Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 222, 5 novembre 2012 (fonte sito Ichino)
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Le elezioni regionali in Lombardia si svolgeranno presumibilmente nel
prossimo febbraio. E costituiranno una sorta di prova generale di quelle
nazionali di aprile. Il guaio, per il Pd, e il motivo della sua
difficoltà a trovare un candidato, è che la Lombardia non è proprio una
terra nella quale l’attuale linea politica del vertice romano possa
funzionare al meglio
Nella regione più evoluta, più industrializzata e più
internazionalizzata d’Italia, lo straordinario buon senso e la simpatia
personale di Giuliano Pisapia non bastano per far dimenticare le sparate
di Vendola contro la strategia europea di Monti, o il legame a filo
doppio tra Bersani e la Cgil. Nelle vallate bianche bergamasche,
bresciane e della Valtellina si sono ben accorti che il mondo cattolico
progressista rappresentato dalle ACLI e dalla CISL non guarda più al Pd
arroccato a sinistra; e cerca altri interlocutori.
Insomma, un’alleanza di ferro Pd-SEL (e solo eventuale con l’UDC, ma se
ne riparla dopo il voto), contrapposta a un asse
Albertini-Montezemolo-Giannino, non ha molte probabilità di andare oltre
il 35 per cento dei voti. Col risultato che il centrosinistra, se si
presenta così alle elezioni di febbraio, rischia clamorosamente di non
vincere neppure dopo la catastrofe della giunta Formigoni.
Questa è la stretta politica in cui il Partito democratico si trova
oggi: in Lombardia, se non si emancipa urgentemente dalla linea romana
attuale, è a forte rischio di perdere. Bersani sa bene che non può
permettersi di perdere a Milano in febbraio se vuol vincere in aprile a
Roma. Per questo deve accettare un Pd lombardo non proprio a sua
immagine e somiglianza.
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