18 gennaio 2011

La nota del mattino del 18/11/2011.

Le principali notizie politiche del giorno a cura dell'ufficio Nazionale Circoli PD.

1. ITALIA BLOCCATA SU STORIE DI LETTO, FANFARONATE, BUGIE. MENTRE L’INFLAZIONE RIALZA LA TESTA, L’OCCUPAZIONE CALA. BERLUSCONI E’ LA PALLA AL PIEDE DELL’ITALIA. DEVE ANDARE VIA.
Le indiscrezioni sulle intercettazioni tra le giovani e meno giovani frequentatrici dei festini di Arcore, tra Emilio Fede e Lele Mora, come tra gli altri protagonisti dell’ultima vicenda che ha per protagonista il presidente del Consiglio dimostrano, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, che invece di pensare ai problemi del paese, Silvio Berlusconi ha ben altre preoccupazioni.
Emerge da quelle notizie, al di là della rilevanza penale dei fatti, la storia penosa di un vecchio satrapo che getta disdoro e umilia l’Italia di fronte al mondo, un uomo che pensa soltanto a circondarsi di ragazzette discinte, a raccontare le solite barzellette, spargendo i suoi denari come se fossero una polverina magica capace di ridargli giovinezza e appeal, circondato da personaggi tristi che ciucciano i suoi soldi a tutto spiano.
L’Italia merita di meglio, ha titolato ieri il Financial Times. Soprattutto l’Italia avrebbe bisogno di un governo capace di affrontare i gravi problemi che incombono sul suo presente e sul suo futuro. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, e il presidente del Pd, Rosy Bingi, ieri hanno ripetuto con chiarezza che quest’uomo dovrebbe fare un passo indietro. Ciò di cui avrebbe bisogno il paese è un governo di riscossa nazionale, secondo le linee indicate dall’ultima direzione nazionale del Pd. L’Idv e Sel hanno chiesto le dimissioni di Berlusconi. Il terzo polo, con Casini, Fini e Rutelli, ha sottolineato la necessità di avviare un governo più ampio di responsabilità nazionale.
Il Pdl ieri ha più volte minacciato di interrompere la legislatura. La Lega è rimasta in silenzio. Ucd e Pd hanno risposto alle minacce dicendo di non aver paura del voto. L’incertezza sul futuro è grande. In queste condizioni non si sA se e come la maggioranza potrà ancora rafforzarsi con l’arrivo di nuovi parlamentari. Né è chiaro l’esito di questo ciclone giudiziario, anche se è chiarissimo l’effetto di disdoro su Berlusconi e sull’Italia. Quanto alle procedure, due sono le ipotesi di iter in Parlamento. La prima. La Giunta per le autorizzazioni dovrà decidere se rinviare a Milano la richiesta di autorizzazione, sollevando la competenza del Tribunale dei ministri. In questo caso sarà poi l`Aula di Montecitorio a decidere a maggioranza semplice, ma a scrutinio palese. Seconda. Se invece la Giunta dovesse respingere la richiesta dei pm milanesi, il voto in Aula sarebbe a scrutinio segreto poiché la perquisizione è una misura sulla libertà personale. Se il caso poi finirà al Tribunale dei ministri, tra alcuni mesi il voto dell`Aula dovrà essere preso con la maggioranza assoluta dei componenti (non dei soli presenti), superiore quindi a quella che ha votato l`ultima fiducia.
E intanto inflazione rialza la testa; il costo della vita mette in difficoltà le famiglie, la disoccupazione non cala; i giovani restano con poche speranze. L’Italia, insomma, resta al palo.

2. LA CHIESA ACCUSA IL COLPO DELLE RIVELAZIONI SULLA VITA DI BERLUSCONI.
Ancora una volta le gerarchie vaticane avevano provato a far finta di niente. Ma le notizie filtrate da ieri hanno messo in seria difficoltà questa posizione. La Repubblica: “«A questo punto è meglio che si mettesse una macina di pietra al collo e si buttasse in mare...». In Vaticano ormai si fa sempre più fatica tra prelati, vescovi e cardinali a frenare «lo sconcerto, la delusione e la rabbia» per quanto sta emergendo sui festini di Arcore. E c`è persino chi si spinge a ricordare - come pena massima per il premier - una delle pagine più severe del Vangelo, là dove Gesù evoca la tremenda pena dell`affogamento attraverso una macina appesa al collo per quanti fanno del male a bambini e a minorenni in genere. Reazioni ufficiali della
Segreteria di Stato finora non ce ne sono state, ma l`imbarazzo e le perplessità continuano a crescere e il Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha iniziato a valutare la possibilità di una presa di distanza”.

3. SULLA RIFORMA DELLA RAPPRESENTANZA CISL E UIL RISPONDONO PICCHE ALLA CGIL. IL CONFRONTO PARTE IN SALITA.
Dopo l’ultima riunione del direttivo della Cgil, il segretario generale, Susanna Camusso, ha inviato a Cisl, Uil e Confindustria il testo approvato dall’organismo dirigente della Cgil con la proposta di avviare un nuovo confronto sui temi della rappresentanza, andando oltre il documento discusso nel 2008. Dalle risposte ricevute è emerso ieri che il confronto, decisivo per uscire dalle secche dopo l’accordo separato su Fiat Mirafiori, con la Fiom rimasta fuori, sarà tutto il salita. Il Sole 24 Ore: “Per la Cisl la proposta della Cgil «sembra più mirata alla soluzione di un problema interno di organizzazione che a trovare una base proficua per un accordo interconfederale», considerato «opportuno ed urgente». Anche perla Uil «bisogna fare riferimento all`accordo unitario approvato nel 2008 pubblicato sui nostri siti», per far ripartire il confronto. Nel dettaglio, le polemiche riguardano il capitolo della proposta Cgil che prevede il voto dei lavoratori per il mandato a firmare se nel negoziato emergono dissensi trai sindacati e «i favorevoli alla firma non raggiungono un quorum da definire, comunque superiore alla maggioranza semplice della rappresentatività». Inoltre, nella proposta Cgil «il voto certificato o referendario dei lavoratori, espresso con una maggioranza semplice è vincolante» per tutti i sindacati che hanno avviato il percorso di verifica del mandato, ma le altre organizzazioni possono comunque ricorrere al referendum abrogativo. Per la Cisl il nodo critico è che la Cgil «per legittimare una pratica abnorme di referendum tra quelli di mandato per firmare gli accordi e quelli di abrogazione, propone di stravolgere, con percentuali più alte, il criterio universale della maggioranza del 50 per cento più uno per rendere valida la firma di un accordo sindacale», come previsto per il settore pubblico. La proposta per la Cisl «vanifica la natura associativa del sindacato e la democrazia rappresentativa» e «stravolge l`equilibrio» raggiunto nel documento unitario del maggio 2008 «rispettoso del pluralismo sindacale», considerato «l`unica base per una intesa rapida e costruttiva».

4. FEDERALISMO AL PALO.
La discussione parlamentare sui decreti attuativi del federalismo e in particolare del decreto sulla finanza comunale non ha prodotto finora il passo avanti capace di sbloccare la situazione. L’impianto di base del federalismo disegnato da Lega e Pdl resta sbagliato per Pd, Idv e Udc. Ieri Davide Zoggia, responsabile enti locali della segreteria nazionale del Pd, lo ha dichiarato con nettezza.

5. IL CLUB DELLA TRIPLA A STACCA IL RESTO D’EUROPA E CORRE DA SOLO.
Mentre gli italiani sono costretti a discutere delle storie di letto del premier, in Europa e nel mondo si stanno rimescolando le carte dei poteri e delle gerarchie. In vista della riunione sul fondo salva Stati, ieri, per la prima volta, si sono riuniti separatamente i sei paesi che hanno il rating tripla A (il massimo delle garanzia secondo gli esperti di mercato): Germania, Olanda, Francia, Lussemburgo, Finlandia, Austria hanno messo a punto una propria posizione. I sei paesi forti non sono affatto d’accordo sulla necessità di dover rafforzare il fondo salva Stati.

6. LA CINA METTE IL DOLLARO SULLA GRATICOLA. L’EUROPA STA A GUARDARE.
Alla vigilia degli incontri bilaterali Usa-Cina, considerati storici da molti osservatori, i dirigenti cinesi hanno lanciato alcuni inequivocabili messaggi. A cominciare dal fatto che il predominio del dollaro è finito. Il mondo, secondo i cinesi, deve essere multipolare anche dal punto di vista
valutario. E’ un’affermazione di principio, ma con ricadute straordinarie. Basti pensare che questo significa un impegno cinese ad investire non solo in titoli pubblici Usa, ma anche in titoli europei, o dei paesi più velocemente in sviluppo. L’incontro sarà dunque decisivo, anche se non è detto che produca subito cambiamenti, miglioramenti o peggioramenti nei rapporti tra i due giganti. Marta Dassù su La Stampa: “Vi è una serie di incognite decisive, anzitutto sulla tenuta del modello cinese. La Cina deve ancora dimostrare, con un Pil pro capite attorno ai 4000 dollari, che riuscirà a diventare ricca prima di diventare vecchia (la demografia va in questo senso); e non è chiaro come riuscirà a tenere insieme i delicati tasselli del proprio miracolo economico. L`inflazione, che oggi si riaffaccia, è una spia ricorrente di possibili tensioni sociali; rese più delicate dalla successione prevista, nel 2012, alla «quinta generazione» di leaders. Hu Jintao è consapevole di questa potenziale fragilità interna; per questo, seduto a cena alla Casa Bianca, dirà a Obama che la Cina ha comunque bisogno di un rapporto costruttivo con l`America. E delle sue tecnologie. Il Presidente americano, che guarda invece alla rielezione nel 2012, ha nella Cina un punto debole. Ha gestito male la fase iniziale dei rapporti con Pechino (la famosa mano tesa del 2009); e Cina significa per gli americani - all`inizio di una ripresa senza posti di lavoro - competizione sleale e delocalizzazione. Obama tenterà di fare capire ai suoi elettori che un rapporto cooperativo con Pechino è il male minore possibile; ma dovrà anche ottenere qualcosa, di vero o di semi-vero: la parziale rivalutazione dello yuan, già in corso; progressi sulla tutela della proprietà intellettuale; accordi sulle energie rinnovabili. Entrambi, Obama e Hu, sanno che il 2010 è stato un anno fallimentare per il «rapporto bilaterale più importante al mondo» - per usare l`espressione di Hillary Clinton che innervosisce gli europei. Dovranno ricominciare da capo dal punto meno facile: la costruzione di un minimo di fiducia reciproca. Sulle questioni commerciali e valutarie la tensione di partenza è forte; ma lo sono anche i vincoli. L`America indebitata non può alienarsi il suo principale creditore; la Cina non può rischiare di scatenare tensioni protezionistiche nel nuovo Congresso americano. Per ora una Cina che investe miliardi di dollari a sostegno dell`euro e prevede un futuro in cui lo yuan diventerà una moneta internazionale di riserva non può che difendere il dollaro.Il predominio internazionale del dollaro, ha dichiarato Hu Jintao al Wall Street Journal, è un prodotto del passato; ma il futuro non è ancora qui. Solo quando avrà mercati finanziari aperti e molto più liquidi - in altri termini: quando avrà modificato l`attuale modello di capitalismo di Stato - la Cina potrà pensare a una sua moneta globale. E fino a quando l`economia cinese dipenderà dal dollaro, Obama lo sa, anche la nuova assertività dei militari resterà sotto controllo. La sicurezza asiatica, come hanno dimostrato le frizioni del 2010, ha tutti gli ingredienti per forti tensioni. Washington sta rilanciando le vecchie alleanze regionali, cosa che la Cina legge come una nuova strategia di contenimento ai suoi danni. Pechino rivendica interessi nazionali nel Mar Cinese meridionale, e l`America si chiede quanto bilanci militari poco trasparenti servano a preparare la proiezione della forza cinese, chiudendo la fase del «basso profilo» in politica estera. Ma anche qui: per ora Washington e Pechino preferiscono cooperare al minimo (la crisi coreana ne è un esempio, così come le sanzioni all`Iran) piuttosto che entrare in una prova di forza. Poi si vedrà. Dopo le ingenue aspettative del 2009 e le tensioni eccessive del 2010, il vertice di Washington segnerà probabilmente un giusto riequilibrio. II condominio che l`Europa teme non nascerà. La Cina non ha ancora veramente deciso come trasferire la propria ascesa economica in responsabilità internazionale; l`America non sa ancora come adattarsi a un sistema globale che non riesce più a dominare. L`Europa sbaglierebbe, tuttavia, se si limitasse a tirare un sospiro di sollievo. Il sistema internazionale cambierà comunque: e se un accordo fra i Grandi non ci sarà, ci sarà uno scontro. Se non riuscirà a creare le premesse per fare parte di chi decide, invece di chi subisce, il Vecchio Continente verrà sballottato fra la vecchia dipendenza dalla sicurezza americana e i nuovi soldi che arrivano dalla Cina. Uno scenario poco piacevole, da qualunque parte lo si guardi.

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