1. LA COMMEDIA DI BOSSI E’ FINITA. PUR DI RESTARE AL POTERE FA COSE SCANDALOSE. MA SALVANDO COSENTINO LA DESTRA HA BATTUTO UN COLPO E DIMOSTRATO CHE E’ ANCORA FORTE. BERLUSCONI E BOSSI NON SONO SCOMPARSI: SONO SUL CAMPO E LOTTANO. IL CENTROSINISTRA NON PUO’ E NON DEVE ABBASSARE LA GUARDIA.
Il voto di ieri alla Camera dei Deputati dimostra alcune cose. La prima: la Lega Nord pura e dura è una commedia. La sostanza della Lega di Bossi e del gruppo dirigente che lo attornia ormai è il potere per il potere. A qualsiasi costo. Con qualsiasi compromesso. Per questo ieri la Lega Nord ha votato per la salvezza di Nicola Cosentino, plenipotenziario del Pdl in Campania e accusato dalla magistratura di essere il referente nazionale del Clan dei Casalesi. L’ex ministro Roberto Maroni ha votato sì all’arresto, ma è stato sconfitto.
Pld e Lega Nord, più i radicali, ieri hanno dunque salvato Cosentino. Il Pd, l’Idv e il Terzo polo hanno votato a favore delle richieste della magistratura. E bisogna rivendicarlo, lottando contro l’onda dell’antipolitica che punta a coinvolge tutti. Basta leggere i commenti di oggi su diversi quotidiani: la politica si chiude nel bunker, la politica fa scandalo e così via.
Ma c’è anche un altro dato rilevate, che non va sottovalutato e che forse l’intervento del governo di Mario Monti, l’importanza della manovra varata e di quella ancora da fare avevano fatto scivolare un po’ troppo in secondo piano nella coscienza di molti: la destra non è scomparsa. Ieri ha battuto un colpo forte. La destra è in campo. Ha subito un rovescio, ma è in campo. Berlusconi e Bossi hanno trovato l’accordo su uno scambio che dice: salviamo Cosentino e tentiamo di far saltare Monti subito. Un progetto irresponsabile, mentre l’Italia sta lentissimamente allontanandosi dal baratro dove proprio il governo di Bossi e Berlusconi l’aveva condotta. Un progetto, basato sul fatto che se Bossi e Berlusconi restano troppo lontani dal potere saranno messi da parte dal loro stesso schieramento e sulla volontà di votare con la legge elettorale attuale, il porcellum, per tentare di essere ancora loro a nominare i deputati in Parlamento.
La battaglia è in corso. Bisogna condurla con determinazione. Bisogna batterli. Lo abbiamo già fatto e lo rifaremo, in modo che dopo la transizione e l’emergenza si possa avviare la ricostruzione civile, sociale ed economia dell’Italia secondo il progetto che il Pd propone al paese. Se ne parlerà nell’assemblea nazionale del partito convocata a Roma per il 20 e il 21 gennaio.
2. LA BATTAGLIA DEL PARTITO DEMOCRATICO NELLE PIAZZE E DENTRO UN PARLAMENTO CHE E’ ANCORA QUELLO USCITO DALLE ELEZIONI DEL 2008. MOBILITAZIONE PER SOSTENERE LE PROPOSTE DEMOCRATICHE SU RIFORMA ELETTORALE, TAGLIO DEL NUMERO DEI DEPUTATI, REGOLAMENTI PARLAMENTARI E RIDUZIONE DEI COSTI DELLA POLITICA. TOCCA A NOI LOTTARE PER LA BUONA POLITICA.
La Corte Costituzionale ha respinto ieri i quesiti referendari sulla legge elettorale. Per il Partito Democratico che ha offerto il proprio contributo determinante a favore della raccolta delle firme non è stato un buon giorno. Ora però bisogna lottare per imporre che la riforma elettorale si faccia lo stesso. Il porcellum va tolto di mezzo, come ha detto ieri il segretario nazionale del Pd, Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Tg1.
Il Pd ha depositato la propria proposta in Parlamento e ieri ha chiesto che i capigruppo di Camera e Senato si riuniscano per definire un calendario. Riforma elettorale, riduzione del numero dei parlamentari, riforma dei regolamenti parlamentari, ulteriore riduzione dei costi della politica: ecco un terreno qual quale sarà importante nei prossimi mesi la mobilitazione forte e il lavoro. Bisogna lottare per far prevalere la buona politica, chiamando a raccolta tutti coloro che sono disponibili e recuperando in questa battaglia anche i firmatari del referendum sul porcellum.
Anche questa battaglia sarà durissima. Ieri Berlusconi, rinvigorito dalla vittoria su Cosentino, ha già chiarito che non solo non vuole cambiare il porcellum, ma che semmai lo vuole rafforzare.
La proposta del Pd, che sarà base per il confronto con le altre forze politiche, è la seguente: 1. Un mix per l’assegnazione dei seggi per la Camera dei Deputati, la quale avviene mediante tre diversi “canali”:
a) collegi uninominali maggioritari;
b) una quota proporzionale distribuita su base circoscrizionale;
c) una quota nazionale di compensazione;
2. L’elettore dispone di una sola scheda, su cui vota solo per un candidato di partito in collegi uninominali; il voto, automaticamente, è attribuito anche alla lista del medesimo partito presentata per ciascuna circoscrizione. Nella scheda, accanto al simbolo e al nominativo di ciascun candidato nel collegio uninominale, è presente anche la lista dei candidati concorrenti a livello circoscrizionale. 3. Una quota pari al 70% dei seggi in palio (corrispondente a 433 seggi) è attribuita agli eletti in collegi uninominali maggioritari a doppio turno. E’ eletto al primo turno il candidato che ottiene la metà più uno dei voti validamente espressi; altrimenti si da' luogo ad un secondo turno aperto a tutti i candidati che abbiano ottenuto una percentuale pari ad almeno il 10% dei voti degli elettori iscritti nelle liste elettorali. È
prevista la possibilità, da esprimere entro il primo venerdì successivo allo svolgimento del primo turno, di rinunciare a presentarsi al secondo. Nel secondo turno è eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. 4. Una quota pari al 28% di seggi (corrispondente a 173 seggi) è attribuita con metodo proporzionale su base regionale o pluriprovinciale. E’ previsto lo scorporo, per ciascun partito, dei voti ottenuti al primo turno dei candidati eletti nei collegi uninominali sia al primo che al secondo turno. Per l’attribuzione di questi seggi è prevista una soglia circoscrizionale di sbarramento pari al cinque per cento dei voti validi. 5. Una quota di seggi pari a 12 (diritto di tribuna) è attribuita con metodo proporzionale alle liste nazionali corrispondenti ai partiti che non siano riusciti ad eleggere candidati né nei collegi uninominali né nelle liste circoscrizionali collegate. Per l’attribuzione di questi seggi viene applicato il metodo d’Hondt tra le liste si siano presente in almeno 5 circoscrizioni.
6. Infine, è previsto che sia possibile candidarsi contemporaneamente in ciascuna delle tre “quote”, ma con un massimo di una sola candidatura in un collegio e in una lista regionale.
7. L’assegnazione dei seggi per il Senato della Repubblica avviene solo attraverso due “canali”, per garantire il rispetto dell’articolo 57 della Costituzione, il quale richiede che venga eletto “su base regionale”: a) collegi uninominali, per una quota pari al 70% del totale dei seggi in palio (216 seggi) b) una quota proporzionale distribuita su base circoscrizionale (Camera) per una quota pari al 30% del totale (93).
Non viene dunque prevista la quota nazionale di compensazione. 8. Per la pari opportunità fra i generi, sono previste due misure specifiche a) Nel complesso delle candidature (uninominali e circoscrizionali) nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento. b) Le liste circoscrizionali devono prevedere l’alternanza di genere nella successione dei candidati.
c) Le liste nazionali devono prevedere l’alternanza di genere nella successione dei candidati e nelle candidature di una stessa lista nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento.
3. BENE LE ASTE SUI BOT, SCENDE LO SPREAD TRA BTP E BUND.
L’asta dei Bot di ieri ha avuto un esito molto positivo, provocando anche una forte discesa degli interessi che lo Stato dovrà pagare a breve scadenza sul debito contratto. In calo anche lo spread tra Btp e Bund tedeschi. Oggi nuova sta dei Btp.
4. IL PROBABILE CANDIDATO ANTIOBAMA, ROMEY, SPIEGA IL SUO PROGRAMMA: NO AL MODELLO EUROPEO. ECCO UNA BATTAGLIA CHE SPIEGA MOLTO ANCHE DELL’ATTEGGIAMENTO DELLA FINANZA ANGLOSASSONE VERSO L’EUROPA.
Da La Repubblica. Intervista di Federico Rampini. “A sorpresa, in fondo all`aereo le hostess servono birra, il proibizionismo qui a bordo è un optional. E’un segno di tolleranza da parte di Mitt Romney: permissivo con gli altri ma non con se stesso. Il candidato mormone non beve mai alcolici né caffè Io tè. E sua moglie Ann tiene in casa scorte alimentari sufficienti ad affrontare una carestia di tre mesi, come si usa nella loro comunità di fedeli. Romney evita l`argomento, ma il suo ruolo religioso - da giovane fu missionario in Francia, più tardi addirittura "vescovo" di Boston, capo di un`intera diocesi - è uno degli ostacoli da superare nel prossimo test delle primarie repubblicane i1 21 gennaio. In South Carolina, il primo Stato del Sud dopo i voti dell`Iowa e New Hampshire, sono forti i fondamentalisti protestanti, quegli evangelici che a lungo hanno considerato i mormoni una "setta" eretica o addirittura demoniaca. Ma oggi Romney è rilassato e sicuro di sé, dice che «la sera di martedì, all`annuncio della vittoria nel New Hampshire, in famiglia è stato come un altro Natale, abbiamo festeggiato tutti assieme, con figli e nipoti». Arriva sulla pista del piccolo aeroporto di Bedford (Massachusetts) a piedi e da solo, il Secret Service non gli ha ancora dato la scorta, per qualche tempo il favoritissimo dei repubblicani perla corsa alla Casa Bianca resta avvicinabile. È ancora limitato il numero di giornalisti che lo seguono, quasi nessuno straniero, all`imbarco su questo volo charter della Miami International Air, un Boeing 737 in partenza per Columbia, South Carolina, la nuova tappa di una tournée elettorale che sta assumendo un ritmo sempre più frenetico. La posta in gioco è alta: è la speranza di inanellare la terza vittoria consecutiva, che potrebbe "blindare" in anticipo la sua nomination. Sempre in blazer blu, sempre con la camicia bianca a quadretti larghi (deve averne cento tutte uguali), colletto sbottonato e niente cravatta, sempre la stessa pettinatura impeccabile. Dieci minuti dopo il decollo, Romney si alza dal suo posto in prima fila, e viene a parlare. La netta vittoria nel New Hampshire (39,4% dei voti e 16 punti di distacco sul secondo piazzato, Ron Paul) è già un ricordo. Il tema caldo, prima ancora della sua religione mormone o delle sue posizioni sull`aborto (non abbastanza "anti" quando era governatore del Massachusetts, secondo la destra religiosa), sono le accuse che i suoi stessi rivali di destra muovono alla sua carriera di finanziere multi-milionario. Newt Gingrich e Rick Perryin particolare lo hanno definito un "capitalista-avvoltoio", colpevole di avere «smembrato aziende, licenziato migliaia di lavoratori, saccheggiato i loro fondi pensione», quando Romney era alla testa del gruppo di private equity Bain Capital, dal 1984 al 1998. Quello che per lui è un titolo di merito, la prova della sua "esperienza di businessman", un`attività in cui sostiene di avere «contribuito a creare più di centomila posti di lavoro», per i concorrenti è un marchio d`infamia. Le tv della South Carolina sono già
bombardate di spot pubblicitari su questo tema. Non che il Sud sia di sinistra o sindacalizzato, anzi: la South Carolina vota tradizionalmente repubblicano. Ma proprio in questo Stato ha sede una delle aziende fatte a pezzi dalla Bain Capital. E qui il tasso di disoccupazione al 9,5% è più alto della media nazionale. Nel profondo Sud ha messo radici il movimento del Tea Party, un populismo di destra che non ama Wall Street e l`alta finanza. Gingrich, Perry, e Rick Santorum, hanno chiesto che Romney renda pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, cosa che non è tenuto a fare finché non è eletto. Lui non cede: «Per ora non ho l`intenzione di pubblicarle. Sia chiaro che nessuno in questo paese paga più di quello che è dovuto» (una frase sibillina, sembra volersi difendere in anticipo dall`accusa di godere del beneficio fiscale di molti capitalisti: l`aliquota secca del 15% sulle plusvalenze finanziarie, molto più bassa dell`imposta sui redditi). Consapevole di quel che lo attende all`atterraggio, aggiunge: «Lo so, al Sud mi preparo per una battaglia in salita, sarà molto più difficile che nel New Hampshire dove mi conoscono da tanti anni. Nel 2008, quando ero già candidato perla nomination, in South Carolina arrivai solo quarto». Capitalista avvoltoio, responsabile di fallimenti e licenziamenti: come risponde a questa descrizione della sua carriera? «Mi aspettavo attacchi del genere da sinistra, da parte di Barack Obama. Quando arriveranno da quella parte, sarò pronto a rintuzzarli: questo presidente si è improvvisato nell`attività di venture capital con la Solyndra, l`azienda solare che ha ricevuto sussidi federali e poi ha fatto bancarotta. Obama ha fatto anche del private equity diventando azionista di General Motors, sono pronto a confrontare il mio bilancio con quello del suo capitalismo clientelare di Stato. Mi sorprende invece vedere Gingrich nella parte di teste d`accusa contro il capitalismo liberale. Alla Bain Capital abbiamo sostenuto tante aziende che complessivamente hanno creato oltre centomila posti. La stampa ha parlato di casi in cui ci si sono stati licenziamenti, per alcune migliaia. Ogni licenziamento è una tragedia, però nel settore privato ci sono aziende che crescono e hanno successo, altre che per sopravvivere devono ridimensionarsi, fare sacrifici per diventare più forti. In queste elezioni è in gioco non solo la rinascita della nostra economia, ma anche l`anima dell`America: un paese capitalista, un`economia di mercato. Obama vorrebbe trasformarci in uno Stato assistenziale all`europea". Lei cita sempre l`Europa come un modello negativo, Italia e Grecia in particolare. «Se si confronta il reddito medio degli americani con la media dell`Unione europea, il nostro è superiore del 50%: la ragione è semplice, va cercata nei principi fondamentali della nostra economia. Italia e Grecia sono semplicemente due casi estremi di una crisi europea che ha generato instabilità nel mondo intero. Seguiamo questa crisi con apprensione, perché è un segnale d`allarme, un ammonimento. Se l`America dovesse seguire le ricette di quei paesi, non c`è nessuno che potrebbe salvare noi da una bancarotta. Non ce l`ho con delle nazioni o con dei popoli, ma è evidente che alcuni governi europei hanno agito in modo irresponsabile, portando i loro bilanci pubblici sull`orlo del default.
Non voglio certo alienarmi la simpatia degli alleati europei, bisogna rafforzare la cooperazione in seno al G8 e al G20, magli europei sono responsabili per mettere ordine in casa propria. E nei confronti di Obama la discriminante è chiara: lui ha in mente una società di tipo assistenziale, all`europea, dove i cittadini dipendono dallo Stato, dove il settore pubblico si prende cura di ciascuno dalla culla alla tomba. La forza dell`America è sempre stata un`altra: siamo la nazione della libertà e dell`opportunità». Lei rinfaccia a Ob ama di agitare il tema delle diseguaglianze, di parlare di redistribuzione. «Perché così si aizza una parte della nazione contro l`altra, si istiga alla lotta di classe. Continuando a prendere di mira i milionari questo presidente incoraggia l`invidia e il risentimento contro chi ha avuto successo. Margaret Thatcher disse: il problema del socialismo, e che prima o poi finisci con l`esaurirei soldi degli altri. I padri fondatori dell`America ci hanno dato un sistema diverso, una terra di intrapresa, per questo continuiamo ad essere un polo di attrazione per tanti stranieri. Questo presidente ha accumulato un debito pubblico superiore a tutti i suoi predecessori messi assieme. Io lo taglierò, raggiungerò il pareggio di bilancio. Appena arrivato alla Casa Bianca passerò in rassegna ogni voce di spesa pubblica assoggettandola a questo test: è una spesa così importante da meritare che c`indebitiamo ancora di più con la Cina, lasciando il conto da pagare ai nostri figli e nipoti? Se non passa il test sarà eliminata. Con me presidente l`America tornerà ad essere la mèta prediletta degli investitori e degli innovatori». Lei ha definito la presidenza Obama come un fallimento anche nella politica estera, perché? «Basti un esempio: forse la maggiore minaccia attuale perla sicurezza mondiale, è un Iran in grado di costruirsi armi nucleari. Questo presidente non è riuscito a impedirlo. Quando un milione di iraniani sono scesi in piazza contro il regime lui è rimasto in silenzio. Potete immaginare che Ronald Reagan avrebbe fatto una cosa simile? No di certo. Forse non l`avrebbe fatto neppure Bill Clinton. Questo è un presidente che sente il bisogno di chiedere scusa per l`America, io non lo farò mai. Quel che è accaduto negli ultimi tre anni deve essere una deviazione, non può essere il nostro destino».
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