11 dicembre 2012

Il labirinto infinito della finanza speculativa. G. Saccoman - DirezioneNazionale CGIL-.




Con la fine dell’egemonia statunitense, fondata sulla convertibilità del dollaro e accettata dagli altri paesi sviluppati con gli accordi di Bretton Woods, comincia un’altra storia. Gli Stati Uniti passano dall’egemonia consensuale al dominio unilaterale, con il diritto di intervento militare a livello planetario, come “gendarmi del mondo”, e sostituiscono il primato economico riconosciuto e accettato in un dominio economico e monetario imposto sia con la forza dell’economia che con quella delle armi, per controllare le regioni geostrategiche fondamentali del pianeta.

È particolarmente interessante osservare l’evoluzione del sistema economico e finanziario, funzionale a questa politica di dominio informale, che ha, alla fine, prodotto la crisi odierna. S’è sviluppato, a livello internazionale, un dominio del capitale finanziario su scala mondiale, attraverso la graduale liberalizzazione dei movimenti di capitali. S’è costituita una sorta di “cupola” finanziaria, incardinata sulle istituzioni economiche internazionali con sede a Washington (Fmi e Banca Mondiale) e accompagnata da alcune grandi banche d’affari (che si sono autodefinite “padroni dell’universo”, “masters of universe”; di recente il capo di quella attualmente più grande, la Goldman Sachs, ha modestamente affermato che il suo “è il lavoro di Dio”), dal “triopolio” delle grandi agenzie di valutazione (rating), e da alcuni grandi fondi speculativi ad essi collegati. Costoro hanno imposto al mondo il loro credo neoliberista, sintetizzato nel “decalogo” del “Consenso di Washington”, che detta quelle scelte antipopolari (liberalizzazioni, privatizzazioni, taglio di sanità e pensioni, dell’impiego pubblico ecc.) che troviamo pari pari nei vincoli oggi imposti dal livello esecutivo dell’Unione Europea, definite il “Consenso di Berlino”. Hanno prodotto ai tempi danni devastanti, economici, politici e sociali, nei paesi del Terzo mondo e li stanno producendo ora nei paesi periferici dell’Europa.

L’ideologia neoliberista è divenuta così un dogma che legittima e prescrive in modo tassativo tale austerità, tutta finalizzata a interessi ben precisi di classe. Come tale, è necessariamente fondata su alcuni concetti totalmente falsi:
- lo “stato predatore”, che altera il regolare funzionamento del mercato (ma che viene utilizzato “usa e getta” per socializzare i costi dei fallimenti privati, e poi massacrato assieme alla protezione sociale, attraverso il dogma del pareggio di bilancio, le privatizzazioni, ecc.;
la “percolazione” della ricchezza, per cui favorendo fiscalmente i ricchi ne beneficerebbero poi tutti, mentre ciò aumenta le diseguaglianze in una “società a clessidra”, con pochi ricchissimi e una massa di poveri, con un conseguente effetto recessivo sull’economia;
- la massimizzazione del profitto per l’azionista nel brevissimo periodo (“shorttermism”), sacrificando gli altri soggetti interessati (gli “stakeholders”: detentori di piccole quote di azioni od obbligazioni come lavoratori, comunità locali, ecc.) e persino la stessa continuità aziendale;
- il “pensiero unico” senza alternative (Tina, “There is no alternative”, lo slogan della Thatcher), che legittima i governi tecnici, come la Commissione Europea, sulla base d’un preteso stato di necessità, e cancella così la politica e la negoziazione sindacale, che vivono solo se hanno la possibilità di scegliere fra diverse alternative.
- l’individualizzazione e privatizzazione del rischio economico, sanitario e sociale, che era stato socializzato e torna ad essere individuale, da acquistare sul mercato assicurativo, sempre che se ne abbiano i mezzi.

Il potere finanziario, onnipresente e pervasivo, dotato d’imponenti mezzi di corruzione, ha subordinato il potere politico, riuscendo finora a sventare ogni tentativo di una sua regolazione. Si tratta di quella che Nikos Poulantzas ha definito “classe regnante”, che occupa in modo collusivo (“crony capitalism”), tutti i posti di comando della società e relega la politica a un ruolo ancillare. In un’economia che “rifiuta il lavoro”, si separa il lavoro costo, da ridurre il più possibile per motivi concorrenziali, dal lavoro-domanda salariale, perché la domanda viene cercata altrove, in una concorrenza predatoria verso altre imprese e paesi (sacrificando dunque occupazione, salute e sicurezza).In questo modo il lavoro è stato svalorizzato, culturalmente, politicamente (rendendolo “usa e getta”) ed economicamente, riducendo di 15 punti il Monte Salari Globale rispetto al Pil. Le prebende degli amministratori delegati sono passati in media da 40 volte il salario medio a 400 e persino 1.000 volte, oltretutto con la possibilità di sfuggire, a differenza dei salari, in mille modi al fisco. La diseguaglianza è la conseguenza più evidente di questa svalorizzazione del lavoro, e produce un effetto recessivo, aumentando la ricchezza sterilizzata nella finanza e sottratta agli investimenti produttivi. La carenza di domanda salariale viene di conseguenza sostituita dal debito e dai guadagni di capitale nei mercati mobiliari e immobiliari.

Questo potere ha operato una profonda trasformazione delle istituzioni economiche e finanziarie. È saltata prima la “muraglia cinese”, istituita dalla legge Glass-Steagall dopo la crisi del ’29, che separava l’attività bancaria (dei prestiti) da quella finanziaria (gestita per conto proprio), poi è stato creato un enorme “sistema bancario ombra”, più ampio di quello regolare, che opera a debito sul mercato dei derivati, con conseguente l’effetto leva, e un mercato mobiliare Otc (“over the counter”) che opera fuori dai mercati regolamentati, dunque con una “finanza creativa” che ha moltiplicato in modo abnorme l’inflazione finanziaria, fino a oltre 12 volte il Pil mondiale. Si tratta d’una ricchezza fittizia, d’un castello di carte destinato prima o poi a sgonfiarsi, ma che agisce in modo estremamente pesante, distorsivo, squilibrante e antisociale sull’economia reale, inoltre che per ora, dopo la crisi, è più grande e florido di prima, come pure resta più forte di prima il potere dei “padroni dell’universo” sopravvissuti alla crisi, a partire dal più grande di tutti, Goldman Sachs, l’attuale vero “deus ex machina” della finanza mondiale, che ha riempito di propri esponenti il governo statunitense, ma ha invaso anche l’Italia (Monti, Prodi) e l’Europa (Draghi).

La dimensione dell’economia finanziaria è enormemente superiore a quella reale. Il Pil del pianeta si aggira sui 62 trilioni di dollari, ma la quantità di moneta creata dal sistema bancario ombra ne vale 800. Il controllo del mercato finanziario è molto concentrato: secondo il rapporto trimestrale dell’Occ (“Office of the Currency Comptroller”) statunitense le prime cinque banche del paese (“Too Big To Fail”, “Troppo grandi per fallire”) detengono il 95,9% dei 250 trilioni di dollari del valore nozionale dei derivati delle prime 25 banche americane, mentre se si considerano le prime 25 Holdings bancarie (“Bank Holding Companies”) tale valore sale a 333 trilioni. Esse inoltre oggi rappresentano un rischio non già ridotto ma moltiplicato rispetto a prima della crisi per l’economia del pianeta. La JP Morgan Chase, che ha annunciato 9 miliardi di perdite sui derivati, ha un’esposizione in derivati di 78 trilioni, la Citi 56 trilioni, la Bank of America 53 trilioni, la Goldman Sachs 48 trilioni e la HSBC 3,9 trilioni. La loro esposizione al rischio è dunque crescente e ai massimi storici. Morgan Stanley ha un’esposizione di 1,793 trilioni, che per il 98,3 % riguarda i contratti ForEx, molto rischiosi, con banche europee. Goldman Sachs ha “abbellito” con i derivati, e con enormi guadagni, i conti della Grecia per farla entrate nell’euro, con la piena consapevolezza della Commissione Europea e della Germania, che aveva provveduto anch’essa ad analoghe operazioni cosmetiche, come ha fatto anche l’Italia con la “finanza creativa”. Ma non è finita qui. Il “gruppo dei nove” (un comitato d’affari composta da Goldman Sachs, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Barclays, Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse), che si riunisce “segretamente” il terzo mercoledì di ogni mese, controlla, secondo la Cftc (Commodity Futures Trading Commission, l’Autorità di vigilanza statunitense sui derivati), in modo monopolistico e davvero, qui, segreto, il mercato mondiale dei derivati, muovendo ogni giorno migliaia di miliardi di dollari. Queste attività, prima vietate, sono state legalizzate nel 2007 dalla direttiva comunitaria europea Mifid (“Markets in Financial Instruments Directive”), che ha aperto uno spazio per le piattaforme alternative, che ha provocato una proliferazione di piattaforme: i Sistemi multilaterali di negoziazione (Mtf), gli Internalizzatori sistematici, e, più importanti, i mercati consortili (Mtf in Europa e Ats negli Stati Uniti), che possono essere visibili o, più spesso, “coperti”, operando anche attraverso “ordini iceberg” che hanno una parte ufficiale e una, più grande, sommersa. I più importanti e pericolosi sono proprio questi sistemi “coperti”, i cosiddetti “pozzi neri” (dark pools), che raccolgono la “dark liquidity”, i capitali anonimi della liquidità sommersa. Alcuni li definiscono “grey pools”, ovvero “pozzi grigi”, perché connettono inestricabilmente capitali leciti e illeciti.

Si tratta di mercati elettronici riservati alle grandi operazioni all’ingrosso degli investitori istituzionali (hedge fund, fondi monetari, fondi pensione, banche d’investimento) caratterizzati da un totale anonimato, senza alcun controllo e senza alcuna registrazione né del prezzo né dell’identità dei contraenti, ciò che rende impossibile la tracciabilità delle operazioni, eludendo in tal modo le normative europee relative alla trasparenza dei mercati e le norme antiriciclaggio. Infatti la loro completa deregolazione e l’assenza di qualsiasi controllo li rende il canale privilegiato per il riciclaggio del denaro sporco e l’effettuazione di ogni sorta di operazioni illecite, a partire dagli attacchi speculativi sulle monete e sui debiti sovrani. Si tratta d’un arcipelago “oscuro”, costituito da operatori indipendenti (fra cui Bloomberg), da segmenti coperti dei mercati ufficiali (Baikal del London Stock Exchange, ISE-International Securities Exchange, Nyse Euronext, Bats Trading, Direct Edge, Swiss Block, ecc.) e, soprattutto, dalle grandi banche internazionali (statunitensi, inglesi, tedesche, francesi, giapponesi, a partire dal “gruppo dei 9”), singolarmente o in forma consortile.

Secondo i dati della Fese (Federation of European Securities Exchange) nel 2010 sono stati effettuati in Europa 42 milioni di transazioni per un controvalore di 500.000 miliardi di euro, con una media quotidiana di 15.000 miliardi, e stanno crescendo smisuratamente. Secondo le stime del Tabb Group il volume dei titoli trattati dai “dark pools” ammontavano, nel 2008, al 26% del totale, salito al 32% nel 2012. Negli Stati Uniti questi valori sono ancora maggiori, contribuiscono in media al 40% della liquidità generale di un titolo. La maggior piattaforma statunitense è Sigma X, di Goldman Sachs, con un volume mensile di 203.000 miliardi di dollari e una media di 300.000 scambi giornalieri.

L’ultima moda sono i 150 fondi speculativi mascherati (“masked hedge fund”), che nascondono la loro identità ai controllori e regolatori sotto una sigla alfanumerica anonima per aggirare l’obbligo di registrazione della Sec (la Consob statunitense), fingendosi investitori privati, a cui è consentito di conservare l’anonimato. Questi comportamenti elusivi non sono legalmente perseguibili, e in tal modo è vanificato ogni tentativo di controllo della Sec.

Un ulteriore fattore di rischio è dato dalla presenza di sistemi di negoziazione automatica (“high frequency trading”, commercio ad alta frequenza), che agiscono automaticamente, in modo istantaneo, senza intervento umano, sulla base d’un algoritmo che impartisce ordini di acquisto e vendita al verificarsi di determinate soglie di prezzo. Gestiscono il 70% delle transazioni finanziarie complessive negli Stati Uniti e il 40% in Europa, e sono in forte crescita. Costituiscono un pericolo per la stabilità, come è successo con il “Flash crash” del 6 maggio 2010, quando un improvviso calo dell’indice Dow Jones alla borsa di New York ha fatto partire automaticamente una raffica di vendite “stop loss”, fermare le perdite, perché tutti gli algoritmi operano allo stesso modo, con gli stessi programmi: causando così un crollo del mercato.

Questi mercati nascosti hanno una enorme potenza di fuoco per realizzare i loro obiettivi, perché utilizzano i derivati con un leveraggio molto elevato. Da qui partono gli attacchi speculativi, anonimi e sottratti a qualsiasi controllo, contro le monete e i debiti sovrani, e ora in particolare all’euro, con un duplice scopo, economico e politico. Lo scopo economico è quello di guadagnare una montagna di soldi dalla destabilizzazione dei mercati: basti pensare che nel “Black Wednesday” del ’92 Soros ha guadagnato in un solo giorno un miliardo di dollari attaccando la lira e la sterlina, facendole uscire dallo “Sme” (il Serpente Monetario Europeo) e determinando una loro svalutazione di circa il 20%; oggi il valore delle operazioni è molto più elevato, e dunque anche i possibili relativi guadagni, ma anche, giocoforza, i connessi disastri. Ma c’è anche uno scopo politico, che è quello di difendere il ruolo mondiale del dollaro, ovvero il suo “signoraggio”, che costituisce la base stessa della potenza finanziaria di questi enormi potentati economici.

Il cosiddetto “giudizio del mercato” non è dunque, come dichiarano i neoliberisti della Buba, un “equilibrio naturale” prodotto da milioni di investitori anonimi, sulla base di una sorta di “democrazia anarchica della finanza” che farebbe rispettare tale equilibrio attraverso la mobilità internazionale dei capitali, che voterebbero così “con i piedi” le scelte di politica economica a loro sgradite. In realtà non si tratta di un “libero mercato”, bensì di un mercato organizzato e diretto in modo oligopolistico da grandi poteri finanziari che impongono i loro interessi speculativi e i loro obiettivi politici. Un loro efficacissimo strumento sono le agenzie di valutazione., che sono società private con finalità anch’esse di tipo speculativo. Il potere di queste agenzie deriva dal fatto che l’intervento delle banche e l’accettazione dei titoli sovrani in garanzia (per i crediti) o come investimento (per i fondi) sono consentiti solo se il voto delle agenzie è dato come a un “investimento”, mentre sono esclusi se questo voto è dato come a un’operazione “speculativa” (junk bond). Per questo il voto delle agenzie di valutazione è stato spesso criticato: la sua assegnazione a operazioni finanziarie di un voto che si riferisce a un loro presunto scopo speculativo distorce il mercato finanziario, inoltre lo fa nel senso di favorire politiche di austerità neoliberista agli stati.
L’attuale attacco speculativo contro l’euro sembra sia stato deciso a New York nell’agosto del 2010 in una cena a cui hanno partecipato le grandi banche mondiali (a partire dalla Goldman Sachs) assieme a numerosi grandi hedge fund e a cui ha partecipato anche Soros. Gli speculatori hanno seguito la tattica del “domino”, ovvero del “contagio”, attaccando in sequenza Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. Poi Standard & Poor’s ha abbassato il voto (rating) della Francia e del Fondo salva-stati, minacciando il declassamento di altri 15 paesi europei, fra i quali anche la Germania. L’attacco è poi proseguito con l’abbassamento (“downgrading”) del voto delle grandi banche europee (spagnole, tedesche, francesi e italiane) da parte delle agenzie di valutazione (controllate, rammento, dai grandi fondi di investimento prevalentemente statunitensi). Esse d’altra parte hanno sempre dato il segnale d’attacco. Poi sono intervenute pesantemente nell’attacco le grandi banche d’affari e i fondi speculativi da loro controllati, utilizzando l’anonimato garantito dai “dark pool” (ma il quotidiano Mf ha scoperto e pubblicato il fatto che l’attacco al debito pubblico italiano, che ha fatto schizzare all’insù lo “spread” Btp-Bund, è stato innescato da un’ondata di vendite di Goldman Sachs, a cui si sono poi accodati i fondi speculativi e le altre banche statunitensi).

Questo attacco è stato anche facilitato dalle regole statutarie della Bce, imposte dalla Germania all’atto della sua costituzione, che vietano un intervento diretto di “difesa” dei debiti sovrani dagli attacchi speculativi (per cui la Bce non è una vera e propria banca centrale) e dal rifiuto della Merkel di utilizzare altre forme alternative di “difesa” come i cosiddetti eurobond. L’intervento automatico anti-spread della Bce, deciso nel vertice europeo del 29-30 giugno, se ha evitato una precipitazione della situazione, non ha comunque risolto i problemi. Come in tutte le crisi, dopo la bolla dei titoli strutturati stanno emergendo una serie di scandali che coinvolgono le grandi banche mondiali. Il Dipartimento della giustizia statunitense ha messo sotto inchiesta i più importanti “hedge fund” (Soros, che aveva organizzato, con successo, l’attacco a lira e sterlina nel ’92, Paulson, Greenlight e Sac Capital), accusandoli appunto di aver deciso in una cena segreta dell’8 gennaio 2010 un attacco all’euro, con immediate ripercussioni sulle quotazioni di borsa. Ma, come è avvenuto tante altre volte, queste inchieste finiscono poi nel nulla. Anche Goldman Sachs ha consigliato ai propri clienti di investire in derivati contro l’euro, e addirittura ha operato contro il debito sovrano spagnolo, pur essendo consulente di quel governo proprio per il suo collocamento. Standard&Poor’s ha annunciato e poi smentito il “downgrading” della Francia sostenendo la speculazione, con un’operazione che potrebbe essere considerata di “insider trading”, quindi illegale. Le agenzie di valutazione avevano dato il voto massimo di solvibilità ai titoli tossici in pancia alle grandi banche statunitensi e sono spesso disponibili, su commissione e dietro lauto compenso, a fornire un voto positivo che influenza i mercati. La JP Morgan Chase, la più grande banca degli Stati Uniti, ha denunciato enormi perdite per operazioni avventate sui derivati, e Mark Williams della Boston University, ex controllore alla vigilanza della Fed, sostiene che essa contiene un enorme hedge fund nascosto dentro il corpo di una grande banca di deposito, raccogliendo liquidità per effettuare investimenti speculativi. La Barclays è sotto indagine in Spagna per riciclaggio a fini di evasione fiscale. Un’indagine del Senato americano ha accusato la HSBC inglese di un decennio di operazioni illecite: di riciclaggio di denaro sporco in Messico, affari con aziende legate al terrorismo (compresa Al-Qaeda), complesse operazioni finanziarie (U-turn) con l’Iran, e fornito un “portale negli Stati Uniti a terroristi, cartelli della droga e altri “criminali”: e si tratta di colpe ammesse dalla nuova direzione della banca. Ma lo scandalo di gran lunga più grande, quello che forse è la madre di tutti gli scandali finanziari di tutti i tempi è la manipolazione decennale del Libor (e di altri tassi di riferimento come l’Euribor e i tassi giapponesi), che regola un mercato globale di tassi su derivati in 10 valute e da 350.000 miliardi dollari, che ha posto sotto accusa, assieme alla Barclays (la seconda banca inglese) numerose altre banche, che coincidono con il “club dei 9”, che fissano, attraverso una consultazione privata, il tasso della stessa Banca d’Inghilterra.

I rischi sistemici connessi alle attività speculative, responsabili del crollo finanziario del 2008, hanno posto il problema di una loro regolazione che però non è stato ancora risolto per l’ostilità del mondo finanziario. Nel 2009 la Sec l’autorità di controllo sui mercati mobiliari statunitense ha annunciato l’intenzione di proporre delle misure volte ad accrescere la trasparenza dei “dark pools” per rendere accessibili al pubblico le informazioni circa i prezzi, la liquidità e gli interessi dei contraenti. Il 16 novembre 2010, su sollecitazione della Commissione europea è stata presentata una proposta di risoluzione del Parlamento Europeo per regolamentare i “dark pool” e gli altri MTF, ma non ha finora prodotto nulla a causa dell’opera di lobbying dell’Isda (International Swap and Derivatives Association) che ha chiesto una revisione della proposta che, a suo avviso, determinerebbe conseguenze negative sulla fiducia interbancaria e di conseguenza sulla sua liquidità, bloccando il mercato. Dopo gli scandali Obama ha fatto promulgare la legge Dodd-Frank contenente la Volcker Rule, che inibisce alle grandi banche commerciali di fare speculazione con capitali propri (il cosiddetto Proprietary trade), ristabilendo la separazione fra banche commerciali e d’affari istituita dalla Glass Steagal nel ’33 e abolita da Clinton nel ’99. Wall Street ha lanciato una crociata per svuotare la Volcker Rule consentendo alle banche di usare i derivati a “copertura del rischio”, ovvero l’alibi che ha finora consentito qualsiasi operazione speculativa, annullando così di fatto la Volker rule e consentendo alla banche di riprendere la speculazione sui derivati, facendo scoppiare nuovamente i disastri e gli scandali.

Risulta del tutto evidente che fra le condizioni essenziali per avviare una possibile ripresa stabile e riportare l’economia alla sua dimensione produttiva reale, c’è anche quella della regolazione dei mercati finanziari, vincendo le resistenze accanite oggi presenti: separazione banca-finanza, tassazione delle transazioni finanziarie, divieto di derivati nudi, presenza pubblica nel settore creditizio a partire dalla nazionalizzazione delle banche salvate con il denaro pubblico, limitazione dei compensi ai dirigenti, ecc. Si tratta d’una battaglia difficile ma essenziale e dobbiamo cominciare a fare, cercando le necessarie alleanze.

Nessun commento:

Posta un commento