L'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro è morto ieri notte a Roma. Era nato a Novara il 9 settembre 1918 ed era stato il nono presidente della Repubblica italiana, dal 1992 al 1999. Laureato in giurisprudenza e brevemente magistrato a metà degli anni Quaranta, durante il fascismo, entrò in parlamento per la prima volta nel 1946 e fece parte dell’Assemblea Costituente, eletto nella Democrazia Cristiana. Nel corso della sua lunghissima carriera politica e parlamentare (fu deputato dal 1946 al 1992) fece parte della cosiddetta “ala destra” della Democrazia Cristiana, quella più conservatrice e anticomunista, di cui facevano parte Mario Scelba (che ne fu il politico di riferimento tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta) e Guido Gonella.
Scalfaro fu diverse volte sottosegretario nel corso degli anni Cinquanta e, in seguito, ministro: dei Trasporti, nel primo governo Andreotti (febbraio-giugno 1972) e della Pubblica Istruzione, nel secondo governo Andreotti (giugno 1972-luglio 1973). Negli anni Settanta fu decisamente contrario al divorzio e sostenitore del referendum abrogativo della legge. Tornò agli incarichi di governo nel 1983, nominato ministro dell’Interno da Craxi. Rimase ministro dell’Interno per quattro anni, dal 1983 al 1987.
Venne eletto presidente della Repubblica in una delle votazioni più celebri e più discusse della storia repubblicana: Scalfaro era presidente della Camera dei deputati da circa un mese quando iniziarono le votazioni, dopo le dimissioni di Francesco Cossiga, e non era considerato tra i favoriti. Ma continuava a mancare un accordo tra i parlamentari (ci furono quindici votazioni senza che si arrivasse a un accordo) fino a quando, il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti della scorta vennero uccisi in un attentato vicino allo svincolo autostradale di Capaci, a pochi chilometri da Palermo. Il 25 maggio 1992 Scalfaro venne eletto a larghissima maggioranza, al posto dei ben più quotati Spadolini e Andreotti.
La sua presidenza della Repubblica fu molto controversa, per il modo in cui gestì alcune situazioni di difficoltà politica e istituzionale nei primi anni Novanta, quelli di Tangentopoli e della fine della Prima Repubblica. Suscitarono molte polemiche e contrapposizioni molto nette le sue scelte di nominare Giuliano Amato presidente del Consiglio, nel 1992, il suo rifiuto di firmare il decreto legge Conso che avrebbe depenalizzato il finanziamento illecito ai partiti (1993), e un suo discorso del 3 novembre 1993, che pronunciò in televisione a reti unificate (interrompendo una partita di Coppa UEFA) per difendersi da uno scandalo sulla gestione di fondi pubblici che coinvolgeva sua figlia, il ministro dell’Interno Mancino e i servizi segreti del SISDE: il celebre discorso dell’”Io non ci sto”.
Tra i molti momenti controversi della sua presidenza ci furono poi l’opposizione alla nomina di Cesare Previti a ministro della giustizia nel primo governo Berlusconi, e il rifiuto, nel dicembre del 1994, di sciogliere il parlamento, che aprì la strada alla nascita di un governo guidato dall’ex ministro del Tesoro Lamberto Dini (il cosiddetto “ribaltone”). Dopo la fine del suo mandato presidenziale divenne senatore a vita, e in quanto senatore più anziano (dopo Rita Levi Montalcini, che rifiutò l’incarico) nell’aprile del 2006 fu brevemente (un paio di giorni) presidente del Senato, prima che venisse eletto il presidente (che sarà Franco Marini). Fu uno degli ultimi momenti di notorietà nazionale della sua attività pubblica, che però continuò anche dopo quella data: a metà dicembre del 2011 concesse un’intervista con alcuni giovani del Partito Democratico, trasmessa da YouDem. Quattro anni prima aveva dichiarato il suo appoggio al Partito Democratico, pur senza iscriversi.
Fonte il Post
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