13 giugno 2013

Un congresso di ricostruzione


Un Congresso vero, aperto e competitivo, non autoreferenziale o celebrativo, per (ri)costruire quel partito delle riforme di cui ha bisogno la società italiana

di Luciano Fasano

Celebrati i ballottaggi, che hanno visto la vittoria dei candidati del centrosinistra e del Pd per manifesta inferiorità o per abbandono del campo degli avversari, possiamo (e dobbiamo!) finalmente tornare a parlare di Congresso. Del Congresso Pd che per troppo tempo è stato al centro delle  aspettative di iscritti e elettori di quel partito. E che oggi più che mai si configura come un congresso della ricostruzione. Sì, perché al di là degli accenti retorici sui risultati usciti dalle urne in questi giorni, ben più utili a confortare le aspettative di carriera di gruppi dirigenti fragili e disorientati che a fornire una reale chiave interpretativa di quanto
accaduto, dobbiamo per onestà intellettuale e politica riconoscere che il Pd, nonostante il favore degli astri elettorali, non ha risolto uno solo dei problemi che si trova sul tavolo e che lo assillano ormai da mesi. Eppure, proprio per le peculiarità della fase politica che ci troviamo ad attraversare, la tornata amministrativa di queste settimane dispiega innanzi al Pd una nuova e per certi versi inattesa finestra di opportunità. Perché è vero che nel complesso il partito non ottiene un grande risultato, e se si analizzano i risultati dal punto di vista assoluto dei voti raccolti vi è ben poco di cui stare allegri, ma è anche vero che il Movimento 5 Stelle, dopo lo straordinario successo delle elezioni politiche, sembra già un grande difficoltà, e il Popolo delle Libertà, se Berlusconi non è in campo, non sembra poter rappresentare un avversario competitivo. Con ciò, dopo aver perso delle elezioni politiche già vinte e aver
vinto delle elezioni amministrative per averle perse meno peggio degli altri (la bassa partecipazione al voto ne è la prova), il Pd si trova spianata davanti una strada senza dubbio promettente. Ed è per queste ragioni che occorre un Congresso di ricostruzione. Un Congresso vero, aperto e competitivo, non autoreferenziale o celebrativo, per (ri)costruire quel partito delle riforme di cui ha bisogno la società italiana.
Un Congresso che, in tal senso, non può essere finalizzato prioritariamente a ridefinire i rapporti di forza all’interno del gruppo dirigente, ma deve viceversa rappresentare un confronto di idee per il paese. E deve rispondere ad un’idea “liberale” di ciò che può essere un Congresso di un partito politico. Un'idea in base alla quale, anzitutto, non vi sia abuso di posizione dominante da parte dell’attuale gruppo dirigente. Un'idea per
cui il Congresso si fa in campo aperto, a partire da proposte e idee, in condizioni di equa eguaglianza delle opportunità fra le diverse componenti presenti nel partito, tutte allineate allo stesso modo ai blocchi di partenza. Un’idea per cui il Congresso non sia la raffigurazione plastica del patto di sindacato che all’interno del Pd lega, secondo rinnovate logiche di appartenenza incrociata, le correnti o sottocorrenti ereditate dai Ds e dalla Margherita. Un’idea per cui la base elettorale del Congresso sia costituita con pari dignità da iscritti ed elettori, e non da truppe cammellate o mandrie al pascolo opportunamente mobilitate per ratificare equilibri ormai logori di un gruppo dirigente vittima di una sindrome di accerchiamento e che fatica a relazionarsi con la società. Un’idea per cui chi vince il Congresso determina la linea e sceglie le persone che governano il partito, sulla base di un chiaro principio di responsabilità e all’interno di liste uniche e concorrenti, che permetta una volta per tutte di superare quella logica corporativa fra perdenti e vincenti che riaffermando con forza una malintesa filosofia unitaria altro non è solita produrre che paralisi strategica. Un'idea per cui si seleziona una leadership di partito che è anche la proposta di premiership che il partito intende sottoporre ai partner della coalizione così come agli elettori, senza compromessi politicisti o dannose divisioni del lavoro fra chi governa il partito e chi  governa il paese. Stiamo parlando del Congresso di un partito che sta nella società che vuole rappresentare, e che quando mobilita iscritti ed elettori per stabilire chi debba guidarlo è in grado di rappresentare un momento di discussione pubblica per il futuro del paese e per la selezione delle sue classi dirigenti. Forse stiamo parlando di un Congresso che non c’è. Ma siamo convinti che questo sia il Congresso di cui ha bisogno in questo momento il Pd. Un Congresso di ricostruzione, per sé e per l’Italia.

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