29 novembre - inizio ore 21,00.


Oggi Consiglio Comunale di Sulbiate.

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Durban: s.o.s. terra, ultima chiamata?

Il protocollo di Kyoto è il trattato del 1977 che impegava gli stati aderenti nella limitazione delle emissioni di gas serra ( i principali esponsabili dei probelmi dovuti al riscaldamento globale) scade il primo gennaio 2013.

E' urgente e necessario rinnovare e ristabilire gli impegni. Ma ancora ad oggi non si conoscono esattamente i termini, nè quanti paesi sono pronti a sottoscrivere una comune intesa per proteggere la nostra atmosfera.

Intanto tra il 1990 e il 2009, le emissioni di gas serra sono aumentate del 38%.



Ieri si è aperta a Durban in Sud Africa la difficile conferenza dell'Onu sul clima. Difficile perchè USA e Cina, che da soli costituiscono il 50% della produzione dei gas, già allora, non aderirono al protocollo di Kyoto. Inoltre sembrerebbe che Giappone, Canada, Russia, non abbiano intenzione di firmare nuovi impegni per il futuro, mentre i paesi in via di nuova industrializzazione cercano di rinviare l'obbligo di particolari limitazioni. Purtroppo lo scenario non è dei più confortanti.

Se il riscaldamento del Pianeta dovesse aumentare di altri due gradi le conseguenze sarebbero catastrofiche.

Dalla conferenza di Durban il mondo attende importanti risposte. L'atmosfera è malata e si deve agire prima che sia troppo tardi, prima che si sia superato il punto di non ritorno.

La nota del mattino del 29 novembre 2011.

1. IL MONDO RALLENTA. L’ITALIA VA IN RECESSIONE. MOODY’S E COMPAGNI VEDONO NERO. MA IL VERTICE USA-EUROPA E LA PROSPETTIVA DI UN PIANO PER SALVARE L’EURO PORTANO UN POCO DI PACE. SE L’8 E IL 9 DICEMBRE L’EUROPA DECIDE SI APRE UNA NUOVA FASE. SE NON DECIDE, SARA’ TEMPESTA.
L’Ocse, l’organizzazione che raggruppa i paesi industrializzati nel mondo, vede nero. L’economia rallenta in tutto il mondo. L’Italia andrà addirittura in recessione, cioè il valore della ricchezza che sarà prodotta dall’intero paese nel 2012 sarà inferiore a quello prodotto nel 2011.
E’ una notizia pessima, soprattutto per i posti di lavoro. Ed è anche una notizia che conferma che hanno ragione tutti gli economisti e i politici, da Obama al Pd, che sollecitano da tempo una spinta alla crescita e non solo un cieco rigore sui conti, che pure è necessario. In questo contesto il compito del governo Monti diventa ancora più difficile.
Il presidente Usa, Barack Obama, ha incontrato ieri il presidente della Commissione europea Barroso e il presidente del Consiglio europeo Rompuy. In altri tempi sarebbero stati il cancelliere tedesco, il presidente francese o il capo del governo italiano a vedere il presidente Usa. Per la prima volta l’Europa intera si sente rappresentata dal vertice della Commissione. E non solo: Obama e Barroso hanno convenuto che occorre fare tutto per salvare l’euro.
L’accordo tra le due sponde dell’Atlantico ha portato un po’ di ottimismo. Le borse hanno chiuso in attivo in tutto il mondo. Ora però tocca all’Europa: se nel vertice del 9 dicembre saranno presi provvedimenti all’altezza dei problemi (poteri alla Bce di funzionare come prestatore di ultima istanza, accordi bilaterali tra Stati per far avanzare il raccordo nelle politiche di bilancio, altre forme di intesa o altro ancora) questa potrebbe essere la prima tappa per uscire dal tunnel. In caso contrario sarà di nuovo tempesta e potrebbero avverarsi le previsioni più cupe, come quella di Moody’s, secondo la quale saranno possibili diversi sganciamenti dall’euro e diversi fallimenti in Europa.
Da Il Corriere della Sera. Articolo di Massimo Gaggi. “Modello Federal Reserve per la Bce, la Banca centrale europea. E` questa, secondo Washington, la via maestra per il salvataggio dell`eurozona. La Casa Bianca lo va ripetendo da tempo, anche se pubblicamente ricorre a varie metafore per non urtare la suscettibilità dei partner della Uee, soprattutto, della Germania. Quattro settimane fa, al G2o di Cannes, in tutti i «briefing» i rappresentanti di Obama hanno spiegato che gli Usa sono pronti ad aiutare l`Europa, anche «mettendo a disposizione l`esperienza accumulata nella gestione della crisi finanziaria del 2008-2009»: quella affrontata col Tarp, il fondo di salvataggio del Tesoro, e un imponente manovra di sostegno alle banche attraverso immissioni di liquidità della Fed (la Banca centrale Usa) praticamente senza limiti. Ieri, incontrando alla Casa Bianca i leader dell`Unione il capo della Commissione Ue, José Manuel Barroso e il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy - il presidente americano ha ribadito il pieno appoggio di Washington agli sforzi dell`Europa per evitare un collasso della sua unione monetaria. Poi, rivolto ai giornalisti che si mostravano delusi per l`assenza di novità eclatanti, ha spiegato che è «difficile far venir fuori grandi notizie quando due interlocutori vanno d`accordo
quasi su tutto». In realtà, però, l`approccio alla crisi sulle due sponde dell`Atlantico è stato fin qui piuttosto diverso, soprattutto a causa della rigidità di un modello europeo che affida alla Bce un ruolo diverso da quello della Fed, che negli Usa può muoversi a tutto campo. Il «pressing» di Obama sulla cancelliera Angela Merkel perché anche l`Eurotower di Francoforte rischi di più senza trincerarsi dietro il rispetto formale di trattati e regolamenti in una fase così drammatica, fin qui ha avuto poco successo. Ma gli eventi dell`ultima settimana- le prime, promettenti mosse del governo Monti sulla scena internazionale, le crescenti difficoltà della Francia, la Germania lambita anch`essa dalla crisi in occasione di un`asta dei Bund, il nuovo piano di salvataggio dell`euro discusso nel week end scorso e che potrebbe essere varato il 9 dicembre - hanno aperto uno spiraglio. I mercati, ieri in forte recupero, hanno subito percepito il segnale e lo stesso Obama ha cercato di aprire un varco: il vertice annuale con i leader arrivati da Bruxelles è stato dedicato soprattutto alle misure necessarie per rilanciare l`interscambio commerciale tra le due sponde dell`Atlantico e per coordinare meglio la politica estera di Washington e Bruxelles sulle sanzioni all`Iran, sull`Afghanistan, il Medio Oriente e l`Est europeo. Comprensibile l`insistenza sul commercio, visto che Usa e Ue, insieme, rappresentano oltre la metà del Pil mondiale. Obama è estremamente preoccupato dalla prospettiva di una recessione dell`Europa, tuttora di gran lunga il primo importatore di merci e servizi Usa, che potrebbe avere conseguenze gravi per un`economia americana già in affanno, quando mancano ormai solo 11 mesi alle elezioni presidenziali. A un`Europa che si è sentita un po` marginalizzata dal recente viaggio di Obama nell`area del Pacifico - una missione durante la quale si è parlato molto della centralità acquisita da questo oceano a scapito dell`Atlantico-Washington risponde con un «TransAtlantic Trade Pact» che richiama in parte la nuova zona di libero scambio che sta nascendo tra le due sponde del Pacifico: un piano per realizzare un patto commerciale capace di rilanciare gli affari e l`occupazione che è diventato il cuore del documento congiunto di ieri. A chi chiede che, con l`Europa semiparalizzata da vincoli normativi e diffidenze reciproche, sia il Fondo monetario a intervenire con enormi prestiti-ponte a favore di Italia e Spagna - interventi talmente massicci da scoraggiare la speculazione per un lungo periodo di tempo - viene risposto che il Fondo non disporrebbe delle risorse sufficienti per affrontare un simile onere, nemmeno se tutti i suoi principali soci fossero d`accordo su un massiccio rifinanziamento della grande istituzione multilaterale. Cosa che i Paesi emergenti sono restii a fare, mentre gli stessi Usa, pur offrendo solidarietà e parlando genericamente di aiuto, continuano da settimane a ripetere che l`Europa ha gli strumenti e le risorse per farcela da sola. Ma a questo punto, pur di convincere la Germania a cambiare rotta sulla Bce, Obama sembra disposto a concedere qualcosa sul Fmi, chiamato a integrare, non a sostituire, gli interventi della Banca centrale europea”.

2. IL GOVERNO ORA E’ AL COMPLETO. L’ITALIA HA VENTI GIORNI PER USCIRE DAL TUNNEL E FAR VEDERE CHE FA SUL SERIO.
Fatti i viceministri e i sottosegretari, il governo è ormai nel pieno delle sue funzioni. Ora tocca ai provvedimenti. E sarà la vera prova del fuoco. L’Italia dovrà dimostrare di saper fare “i compiti a casa” come dice Monti, anche per poter dire la propria al tavolo europeo e mondiale su come si può uscire dalla crisi. Ci resta ormai poco tempo.
Da Il Corriere della Sera. Articolo di Federico Fubini. “I venti giorni per salvare l`Italia iniziano ora e stavolta è difficile che si possa conquistare altro tempo. I decisori
d`Europa hanno già militarizzato il calendario del mese di dicembre come la mappa della battaglia decisiva. La Banca centrale europea, il governo italiano, la cancelleria tedesca: in tutte le stanze del potere, chi può sta piantando bandiere e spostando le proprie forze sulla carta geografica per evitare un cedimento. Che poi lo stesso risultato si riproduca nella realtà, dipenderà dalla determinazione con cui le decisioni dei prossimi giorni saranno prese.
Il momento per convincere i mercati e la Bce per l`Italia è questo: un confronto formale su nuovi eventuali interventi, a Francoforte, non partirà prima di aver preso visione delle misure del governo. Poi tutto il processo potrà - o potrebbe - finalmente accelerare. Il primo passaggio è già all`Eurogruppo dei ministri finanziari europei di oggi, un debutto con il cappello da ministro dell`Economia nel quale Mario Monti presenterà le misure a cui lavora il governo. Queste arriveranno sono lunedì prossimo e, visto da Francoforte, non si tratta di un passaggio meramente formale. Il capitale di credibilità del premier è intatto nelle capitali d`Europa, ma quello del Paese che rappresenta e del Parlamento che lo sostiene non più. La Bce vuole veder chiaro nelle misure - numeri, scadenze, meccanismi - prima di discutere formalmente qualunque nuova iniziativa a favore dell`Italia. Non che il presidente Mario Draghi dubiti di Monti, ma molti nel Consiglio della banca si sono già sentiti traditi dall`Italia quando Silvio Berlusconi tirò i remi in barca dopo i primi interventi dell`Eurotower in agosto. Ora non hanno più voglia di prendere rischi: la crisi dell`euro in fondo è anche la crisi dei loro posti di lavoro, oltre a quella di un continente. Dunque solo dopo il Consiglio dei ministri di lunedì prossimo tutto potrà accelerare. Se la Bce riterrà che le misure italiane possono rassicurare i mercati (alla lunga) sulla capacità del Paese di crescere, discuterà nuovi interventi. Alcuni nel Consiglio direttivo di Francoforte pensano ad acquisti illimitati di titoli di Stato italiani (e spagnoli), solo una volta superato un certo livello degli spread. Per ora però sembra più probabile che l`Eurotower si orienti su acquisti incisivi sì, ma solo fino alla soglia dei 20 miliardi alla settimana. Su questo, si considera ancora escluso che un annuncio possa arrivare già nel prossimo vertice della Bce dell`8 dicembre. Per allora la banca centrale si concentrerà nel montare una enorme camera a ossigeno per le banche europee. L`infrastruttura si fonderà su due pilastri: un`asta illimitata di liquidità a tre anni, più la scelta di accettare in garanzia per i prestiti agli istituti anche titoli di scarsa qualità. Così l`Eurotower intende sostituirsi al mercato paralizzato da una glaciazione forse peggiore che ai tempi del crac di Lehman. La liquidità illimitata a tre anni, punta infatti a permettere alle banche di rimborsare i debiti in scadenza e intanto di continuare a concedere crediti alle famiglie o alle imprese anche sulle scadenze medio-lunghe. Oggi la sfiducia è tale che molte banche trovano fondi sul mercato solo a scadenza di un giorno, non oltre. Ma hanno esposizione sulle imprese o sui mutui a venti o a trent`anni: possono recuperare i loro soldi solo in un futuro distante, ma devono rimborsare i debiti ogni giorno. «È come guidare in autostrada con un joystick al posto del volante», osserva un banchiere. Il rischio dì un incidente è elevatissimo. Sarebbe un disastro a catena: solo nel primo trimestre del 2012 il settore del credito in Europa ha bisogno di fondi per 280 miliardi di euro per evitare un`insolvenza, poi di 800 miliardi su tutto l`anno.
Di qui anche l`idea della Bce di accettare dalle banche titoli di dubbia qualità in garanzia per i suoi prestiti. Per molte banche, può rivelarsi una pozione salva-vita. Soprattutto gli istituti di media o piccola taglia hanno infatti già esaurito la carta «solida» da portare in Eurotower in cambio di fondi freschi e, senza questa svolta, non
potrebbero più alimentarsi alla banca centrale. Per l`istituto di Draghi è un rischio, ma non c`è scelta. A quel punto la mappa di dicembre prevede il vertice europeo del 9. Monti allora spiegherà le misure dell`Italia e, sperabilmente, convincerà. Angela Merkel - sostenuta da Nicolas Sarkozy perché il leader francese non ha altra scelta - cercherà di far passare le proprie: la Germania punta al massimo dei vincoli nella sorveglianza di bilancio dei Paesi dell`euro. Contro il potere di veto europeo sulle decisioni di bilancio nazionali si è già alzato un fuoco di sbarramento e per ora Merkel è arretrata. Ma altre proposte di pari impatto certo seguiranno: dal vincolo di pareggio in costituzione alle sanzioni rafforzate. A quel punto tutto sarebbe pronto, nella settimana che inizia il 12 dicembre, perché la Bce incrementi la sua azione di sostegno ai titoli di Stato. Non è certo troppo presto: l`Italia deve rifinanziare circa 150 miliardi nel primo trimestre del 2012, l`area-euro in totale circa 400. Il mercato è oggi quasi del tutto chiuso, eppure le banche e gli Stati d`Europa hanno bisogno di circa 700 miliardi nei prossimi tre mesi e mezzo solo per non collassare. Non è una battaglia disperata, ma è da combattere e chiudere in fretta. Presto il mercato capirà che la crescita italiana l`anno prossimo può toccare un nadir di meno 3%. A quel punto sarà chiaro che il buco di bilancio che separa dal pareggio nel 2013 sarà più largo. E il debito rischia di non scendere (o di salire) in rapporto a un`economia che arretra. Una definitiva perdita di fiducia degli investitori diventerebbe tutt`altro che impossibile. Per questo la mappa dei prossimi dieci o venti giorni è quella vitale per mettersi in salvo: in caso contrario, ciò che verrà dopo sarà solo un lungo campo minato. Da attraversare solo, se ce ne saranno le risorse, incatenati alle guide dell`Fmi”.

3. DISASTRO SCUOLA. UNA DELLE EREDITA’ DELLA DESTRA. MA NON ERA INCAPACITA’ A GOVERNARE: ERA VOLONTA’ POLITICA.
La Fondazione Agnelli fa l’ennesima indagine sulla scuola e presenta il risultato: la scuola media è al disastro. Dopo anni e anni di egemonia berlusconiana e della destra, la scuola pubblica ormai è ridotta al lumicino.
Da La Stampa. Articolo di Flavia Amabile. “La scuola media esce a pezzi dall`analisi della Fondazione Agnelli. Il rapporto del 2011 è tutto dedicato al ciclo intermedio dell`istruzione:160 pagine di numeri e analisi che descrivono un fallimento. Che altro si potrebbe dire di una scuola da cui 1 professore su 3, se può, scappa? O dove addirittura si trovano insegnanti (quasi uno su dieci) che non esitano a criticare il loro stesso mestiere? Persino un maestro (o una maestra) su 4 delle elementari la considerano un disastro, anche se si tratta di un ciclo superiore e quindi una specie di traguardo a cui aspirare. Nulla, bocciata anche da loro. Insomma qualcosa non va nelle scuole medie italiane. L`ex ministro dell`Istruzione Mariastella Gelmini probabilmente la considererà per sempre la sua riforma mancata, l`ultima, quella che avrebbe completato la sua opera. Non è detto che gliel`avrebbero permesso nemmeno se il governo Berlusconi fosse rimasto in carica l`intera legislatura ma per non perdere tempo stava preparando una riforma dell`esame di terza media. E comunque alla fine i ragazzi e le famiglie italiane dovranno convivere con la secondaria inferiore ancora per un po`. Non è un bel vivere a giudicare da quel che si legge nel Rapporto 2011 della Fondazione Agnelli. I professori potrebbero essere i nonni dei loro alunni. Se i docenti italiani sono già i più anziani all`interno dell`Ocse, quelli delle scuole medie detengono il primato assoluto: sono più vecchi persino di quelli delle scuole elementari e superiori italiane, età media dei prof di ruolo di oltre 52 anni,
e una loro concentrazione soprattutto nella fascia fra i 58 e i 60 anni. Nessun insegnante di ruolo ha meno di 35 anni. E comunque trovarne è una vera rarità: oggi si diventa di ruolo a oltre 40 anni, il doppio rispetto a quello che avveniva all`inizio degli Anni Settanta. Quel che più lascia sbigottiti è che i meno soddisfatti della propria formazione sono proprio loro, i prof. Le tecnologie? Il 46% ritiene inadeguata, o poco adeguata, la propria preparazione contro il 39% degli insegnanti delle elementari e il 43% di quelli delle superiori. La multiculturalità?
Non ne parliamo: il 44% dei prof delle medie si ritiene non all`altezza rispetto al 27% delle elementari e il 43% delle superiori. Persino per comunicare con i genitori il 47% ritiene di non avere gli strumenti necessari invece del 30% delle elementari e del 45% dellesuperiori. Stesso discorso per la gestione della classe: il 39% non si ritiene preparato a sufficienza contro il 21% delle elementari e il 36% delle superiori. Come sintetizza il Rapporto,sono «poco attrezzati per affrontare i profondi cambiamenti che interessano gli studenti preadolescenti e l`organizzazione scolastica». Una simile catastrofe non può non fare vittime. Innanzitutto i preadolescenti italiani vanno a scuola meno volentieri dei loro coetanei stranieri. Solo il 17% dei maschi e il 26% delle femmine di undici anni è contento di stare in classe, un gradimento quasi tre volte inferiore rispetto a quello di Germania e Inghilterra e comunque molto più basso della media europea del 33 e 44%. Ma il gradimento cala ancora se si considerano i ragazzi dopo tre anni di medie. A 13 anni a dirsi contenti di andare a scuola sono solo il 7% dei ragazzi e 1`11% delle ragazze italiane. In tutti gli altri Paesi invece, il gradimento aumenta. Come sempre a rimetterci davvero sono i deboli. «La famiglia continua ad avere un ruolo decisivo e crescente nel tempo - sottolinea l`analisi. Chi ha genitori con al massimo la licenza media ha una probabilità tre volte più elevata di essere in ritardo in prima media e quattro volte più alta in terza media. Chi viene da una famiglia povera ha il 60% di probabilità di essere in ritardo rispetto a chi ha .un benessere economico elevato. E gli immigrati figli di stranieri - nati però in Italia - che iniziano le medie in condizioni di parità rispetto agli italiani possono perdere terreno anche di 3,5 volte entro la terza media. «La scuola media fallisce proprio dove la scuola primaria riesce: contenere l`influenza delle differenze sociali nei livelli di apprendimento», conclude senza sconti il Rapporto”.

4. L’EGITTO AL VOTO. FRATELLI MUSULMANI E SALAFITI VERSO LA MAGGIORANZA.
Ieri ed oggi il primo dei tre turni per eleggere i 498 deputati dell’assemblea del popolo. Fratelli musulmani e salafiti verso la maggioranza. Le elezioni si stanno svolgendo senza scontri e tensioni.