12 ottobre 2019

Trattativa con i trafficanti libici, piovono interrogazioni e richieste di una commissione d'inchiesta

Arrivano smentite sul ruolo di governo e servizi italiani
By Umberto De Giovannangeli - HuffPost 

La “Trattativa segreta” agita le acque della politica italiana. “Dalla Libia a Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss”. L’inchiesta del giornalista de l’Avvenire Nello Scavo, documenta, con tanto di foto, l’incontro avvenuto l’11 maggio 2017 presso il Cara di Mineo, con la partecipazione, del “numero uno dei trafficanti di esseri umani, Bija, e delegati inviati dal Governo”. “Le numerose immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano quella mattinata rimasta nel segreto – scrive Scavo -.  Accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare ‘il modello Mineo’, da dove in questi anni sono passati oltre 30mila migranti. Accordi che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite“.

Le rivelazioni del quotidiano della Conferenza episcopale italiana, scatenano la polemica. Matteo Orfini, deputato del Partito democratico, commenta la vicenda su Twitter: “Ricordate quando tutti accusavano le ong di trattare coi trafficanti libici? Non solo non era vero, ma un’inchiesta di Nello Scavo oggi dimostra che a farlo davvero erano i servizi italiani. Una vergogna che rende ancora più urgente l’istituzione di una commissione d’inchiesta”, si legge nel post. “La straordinaria inchiesta di Nello Scavo pubblicata oggi sul quotidiano Avvenire rivela uno scenario tanto clamoroso quanto grave. La collaborazione che emerge tra il nostro governo e uno dei peggiori esponenti di quella criminalità libica che in questi anni è alla testa di una organizzazione dedita tanto al traffico di esseri umani che alla loro cattura, responsabile di torture e violenze indicibili, è assolutamente scandalosa”, afferma Nicola Fratoianni. “Ciò che abbiamo sempre denunciato rispetto alla cosiddetta ‘Guardia costiera libica’ si conferma ancora una volta – rimarca il parlamentare di LeU - e si conferma la necessità di chiudere la pagina vergognosa degli accordi con la Libia, in particolare in tema di politiche migratorie e di sostegno alla cosiddetta ‘Guardia costiera libica’”. Fratoianni chiede l’intervento del Governo: “Per questo oltre a presentare nelle prossime ore ogni strumento di indagine parlamentare per chiedere al governo di fare luce sui fatti riportati nell’inchiesta di Avvenire, torniamo a porre la necessità, a questo punto non rinviabile di istituire una commissione di inchiesta parlamentare su tutte le vicende che circondano questa vergognosa pagina della nostra storia recente”.

“Oggi Avvenire pubblica le prove e le immagini di un incontro che sarebbe avvenuto nel maggio 2017 al centro accoglienza di Mineo, in Sicilia, tra Abd al-Rahman al-Milad, accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, e delegati inviati dal governo italiano. Al centro della discussione la possibilità di esportare il ‘modello Mineo’ anche in Libia e gli accordi con la guardia costiera per fermare i migranti, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite. Presenterò un’interpellanza urgente per conoscere la composizione della delegazione italiana, gli obiettivi dell’incontro e quali contatti intrattengano le autorità italiane con questo noto boss della mafia libica condannato dall’Onu”, scrive su Facebook Riccardo Magi, deputato radicale di +Europa. “A fronte di queste clamorose rivelazioni – aggiunge - è ancora più urgente istituire una commissione di inchiesta sugli accordi Italia-Libia, come ho chiesto attraverso una proposta di legge depositata lo scorso febbraio”. Una richiesta rilanciata anche dal deputato Fdi Federico Mollicone. Luca Casarini, invece, si rivolge direttamente alla titolare del Viminale: “Ministra Lamorgese, sicura che vuole proseguire sulla strada tracciata da Minniti? Ha capito chi fa il ‘buon lavoro’ in Libia? Aprirà un’inchiesta per capire il ruolo dei suoi funzionari? Il codice di condotta lo scriviamo noi perché lo rispettino i governi”, scrive su Twitter il capo missione di Mediterranea. Accuse pesanti, quelle contenute nella prima puntata dell’inchieste di Avvenire, contestate da una fonte molto autorevole a cui tempi impegnata sul “fronte libico”. “Con quella riunione il Governo italiano non c’entra nulla – dice la fonte all’HuffPost -. All’incontro non erano presenti i servizi segreti italiani, men che meno l’avevano promossa. Ma allora di chi è stata quell’iniziativa e perché, a quale titolo, era presente il famigerato Bija? “Si è trattato – dice la fonte – di una iniziativa organizzata dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), agenzia delle Nazioni Unite, attraverso anche OIM Libia. “Lo scopo di quella visita era mostrare alla delegazione libica il funzionamento di uno dei più grandi centri di accoglienza in Italia. Tutto questo – insiste la fonte – non è stato gestito dal Governo italiano, che ha solo supportato l’OIM nella visita”.

Nessuno 007 coinvolto, nessun rappresentante del Governo ha partecipato a quell’incontro. Insomma, istituzionalmente, l’Italia a quel tavolo non c’era. Su questo la fonte è perentoria. “Una foto prova un incontro, non una trattativa. Ed è ben strana una ‘trattativa segreta’ che avviene in una riunione, tutt’altro che clandestina, cui sono presenti una trentina di persone”. Quanto al lavoro della nostra intelligence sul campo, esso ci viene riconosciuto a livello internazionale, e ha dato importanti risultati sul piano della sicurezza. Incontestabile è il fatto che a quell’incontro era presente Bija. “La delegazione ufficiale libica – spiega la fonte – era composta da 14 persone, rappresentanti del ministero dell’Interno di Tripoli e ufficiali della Guardia costiera libica. Bija era presente come ufficiale della Guardia costiera di Zawyah, assieme ad altri ufficiali. Va ricordato che la Guardia costiera libica dipende dal ministero dell’Interno di Tripoli. Ed era uno dei suoi esponenti a capo di quella delegazione”. D’altro canto, annota la fonte, “come correttamente riportato dallo stesso giornalista di Avvenire, al momento in cui avviene l’incontro, a maggio, l’Onu non aveva ancora pubblicato il warning su Abd al-Rahman al-Milad, cosa che avviene a giugno”. Nel rapporto in questione si denuncia il fatto che la Guardia costiera libica “sia direttamente coinvolta in gravi violazioni dei diritti umani” dei migranti, insieme alle reti dei trafficanti e ai gestori dei centri di detenzione per migranti dove i diritti umani vengono sistematicamente violati. Nei casi più gravi, le operazioni della Guardia costiera sembrano confondersi con quelle delle milizie armate che, rimarca Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, fanno parte di un sistema che “permea tutta la struttura della società” libica.

HuffPost ha documentato con più articoli questo sistema ramificato. Che ha proprio a Zawyah uno dei suoi snodi cruciali, essendo uno dei punti di maggior traffico di migranti. Un abitante di Zawyah ha riferito ad al-Jazeera che il capo dei miliziani “è pagato direttamente dal governo con il compito di monitorare le attività al porto. Dovrebbe lavorare con i funzionari della marina, ma invece è il boss del traffico di esseri umani. Non solo gestisce quello che accade al porto, ma controlla direttamente anche diversi centri di detenzione”. L’agenzia Askanews riporta che una fonte del ministero dell’Interno libico, contattata da al Jazeera, ha confermato il racconto dell’abitante di Zawyah: “Le guardie costiere corrotte danno i migranti ai miliziani e i miliziani li tengono in centri di detenzione illegali. Qui iniziano a ricattare i migranti. Gli prendono i soldi, i telefoni, i documenti. Con i numeri che trovano sui telefoni, i trafficanti chiamano le famiglie per chiedere un riscatto per lasciarli andare. I miliziani li vendono anche ai caporali della zona che li usano come forza lavoro gratuita. Contrastarli è quasi impossibile, anche per la polizia”. E tutto questo era noto già da anni. Rafforzare la Guardia costiera libica eliminando le “mele marce” al suo interno. E qui iniziano i problemi. Perché, ad esempio, l’Italia non era all’oscuro della storia che ha come protagonista il boss della tratta di migranti di Zawyah per l’appunto Abd al-Rahman al-Milad Aka Bija, più conosciuto come Bija. La sua forza sta nel fatto che a comandare a Zawyah è la tribù Abu Hamyra, di cui Bija è membro. La tribù ha approfittato del vuoto di potere venutosi a creare dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, per controllare stabilmente la città costiera e la locale raffineria.

Due dei più potenti sostenitori di Bija sono Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf. Questi – come ricorda anche Scavo - erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini. Ad accusare le autorità libiche c’è anche uno studio del Goldsmiths College, autorevole dipartimento dell’Università di Londra, che ha condotto una ricerca secondo la quale le pratiche degli scafisti, e il conseguente aumento delle tariffe della traversata per i migranti, verrebbero influenzati proprio dai sempre più numerosi “interventi” della Guardia costiera libica, “i cui metodi violenti hanno portato, in alcune occasioni, al ribaltamento di barche, mettendo in pericolo la vita delle persone a bordo”. Un giro di affari e connivenze, documentato da informative d’intelligence di più Paesi europei, mostra come i controllori (i delegati del governo) e i controllati (i trafficanti) anziché essere in conflitto, siano riusciti ad alimentare un sistema economico ben strutturato. Di questo sistema “Bija” è uno degli “ufficiali”.

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