“Ma allora a cosa serve fare la tessera?” Il mio contributo per un congresso aperto
“Il primo che passa non può scegliere il mio Segretario!”, oppure “ma allora a cosa serve fare la tessera al Partito?”Sono due delle domande più ricorrenti che mi trovo a fronteggiare durante le Feste Democratiche della provincia. Tra primarie aperte, ruolo degli iscritti, coincidenza tra segretario e candidato premier, provo a dare il mio contributo al dibattito che anima il nostro Partito alla vigilia dell’assemblea nazionale che dovrà stabilire le regole del prossimo congresso.
Prima di tutto, dobbiamo chiarirci una cosa: nel 2007, quando abbiamo dato vita al PD, ci siamo detti che sarebbe stato un Partito di “iscritti ed elettori” (Statuto Nazionale).
Perché lo abbiamo fatto? La prendo da lontano.
Nel 1977, il Partito Comunista Italiano contava 1 milione e 800 mila iscritti. Una platea vastissima, che rappresentava in maniera piuttosto fedele un elettorato composto da circa 10 milioni di persone. Una classe sociale omogenea, quella operaia, che si riconosceva nel Partito come tutelante dei propri interessi e delle proprie battaglie. Il PCI era un partito di sindacato, che nell’immaginare una società “diversa”, lottava nelle istituzioni per tutelare in primo luogo i bisogni dei propri iscritti. I quali “pesavano” nelle scelte, eccome. Proprio perché rappresentativi di tutti (o quasi) quelli che il Partito lo votavano.
Poi caddero gli steccati, vennero meno le differenze ideologiche enormi fra gli schieramenti, calarono gli iscritti ai Partiti (13% di elettori iscritti ad un Partito nel 1948, 2% nel 2012), i blocchi sociali si frammentarono in quella che viene chiamata “società liquida”.
E nel 2007, quando facciamo nascere il PD, si vive l’ambizione di completare la trasformazione definitiva del più grande soggetto del centrosinistra italiano da partito di sindacato a partito di governo. Un Partito che non nasce per tutelare gli interessi dei propri iscritti, ma per fare molto di più, ovvero governare il paese secondo i propri valori: in primo luogo perché si rende conto che la parte più debole della società non coincide più con i propri iscritti; in secondo luogo perché l’elettorato cambia spesso opinione, è disposto a votare una volta destra, un’altra centro, un’altra ancora sinistra, e lo zoccolo duro degli elettori “fedeli” si assottiglia; in ultimo, perché se gli iscritti non bastano più a rappresentare il tuo corpo elettorale, con le mille sfaccettature di cui è composto, allora devi trovare lo strumento per coinvolgere nelle decisioni quella fetta sempre più ampia di elettori “fluidi”, di capire i loro bisogni ed offrire loro una prospettiva credibile. Bernstein diceva “non un partito di classe, ma un partito di popolo”.
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Si chiama vocazione maggioritaria. E per farla, mi ripeto, devi prima conoscere le esigenze di quegli elettori che, per mille motivi, non si iscrivono più ai Partiti e non partecipano attivamente alla vita di Partito. Magari fanno politica, nei comitati come a scuola, magari no. Ma votano, quello sì. O possono farlo.
E di cosa si compone la vocazione maggioritaria? In primo luogo delle primarie aperte, quelle che permettono a tutti di esprimersi. Per tornare ad essere in sintonia con la società, per capire quello che succede fuori dai nostri circoli, troppo spesso autoreferenziali. Poi della coincidenza tra segretario e candidato premier. Perché se il Partito ha l’ambizione di convincere a votarlo quelle persone che oggi non si sentono stabilmente rappresentate da nessuno, lo fa con un leader, con una faccia, che possa contare su un Partito che lo sostenga e che ne condivida in toto la linea politica. Altrimenti “fai la fine di Prodi”.
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Queste intuizioni, avute nel 2007, sono paradossalmente molto più attuali oggi, nel 2013. Perché se allora il blocco berlusconismo-antiberlusconismo era abbastanza coeso, oggi l’elettorato è ancora più fluido. Cresce continuamente il campo dei delusi, degli indecisi, di quell’elettorato potenziale disposto a votare PD e che abbiamo il dovere di andare a prendere. Perché nessun altro “alleato” può farlo in maniera stabile, ed alle ultime elezioni ne abbiamo avuto la triste dimostrazione.
Smontare quel disegno, quelle intuizioni, un pezzetto per volta, significa non comprendere la realtà nella quale vogliamo incidere politicamente. Dopodiché sia chiaro, le Primarie non garantiscono la vittoria né risolvono tutti i problemi. Aiutano però a capire meglio i sentimenti e le idee dei cittadini, ad avere uno sguardo più ampio su una società sempre più frammentata e sempre meno decifrabile.
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“Ma allora per forza che nessuno si tessera più!”
Credo sia sbagliato pensare che il tesseramento dipenda dal potere decisionale che comporta: altrimenti non si spiegherebbe perché, a parità di condizioni, gli iscritti al PCI siano calati dal milione e 800 mila del ’77, al milione e 200 mila del ‘90, così come per la DC dal milione e 800 mila del ’72 al milione e 200 mila del ’77; la realtà è che il tesseramento avviene innanzitutto per senso di appartenenza, per volontà di contribuire alla vita di una comunità nella quale ci si riconosce. Per consenso e prestigio. Più siamo capaci di generare entusiasmo, dibattito, più il Partito diventa davvero popolare, e più le persone si avvicineranno, anche tesserandosi.
E la tessera non può essere considerata un biglietto d’ingresso senza il quale non poter prendere parte alla vita ed alle decisioni del Partito, bensì magari il punto di arrivo di un percorso inclusivo di partecipazione.
Se sapremo proporre all’elettorato un progetto credibile guidato da facce credibili, cresceranno l’appetibilità del Partito e con esso il numero delle persone disposte a spendere tempo ed energie per un progetto condiviso. E, magari, a donare a questo progetto anche il loro 2xmille…
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Ci lamentiamo spesso che nei momenti di crisi la tendenza delle persone sia quella di chiudersi, di guardare con nostalgia al passato, di non riuscire a gestire i sentimenti di rabbia e sconcerto. Vale anche per le organizzazioni. In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, con quello che abbiamo passato negli ultimi mesi, è il momento di non commettere lo stesso errore. Non chiudiamoci, guardiamo invece con fiducia al futuro di un Partito che ha tutto per essere protagonista. Ne abbiamo bisogno noi, ne hanno bisogno i nostri vicini di casa, ne ha bisogno tutto il Paese.
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