Uno strumento voluto dai padri della Repubblica (inviso a molti).
Il referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione italiana consiste nel sottoporre al corpo elettorale un "quesito" la cui risposta (tradotta nel barrare il «sì» o il «no» di una scheda) comporta l'abrogazione o meno di una legge (o parte di essa).
La stessa disposizione costituzionale attribuisce il diritto di richiedere il referendum a cinquecentomila elettori o a cinque Consigli regionali. Tale richiesta è tuttavia sottoposta ad alcuni controlli: un primo "formale" da parte dell’Ufficio centrale per il referendum (costituito presso la Corte di cassazione) che verifica ad esempio la raccolta delle firme, la formulazione del quesito; ed un secondo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale volto ad accertare che il quesito non rientri tra quelli direttamente o indirettamente contrastanti con la Costituzione. Lo stesso art. 75 Cost., infatti, esclude che alcune leggi possano essere sottoposte al voto referendario, ad esempio tutte quelle la cui complessa disciplina non può essere modificata per mezzo di una semplice abrogazione che il «sì» sulla scheda comporta (è il caso ad esempio delle leggi tributarie e di bilancio).
Conclusi i controlli e fissata la data del voto, perché la consultazione abbia un esito favorevole e comporti l’abrogazione della disposizione legislativa non è sufficiente che i «sì» prevalgano sui «no», ma deve aver partecipato la metà più uno degli aventi diritto (cosiddetto "quorum strutturale"). Tale previsione fu inserita in Costituzione (art. 75.4 Cost.) affinché l'intervento popolare "contro" la legge del Parlamento fosse condivisa dalla maggioranza del corpo elettorale.
Il referendum abrogativo è, quindi, uno strumento di "democrazia diretta" che consente di derogare alla regola generale per cui la funzione legislativa spetta al Parlamento sede della rappresentanza di quel popolo sovrano che direttamente con un «sì» o un «no» decide su una determinata scelta politica del Paese. Fu voluto in Assemblea Costituente proprio al fine di accentuare la qualificazione democratica del nuovo ordinamento repubblicano, esplicitamente connesso al principio di sovranità popolare affermato nell'art. 1 Cost.
Analizzando anche velocemente la storia dei referendum è possibile affermare che le finalità del Costituente sono state pienamente raggiunte, numerose sono infatti le materie su cui gli elettori si sono pronunciati e le sfide che il referendum (il popolo italiano) ha vinto, in alcuni casi anche ratificando le scelte del Parlamento: è il caso del primo referendum abrogativo della storia repubblicana nel 1974 quando gli italiani furono chiamati a decidere se abrogare o meno la legge del 1970 che aveva introdotto in Italia il divorzio, in quella occasione la maggioranza degli italiani si pronunciò in senso negativo; o di quello sulla legge del 1978 che consentiva l'aborto volontario entro i primi novanta giorni dal concepimento, anche in questo caso il popolo ratificò la scelta parlamentare. Altri referendum hanno consentito addirittura di innovare l'ordinamento giuridico: è il caso dei referendum elettorali del 1991 e del 1993 che abrogando singole parole della legge la modificarono in senso positivo, non abrogandola ma innovandola, tanto da introdurre la riforma in senso maggioritario del sistema elettorale di Senato e Camera.
In molti altri casi ancora, però, i referendum si sono "opposti" alle scelte del legislatore optando per l'abrogazione della disciplina normativa; esiti referendari in alcuni casi (nei fatti) "contrastati" dallo stesso legislatore: basti ricordare il referendum del 1993 in tema di finanziamento pubblico ai partiti che dopo la vittoria dei «sì», fu reintrodotto per legge poco tempo dopo; o i tre referendum del 1987 con cui furono abrogate le disposizioni di legge che consentivano la realizzazione di centrali nucleari, come noto, recentemente reintrodotte dal legislatore e per cui è stato promosso uno dei quesiti referendari delle prossime consultazioni.
Nonostante l'importante contributo che i referendum hanno dato all'evoluzione dell'ordinamento e la forte vocazione democratica di tale strumento, non sempre (anzi in rare occasioni) la politica italiana ha promosso il voto sui referendum. Famosa è rimasta la dichiarazione di Bettino Craxi che in occasione della consultazione referendaria del 1991 invitò gli elettori ad "andare al mare" nel giorno delle votazioni, tale invito è stato più volte ripreso da vari leader politici al fine di far mancare il quorum strutturale e rendere invalida la votazione. Si è tentato così in più occasioni di neutralizzare il voto dei cittadini, piuttosto che accogliere l'imprevedibile esito (favorevole o contrario) della proposta di abrogazione di una legge. Come se i rappresentanti (in Parlamento) sapessero meglio dei rappresentati quali scelte politiche fossero da adottare.
Tentativi di ostacolare il referendum, purtroppo, si registrano anche in occasione della ormai prossima consultazione referendaria del 12 e 13 giugno.
Si pensi ad esempio alla modifica della normativa oggetto del quesito in tema di nucleare avvenuta poche settimane prima del voto, al fine di evitare la consultazione. Quesito che tuttavia l'Ufficio Centrale per il referendum ha mantenuto in vita spostando il voto sulla nuova normativa che, secondo la Corte, manterrebbe le medesime finalità per cui il referendum è stato proposto.
O ancora si pensi alle dichiarazioni di Parlamentari, membri del Governo e leader politici volte (anche in questa occasione) ad invitare i cittadini a non votare. Tali dichiarazioni, come detto, ormai sono abbastanza frequenti e sicuramente legittime, perché se il Costituente ha previsto il quorum strutturale ha, di conseguenza, ritenuto legittimo che l'elettore potesse astenersi dalle votazioni. Tuttavia il voto (soprattutto per chi come un Parlamentare è stato eletto) dovrebbe essere ("sacro") difeso in ogni caso e promosso in ogni consultazione che la Costituzione prevede e i cittadini richiedono.
sito fonte: DEMOCRATICA Scuola di Politica.
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