24 marzo 2011
Nota del mattino del 24 marzo 2011.
1. IL GOVERNO MOLTIPLICA I VOTI CON LE POLTRONE (IL CONTO LO PAGANO
GLI ITALIANI). E POI FA FINTA CHE LE TASSE SERVANO PER DARE I SOLDI ALLA CULTURA.
Nonostante i dubbi del Quirinale, ieri il presidente del Consiglio ha proposto e ottenuto la nomina a ministro dell’Agricoltura di Saverio Romano, uno dei parlamentari “responsabili” che hanno consentito al governo di mantenere, sia pure per pochi voti, la maggioranza alla Camera. Per capire le perplessità di Napolitano basta leggere Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera: “Il pentito di mafia Francesco Campanella - quello che fabbricò la falsa carta d`identità con cui Bernardo Provenzano, da latitante, andò a farsi operare in Francia - ha raccontato che un giorno del 2001, a Roma, pranzò con il candidato alle elezioni politiche Saverio Romano. Campanella era un ex giovane dc divenuto vicepresidente del Consiglio comunale di Villabate, alle porte di Palermo. Intorno al tavolo c`erano pure Totò Cuffaro e altre persone. Una delle quali disse a Romano che Campanella non l`avrebbe votato. Scherzava, ma il candidato non la prese a ridere: «Si alzò e disse seriamente, rivolgendosi a me: "Tu mi devi votare, perché nuatri semo `ra stessa famigghía (siamo della stessa famiglia, ndr), vai a Villabate e t`informi", lasciando attoniti tutti i commensali». In effetti, ricorda il pentito, Nino Mandalà (condannato in primo grado per appartenenza alla famiglia mafiosa di Villabate) gli spiegò «che Saverio Romano era stato autorizzato a candidarsi in quel collegio, perché in quel collegio non c`è candidato che non è espressione di mafia». Le dichiarazioni di Campanella costituiscono il cuore dell`indagine per concorso in associazione mafiosa a carico del neoministro Romano. La Procura di Palermo ha ritenuto di non aver raccolto elementi sufficienti per sostenere l`imputazione (è il termine tecnico usato nel comunicato della presidenza della Repubblica, che vale anche per gli indagati come Romano) nonostante gli indizi di «contiguità» fra lui e Cosa nostra emersi dall`inchiesta.
Ma il giudice potrebbe ordinare ulteriori approfondimenti, perché dopo la richiesta di archiviazione (del novembre scorso) è accaduto un fatto nuovo, forse utile a una rilettura del quadro accusatorio nei confronti di Romano, che evidentemente non è sfuggito al Quirinale. La novità è la trasformazione in sentenza definitiva del verdetto d`appello che ha condannato Cuffaro a sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato all`associazione mafiosa. In quelle motivazioni ormai irrevocabili, e utilizzabili come «oggetto di prova» in un eventuale processo, il nome di Saverio Romano ricorre più volte. Accanto a quello di Cuffaro o da solo. Per esempio quando riassume le dichiarazioni di Campanella sulla candidatura di un tale Giuseppe Acanto in una delle liste di appoggio a Cuffaro, voluta da Mandalà: «Il Romano, competente per la formazione delle liste, aveva immediatamente assicurato l`inserimento di detto soggetto tra i candidati, chiedendogli di fargli avere al più presto i documenti e mandandogli i saluti per il Mandalà». E più avanti sottolinea come fosse «pacificamente emerso che sia Romano che Cuffaro erano stati informati in modo palese e chiaro da Campanella che la candidatura di Acanto era voluta dal gruppo di Villabate facente capo al Mandalà».
Ma perché Berlusconi ha così insistito? Lo si è capito ieri quando la maggioranza stava andando
sotto nella richiesta di sollevare il conflitto di attribuzione sul caso Ruby, escamotage parlamentare per evitare che Berlusconi finisca di fronte ai magistrati milanesi per concussione e prostituzione minorile: appena si è saputo della nomina di Romano, due dei cosiddetti responsabili, Bruno Cesario e Elio Belcastro, che mancavano all’appello per le votazioni, sono entrati nell’aula della Giunta per le Autorizzazioni e hanno consentito così alla maggioranza di
avere i voti necessari per sollevare il problema.
Ma attenzione: è stato solo l’inizio. Mentre accadeva tutto questo, il Consiglio dei ministri ha
approvato un provvedimento con il quale ha aumentato le accise (imposta di fabbricazione) sui
carburanti. Motivo ufficiale: trovare i soldi per la cultura. Una scusa: bastava fare l’election day, cioè unire il voto per le amministrative e quello per i referendum, e per quest’anno non ci sarebbe stato bisogno d’altro. Ma in quello stesso provvedimento il governo ha dato anche il via
libera, a Roma e a Milano, alla moltiplicazione dei consiglieri e degli assessori comunali (senza
i 48 consiglieri e i 12 assessori in più il sindaco Alemanno non sarebbe in grado di trovare un
posto per tutti i pretendenti della sua maggioranza).
E non è finita ancora. Ieri sera il gruppo dei responsabili e degli altri parlamentari accorsi a puntellare la maggioranza dopo il 14 dicembre si sono riuniti con Berlusconi a Palazzo Grazioli.
Per soddisfare tutte le richieste, secondo molti quotidiani, Berlusconi ha promesso di completare presto il rimpasto di governo e di presentare un provvedimento per poter nominare anche altri dodici sottosegretari. Si tratterà di un disegno di legge, perché Napolitano ha già chiarito che non c’è l’urgenza necessaria per poter fare un decreto. Ci vorrà tempo per l’approvazione. I responsabili non si fidano molto. E così ieri hanno cominciato a mettere nel mirino poltrone a scadenza più ravvicinata: quelle nei consigli di amministrazioni di Enel, Eni, Terna, Poste, Finmeccanica….”E’ il governo delle tasse e delle poltrone” hanno commentato Davide Zoggia, responsabile degli enti locali nella segreteria nazionale del Pd, e Stefano Fassina, responsabile economia della segreteria Pd.
2. DOPO LA PRESCRIZIONE BREVE, IL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE PER
SALVARSI DA RUBY. MENTRE IL MONDO GUARDA LA LIBIA IN TV, LA DESTRA SMONTA LA GIUSTIZIA. E’ LA RIFORMA EPOCALE.
La decisione sul conflitto di attribuzione, votata ieri in commissione con l’approto dei cosiddetti
responsabili, è passata ora all’ufficio di presidenza della Camera. Gianfranco Fini con tutta probabilità deciderà di sottoporre la questione al voto dell’aula di Montecitorio. Dopo la prescrizione breve, lo sviamento del processo su Ruby. “Lo avevamo detto che la riforma epocale della giustizia sarebbe finita così” ha dichiarato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.
3. LIBIA, IL PD SULLA LINEA DELLA COERENZA. BERLUSCONI LATITA E PENSA
GIA’ DI MEDIARE CON IL DITTATORE RISORTO.
Ieri dibattito in Senato sulla mozione che autorizza l’Italia a partecipare all’intervento in Libia
previsto dall’Onu. Oggi si passa alla Camera. Fin dalla prima mattina il Partito democratico ha
riunito il coordinamento e, poi, i gruppi parlamentari, per decidere quale posizione portare al dibattito al Senato. La decisione, largamente condivisa nel Pd, è stata di sostenere l’intervento
dell’Italia nell’ambito dei limiti strettamente indicati dall’Onu (evitare che i ribelli siano schiacciati con una carneficina da Gheddafi), secondo la decisione presa nei giorni scorsi in commissione. Una posizione lineare, che non prevede altre iniziative. La maggioranza ha presentato invece un documento contenente diverse imposizioni volute dalla Lega Nord. Nel corso del dibattito al Senato si è anche aperta la possibilità di confrontarsi su un testo comune. Ma la Lega ha imposto lo stop. E prima ancora che si andasse a votazioni separate sui diversi testi (come poi è avvenuto), mentre ancora la presidente del gruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro, indicava le condizioni che avrebbero dato luogo alla disponibilità del Pd a un voto comune, Berlusconi, assente in aula, faceva sapere alle agenzie che il voto negativo delle opposizioni sul documento della maggioranza era da criticare per vari motivi. Un fatto che ha
rivelato la strumentalità e la falsità della disponibilità del governo.
Berlusconi, a differenza di tutti gli altri capi di governo nel mondo, ieri non era in Parlamento
per presentare la mozione sull’intervento in Libia. Non solo perché aveva altro da fare (nominare Romano, parlare con gli altri responsabili alla ricerca di posti in cambio di voti), ma anche perché ha deciso non mettere la faccia sull’intervento in Libia. Come si capisce dalla lettura dei quotidiani che gli sono vicini, ha ancora l’idea che potrebbe fare da mediatore con il dittatore amico, se Gheddafi si salva. Oggi si replica alla Camera.
4. FEDERALISMO, OGGI IL VOTO PER LE REGIONI. MA ALL’APPELLO
MANCANO 425 MILIONI PER I TRASPORTI.
Una riunione dei gruppi parlamentari del Pd, stamattina, presieduta dal segretario Pier Luigi
Bersani, segnerà la sorte dello schema di decreto legislativo in materia di federalismo regionale,
che, alle 17, approderà nella commissione bicamerale per il voto finale. Le Regioni hanno chiesto il reintegro dei 425 milioni di euro tagliati da Tremonti e che servono per i trasporti. Il Pd ha già ottenuto molte modifiche migliorative del testo. Su questo punto chiede una clausola di salvaguardia, che renda certo il reintegro dei fondi, pena la sospensione delle norme. Oggi si vedrà la risposta del governo su questo e altri temi.
5. NUCLEARE, LA FINTA MORATORIA. SPETTACOLO, LA VITTORIA DEL PD.
Il Consiglio dei ministri ha confermato il programma nucleare, ma ne ha deciso la moratoria per
un anno. Una mossa pensata per depotenziare il referendum, ma che in realtà non apre alcuna
riflessione seria sul ricorso all’energia nucleare (e agli affari connessi alla costruzione delle centrali, dal movimento terra al cemento armato, fino alle turbine). Ben più seria, la cancelliera
tedesca Angela Merkel: “Dal nucleare prima ne usciamo meglio sarà”. Vittoria del Pd e delle battaglie delle maestranze: il governo è stato costretto a rimettere a disposizione i fondi per la cultura che il ministro Tremonti aveva tagliato.
6. IL CONSIGLIO D’EUROPA OGGI NON VOTA IL FONDO PER IL SALVATAGGIO
DEGLI STATI INDEBITATI. IL PORTOGALLO VA IN CRISI. E L’ITALIA, CON IL
PETROLIO RECORD, SI PREPARA A CRESCERE MENO.
Il Consiglio dei capi di Stato e di governo si riunisce oggi e domani a Bruxelles, ma non riuscirà ad approvare l’avvio del fondo strutturale per il salvataggio degli Stati in difficoltà con i conti pubblici. Le divisioni e i distinguo hanno imposto uno slittamento a maggio. Proprio oggi i capi di Stato e di governo si troveranno ad affrontare, però, l’ennesima crisi. Il governo del Portogallo si è dimesso. I mercati finanziari, temendo ripercussioni, hanno messo sotto pressione i titoli di debito di tutti i paesi più in difficoltà, dall’Irlanda allo stesso Portogallo, alla Grecia, alla Spagna.
Se la Bce dovesse procedere davvero all’aumento dei tassi di interesse nella sua prossima riunione di aprile, i problemi diventerebbero ancora più rilevanti.
L’Italia, che ha un debito pubblico particolarmente rilevante, non vive in una campana di vetro.
Questi problemi avranno ripercussioni anche su di noi, quantomeno in termini di maggior costo del debito, da ripartire sulle spalle dei cittadini. E non solo. Molto dipenderà anche dalle regole e dei tempi che alla fine l’Unione europea stabilirà per la riduzione del debito pubblico nei singoli Stati membri.
A complicare il futuro vi è inoltre il prezzo del petrolio. Ieri il Centro studi della Confindustria ha presentato una preoccupante stima sul futuro della crescita economica: con lo choc petrolifero, «il profilo della ripresa viene modificato, e a parità di condizioni la crescita del prodotto interno lordo italiano potrebbe risentirne per un totale di quasi un punto percentuale nel biennio 2011-2012, con l`impatto maggiore l`anno prossimo». Traduzione: rischiamo di non arrivare all’uno per cento di crescita economica. Con tutte le ripercussioni del caso sul reddito degli italiani, sull’occupazione, sulla tenuta delle imprese.
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