12 febbraio 2020

Il futuro è arrivato.

Da AGGIORNAMENTI SOCIALI
Presentazione del nuovo Dossier della Rivista sugli interrogativi che suscitano le innovazioni tecnologiche a livello personale, professionale, sociale.

Il nome PDP-1 dice poco o nulla a quanti non sono familiari con la storia dell’informatica, ma ne è una pietra miliare, anche per il ruolo che ebbe nella nascita della cultura hacker al Massachusetts Institute of Technology. Presentato nel dicembre del 1959 era il primo computer che si basava sul principio dell’interazione con l’utente: pesava 730 kg, aveva le ragguardevoli dimensioni di 1 metro e venti per 2 metri e mezzo e costava 120mila dollari (circa un milione di dollari di oggi). Le sue prestazioni, pur essendo state per molti versi rivoluzionarie, non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle dei nostri potenti, leggeri e facilmente trasportabili computer o smartphone, disponibili tra l’altro a prezzi accessibili alla maggioranza delle persone. Questo confronto ci dà la misura dei progressi compiuti in questo campo in soli sessant’anni. I passi più sorprendenti non riguardano tanto gli aspetti visibili, ma ciò che “gira” dentro i nostri dispositivi elettronici, al punto che la nostra realtà è andata ben oltre la fantascienza, che ha nutrito l’immaginario collettivo per tutto il Novecento, dai testi di Isaac Asimov a film come 2001: Odissea nello spazio o Guerre stellari.
Computer e smartphone, software e app sono entrati a far parte della nostra quotidianità. Li usiamo regolarmente per lavorare, comunicare con familiari e amici vicini o lontani, esprimere le nostre opinioni, calcolare il tragitto in auto, prendere appuntamenti medici, fare la dichiarazione dei redditi, organizzare viaggi, giocare, partecipare alla vita di un partito o di un’associazione. Assistono i piloti degli aerei e guidano i convogli delle metropolitane di ultima generazione e stanno imparando a condurre le auto anche in mezzo al caotico traffico cittadino. Forse siamo meno consapevoli del fatto che è sempre questa tecnologia a gestire le liste di attesa al pronto soccorso, a decidere quale tra i tanti rider disponibili ci consegnerà la cena, a stabilire l’ammontare della polizza auto, a suggerirci quale prodotto acquistare. Ci gioviamo di queste prestazioni, senza avere ben chiaro come tutto ciò funzioni, faticando a cogliere la portata dei cambiamenti che questa vera e propria rivoluzione sta introducendo nelle nostre vite sul piano individuale e collettivo.

Di fronte a termini come algoritmi, intelligenza artificiale, big data, indipendentemente dalla fascia di età a cui apparteniamo, possiamo avere le reazioni più disparate: spaesamento e vago senso di timore per qualcosa di poco familiare di cui si ignorano i meccanismi di funzionamento; sospetto di essere osservati o persino spiati, senza sapere bene da chi; oppure un certo disinteresse che porta a un uso inconsapevole della tecnologia; o ancora possiamo percepirne il rilievo, sperimentando però la frustrazione di non avere gli strumenti necessari per padroneggiare questa nuova realtà in cui siamo immersi. A volte emergono anche interrogativi più profondi sul significato della tecnologia: è uno strumento di liberazione o di schiavitù? I mutamenti che introduce nelle pratiche sociali si traducono in una maggiore umanizzazione o una crescente alienazione? Come evolve il rapporto con il tempo e lo spazio ora che disponiamo di tutte le informazioni “in tempo reale”? Che ne sarà dei processi di apprendimento e delle forme di socializzazione, soprattutto per i più giovani che con queste tecnologie hanno un rapporto “naturale”? Questi scenari ci strabiliano e ci lasciano perplessi al tempo stesso: siamo e saremo ancora quell’umanità che siamo stati nella storia e che pensiamo di conoscere?

Non stiamo ragionando di un’eventualità futura, ma del presente in cui viviamo, che ci sollecita al contempo a cogliere le opportunità, fino a poco tempo fa inimmaginabili, dischiuse dal ricorso a queste tecnologie e a rispondere a sfide inedite. Come è facile intuire, ciò richiede una conoscenza critica. È per questo che come Rivista – coerentemente al nostro proposito di aiutare a «orientarsi nel mondo che cambia» – abbiamo deciso di dedicare un Dossier all’impatto sociale delle nuove tecnologie, che ci accompagnerà nei prossimi mesi e si apre in questo numero con l’articolo di Elisabetta Curzel (pp. 808-818). Non ci proponiamo solo di fare il punto sulla diffusione di queste tecnologie in alcuni ambiti della nostra vita, ma di considerare gli impercettibili slittamenti che producono sul modo di pensare l’essere umano, le ripercussioni sul piano sociale e civile, le questioni etiche che vengono sollevate, con l’intento di offrire alcuni criteri per interrogare in modo umanamente intelligente le strade battute da questa nuova frontiera del progresso.

Nessun commento:

Posta un commento