23 settembre 2013

Le parole di Epifani

Epifani: "Un percorso chiaro per il cambiamento del Paese"

"Propongo il congresso l'8 dicembre. Abbiamo il dovere di indicare un percorso chiaro per il cambiamento del Paese". Relazione del segretario del PD, Guglielmo Epifani - Assemblea Nazionale 20 settembre 2013

di Guglielmo Epifani
Guglielmo Epifani  epifani_ass
Quando abbiamo convocato questa nostra Assemblea Nazionale le avevamo attribuito il compito di decidere sui tempi e le regole per lo svolgimento del nostro Congresso. E, naturalmente, questo sarà.
Ma prima di affrontare questi problemi non possiamo – vista la situazione politica, economica e sociale che sta vivendo il nostro Paese – non partire da questi punti e da questi problemi.

C’è un paradosso forte in questa stagione politica e che cioè, mentre la priorità vera della condizione del Paese spingerebbe ad affrontare i problemi sociali, economici, del risanamento, dello sviluppo, dell’equità, partendo dal tema drammatico della disoccupazione e in modo particolare di quella giovanile, in realtà tutto sembra ruotare - e in parte ruota - sul rapporto tra le vicende giudiziarie di Berlusconi, le scelte del suo partito e le conseguenze sulla vita e sulla prospettiva del Governo.
In realtà, questo avviene per un motivo preciso, perché non ci voleva molto per capire che, senza una distinzione tra la sfera delle vicende personali, tanto più dopo la condanna definitiva della Cassazione e quelle generali, tutto si sarebbe intorbidito e reso più difficile.
Ne abbiamo avuta, per ultimo, la riprova nel contenuto del video che Berlusconi ha trasmesso a tutti i telegiornali e che, al di là della foto ingiallita di un film già visto e conosciuto tante volte e della propaganda a piene mani che contiene, appesantisce clima e prospettive, soprattutto per le gratuite invettive, per quello che ci riguarda, contro di noi, contro il Centrosinistra, e quelle - che, in realtà, vengono sempre confermate – verso la magistratura.
Quel discorso, al di là – ripeto – del copione stantio che propone, non va sottovalutato e, anche misurandolo con l’affermazione dell’accettazione della decadenza da parlamentare o con l’esigenza di rimotivare - che c’era in quel discorso - la propria parte e la propaganda di parte lanciando il nuovo-vecchio partito di Forza Italia, è chiara però l’ipoteca che pone: non più un governo di pacificazione - tema che non aveva fondamento, come abbiamo detto e contestato anche di fronte ai tanti improvvisati critici prevenuti verso di noi - ma un governo che deve avere un contenuto e un programma di parte. Naturalmente questa parte sarebbe quella del Centrodestra.

Per noi il governo di servizio è altra cosa: traghettare il Paese verso un piano economico e sociale meno inclinato, con il realismo necessario che impone la situazione della finanza pubblica, ma anche con misure capaci di stimolare la crescita e gli investimenti e, quindi, lavoro e occupazione e soprattutto con misure di equità e coesione sociale, perché – come non smetterò mai di ripetere – questa, che è la crisi più difficile che l’Italia abbia mai attraversato nella sua storia più che centenaria, non è una crisi che ci lascia così come eravamo al suo inizio. E tutti i dati pesanti – la caduta del reddito, del prodotto interno lordo, dei consumi – non sono medie che possono essere calcolate solo come medie, perché in quel meno dieci per cento di reddito c’è chi ha perso il lavoro e, quindi, tutto il reddito e c’è chi invece - per capacità, fortuna, possibilità, patrimonio e storie familiari – è riuscito anche nella crisi ad andare avanti.
Quello che continua a colpire nella Destra, e che è visibile anche nelle ultime prese di posizione - ed è il tema sul quale noi non possiamo abbassare la guardia, perché entra in rapporto tra questa propaganda e dolori profondi e larghi nell’opinione pubblica e del Paese - risiede nella costante inversione di senso e di realtà che quel messaggio e quella propaganda tendono ad amplificare in un rovesciamento di rapporto tra le cause e gli effetti e in un rovesciamento di rapporto delle responsabilità.
Che è un tempo – questo tentativo di un’inversione di realtà – di attirare consenso su di sé e di scaricare su tutti gli altri, di volta in volta diversi – l’Europa, i Mercati, l’euro, le istituzioni, il Centrosinistra, la magistratura e quant’altro – ogni responsabilità e provando – e qui sta il punto più delicato – di mettere tutti gli altri nella condizione di difendersi, anche quando questo è palesemente assurdo.

È assurda, ad esempio, questa polemica e questa posizione che ha preso Brunetta sull’Iva: chi ha messo questo aumento dell’Iva, perché deve scattare questo aumento, perché nei calcoli tendenziali dei conti pubblici del 2014 le cifre sono già là postate, in ragione di che cosa questo è avvenuto se non del fatto che il Governo di centrodestra, quando ha portato il Paese sull’orlo del baratro è stato poi costretto a negoziare con l’Unione Europea - pena il fatto di finire commissariati anche noi come la Grecia – provvedimenti come l’aumento dell’Iva e come gli altri provvedimenti, a partire dal rispetto del tetto del 3%, senza il quale non ce l’avremmo fatta.

In ragione di questo, noi abbiamo tenuto una posizione giusta, doverosa, chiara. Oggi l’ha ripetuto – e voglio qui rivolgere, ancora una volta, un atto di stima per il lavoro che sta svolgendo - il presidente Giorgio Napolitano, quando ha ricordato - come valori essenziali della nostra Repubblica e dello Stato di diritto . l’imparzialità e il rispetto che si deve alla Magistratura. E abbiamo tenuto una posizione ferma sui principi fondamentali dello Stato di diritto e sulla difesa di questi valori, quando abbiamo detto con la forza necessaria che tutto quello che stava avvenendo metteva in discussione il principio aureo secondo il quale la giustizia deve essere uguale per tutti e l’altro principio che discende da questo in base al quale nessuno può essere sovraordinato alle leggi, anche alle leggi che magari vuoi contestare. E all’altro principio in base al quale puoi criticare una sentenza – tanto più una sentenza definitiva –, ma in tutto il mondo civile e democratico non fa altro che applicare e rispettare le sentenze della Magistratura. Perché questo è quello che avviene.
E abbiamo cercato – nel motivare queste posizioni - di dire che non erano contro qualcuno, ma per la difesa e l’affermazione di questi principi e di questo diritto; usato anche l’arma del rispetto, dell’attenzione, dell’usare le parole giuste e rispettose dei problemi che Silvio Berlusconi e la sua parte avevano.
Ma devo dire con la stessa franchezza – nella quale voglio ricordare, innanzitutto a me stesso, l’uso rispettoso che abbiamo voluto sempre mantenere - che in quel videomessaggio e nelle accuse che ci sono piovute ancora una volta addosso non c’era uguaglianza di rispetto. C’era attacco, invettiva, c’era assenza di rispetto in quello che noi rappresentiamo. E mi permetto di dire che, visto che gli altri dicono cosa rappresentano, noi rappresentiamo oggi il primo partito del nostro paese, tanti elettori, tanti giovani, tanti lavoratori, tanti cittadini che chiedono e pretendono rispetto.

Questa stessa posizione l’abbiamo tenuta nei lavori della Giunta. Il voto lo dimostra e lo dimostrerà anche il resto del percorso che coerentemente siamo impegnati ad attuare.
Girando tra le nostre feste nazionali, provinciali – le tante che anche quest’anno ad onta delle difficoltà che abbiamo avuto e voglio ringraziare di questo tutte le nostre strutture provinciali, i nostri volontari, i tanti militanti che hanno reso possibile anche quest’anno lo svolgimento di feste tematiche provinciali dappertutto, con una grande partecipazione, voglia di discussione e una grande presenza – e sentendo in giro l’opinione più larga del nostro popolo, ho provato la stessa sensazione che prova ognuno di noi: siamo stanchi, irritati per questo esasperato uso di una vicenda personale contro le vere centralità della situazione che, come ho detto, si chiamano lavoro, occupazione, crisi industriali e produttive, situazioni di disagio e di povertà. Non se ne può più! È la parola d’ordine che veniva da questa partecipazione e da questa presenza.
In ragione anche di questo - perché è giusto che noi si tenga conto di questo - non possiamo inseguire soltanto quel terreno, il terreno scelto dagli altri. Dobbiamo fare ogni sforzo - anche se è difficile, perché a volte il martellamento della propaganda è davvero impressionante – per rimettere al centro dell’opinione pubblica, della nostra attenzione, del ruolo del Governo e del Parlamento, i problemi reali dei cittadini e del Paese.
In questo quadro, il Governo ed Enrico Letta stanno facendo uno sforzo grande per tenere la rotta e assolvere il compito che si è dato.
Alcune scelte del Governo sono state particolarmente giuste. Voglio partire da quella più rilevante - assunta in campo internazionale con la decisione presa da subito – che il problema rappresentato dalla guerra civile siriana e dall’escalation di quella condizione non doveva portare ad un intervento armato di risposta, ma doveva portare ad un’intensificazione di ruolo delle forze e delle istituzioni internazionali, a partire dall’Onu. E lo voglio dire oggi, perché questa scelta - che noi abbiamo sostenuto dall’inizio - è stata e si rivela la scelta giusta, quando altri grandi Paesi europei, come la Francia e l’Inghilterra, avevano deciso sbagliando un’altra strada e quando lo stesso presidente degli Stati Uniti d’America sembrava avviata su quella discussione.
E voglio anche aggiungere – l’ho detto nel mio intervento alla Camera su questo tema della Siria – che dobbiamo anche fare una riflessione ed esprimere più di un motivo di soddisfazione al pensiero che quello che ha fermato quella che sembrava una deriva inarrestabile verso la reazione armata è stato sostanzialmente l’atto di uno dei più antichi parlamenti europei, quello del Parlamento inglese quando ha bocciato la relazione di Cameron con la quale si chiedeva il mandato di aprire la ritorsione militare nei confronti della Siria.
E la stessa cosa è avvenuta nella discussione del pluralismo nel Congresso degli Stati Uniti d’America, nell’Assemblea legislativa francese: per un momento di fronte alla crisi della democrazia, alla crisi dei parlamenti io credo che noi dobbiamo fare, non solo un gesto di rispetto, ma anche riconoscere e ricordare ai tanti che pensano che il Parlamento sia un’istituzione inutile, che non c’è democrazia senza parlamento, che la democrazia o è parlamentare o non è e che grazie al ruolo dei parlamenti, le democrazie possono anche correggere gli errori e le scelte dei governi.
Naturalmente, mentre dico questo – e lo dico con la forza necessaria perché restiamo un paese troppo distratto dal cuore delle questioni internazionali, quasi che quello che avviene in questa parte del Medio Oriente, del Mediterraneo, ci riguardi solo di sfuggita e invece il Mediterraneo è il nostro presente, il nostro passato e rappresenterà il nostro futuro – voglio anche aggiungere che non basta fermarsi a quello che abbiamo fatto, perché abbiamo bisogno di continuare l’iniziativa, la pressione, di far crescere un’iniziativa dell’Unione Europea perché in realtà, se guardiamo bene lo sviluppo della situazione, abbiamo una grande opportunità ma non possiamo disperderla. E lavorare, quindi, perché la strada del negoziato sia efficace, perché smantelli davvero le armi chimiche nelle mani ad Assad, perché riconosca almeno su questo versante un primato delle istituzioni internazionali quando sono in gioco condizioni disumane di attacco a bambini, a famiglie, a donne come quelle che si sono prodotte in quella area del mondo.

E anche perché, se ci si pensa bene, se riusciamo a vincere questa battaglia e questo impegno, a impedire che sia l’uso della ritorsione a provare a tentare di risolvere i problemi, noi non solo potremmo risolvere correttamente quella parte, quell’angolo del mondo, ma apriremmo anche la strada al bisogno di altri e più forti negoziati, a partire da quello che riguarda la questione iraniana e il suo possibile – anche se smentito ma sempre in campo – riarmo atomico.
Oltre questo, dobbiamo far sì che l’Unione Europea, la nostra Europa, la smetta di presentarsi in queste occasioni con tre o quattro posizioni diverse, perché questo è un limite profondo del ruolo che l’Europa può svolgere: una posizione francese, una inglese, una tedesca, una italiana. Su questa prova abbiamo avuto quattro posizioni che non fanno alcuna posizione e, in modo particolare, dobbiamo trarre lezione da quello che è avvenuto - e questo sarà un compito che deve svolgere anche il nostro partito – e spingere perché l’Europa, a partire dalle conferenze di fine anno, recuperi un po’ più di politica di difesa comune e un po’ più di politica internazionale comune. Non possiamo lasciare le cose sul versante della politica di difesa e sul versante della politica internazionale nelle condizioni in cui noi siamo.

Ho parlato della Siria e della scelta giusta fatta dal nostro Governo. Insieme credo sia necessario insistere anche su altre scelte e altre priorità che il Governo ha affrontato correttamente. E voglio parlare di alcuni campi, quelli che ci sono più cari, non perché appartengano al patrimonio del Centrosinistra o del Partito Democratico ma perché sono campi fondamentali nell’idea che noi abbiamo della funzione e dell’identità del nostro paese. È importante, ad esempio, quello che il Governo ha fatto sulla scuola, ed è importante su due aspetti: il primo perché dopo tanti anni di tagli, di tagli, di tagli in cui si è disinvestito, in cui è parsa inarrestabile la scelta di portare ancora più in basso la spesa per l’istruzione pro capite, che è già ai livelli più bassi dell’intera Europa, ha stanziato finalmente una prima quantità di risorse a sostenere non solo l’assunzione di 70 mila persone – scelta che per chi opera attraverso persone e su persone è fondamentale -, ma a partire dall’assunzione degli insegnanti di sostegno, là dove cominciò il tentativo di smantellamento della funzione universale e pubblica della scuola.
E la stessa cosa è avvenuta nei provvedimenti sulla cultura, sui beni artistici, sui beni culturali, sulle attività di musica, di teatro, di cinema. Stiamo parlando non di stanziamenti enormi, ma stiamo parlando anche qui di un’attenzione a una nostra idea della centralità della cultura nel definire il ruolo, la capacità attrattiva e il peso e il prestigio che ha il nostro paese nel mondo, ma anche di lavoro, di investimenti, di occupazione, di possibilità di mettere in sicurezza quello che la cultura rappresenta: il fondamento del nostro patrimonio, il fondamento che non puoi distruggere pena la distruzione della tua identità, del tuo fondamento identitario e culturale in tutto il mondo.
E stesse cose potrei dire, senza adesso allargare troppo a questioni altrettanto importanti sul tema sociale che, per ragioni che potete comprendere facilmente, sono state per me anche una scelta di grande condivisione; un’inversione di tendenza sulla questione del precariato, il tentativo di legare le assunzioni ad un rapporto più stabile a tempo indeterminato di lavoro, le questioni relative alla fine dei finanziamenti delle casse integrazioni in deroga. Tutto quello che andava nella direzione di prestare attenzione ad una parte del disagio sociale del Paese. E in sé anche la piccola misura nei numeri, quella relativa agli esodati, dà il segno che non consegniamo l’impegno che abbiamo preso in campagna elettorale alla nostra retrovia, ma rappresenta per noi un costante stimolo a ricercare le soluzioni che includano, soprattutto dove sono state operate visibilmente delle ingiustizie non tollerabili e non sostenibili.
Naturalmente ho detto delle cose che sono andate nella direzione giusta, sapendo tra di noi – lo voglio dire anche qui con chiarezza – che c’è sempre uno scarto tra la gravità e la drammaticità dei problemi e le domande sociali che il Paese pone e la possibilità, in questo quadro lasciatoci in eredità dal Centrodestra – di vincoli della finanza pubblica.
Ma, naturalmente, ci sono anche problemi, vediamo qua e là sorgere qualche spina, qualche problema che dovremo affrontare nelle prossime settimane e nei prossimi giorni.
Penso, in modo particolare a come si svilupperà e si chiuderà la discussione e le scelte sul complesso dei provvedimenti da prendere tra qui e fine anno, che hanno il nome dell’Imu, che hanno il nome dell’Iva, che hanno il nome del finanziamento delle altre partite sociali che non sono affatto chiuse, che hanno il nome del problema che, avendo un decimale di più oltre il 3%, a noi non viene concesso quello che, con generosità, viene concesso ad altri paesi che hanno quasi il doppio del nostro deficit. È una correzione che, tanto per essere chiari, vale circa un miliardo e mezzo di euro.

Dov’è, da questo punto di vista, il problema? Dove, secondo me, si è commessa una sottovalutazione che deve essere corretta? Io ho sempre pensato, ho sollecitato il Governo, la nostra delegazione dei ministri al governo, che problemi di questa natura e di questa complessità debbano essere affrontati contestualmente. Quando tu hai risorse scarse, non puoi pensare di affrontarle foglia per foglia perché il rischio che corriamo è quello che chi arriva prima si prende tutto e quando arrivano gli altri problemi non ci sono risorse per affrontare le altre priorità. Quando invece li tieni assieme, anche se hanno una scansione temporale diversa, quando li tieni assieme tu puoi fare le scelte con più oculatezza. Ed è in ragione di questo che voglio dire – per essere chiaro – due aspetti che io giudico aspetti dai quali le azioni del Governo non possono prescindere. Anche perché – voglio dirlo subito con la forza necessaria – il Partito Democratico non è, come si vuol far credere, il partito delle tasse. Noi siamo, semmai, il partito del fisco giusto ed equo, di chi si batte per non avere più condoni, di chi vuole far pagare le tasse a chi non le paga. E insieme difensori del principio che chi più ha più paga, chi meno ha meno paga, perché anche questo fa parte del patto di cittadinanza di ogni democrazia.
E allora, in ragione di questo, proprio adesso che queste questioni si pongono, dobbiamo stare attenti che non si facciano scelte che comprimono altri bisogni e non si finanzino le scelte che comprimono altri bisogni mettendo nuove tasse, perché un’operazione in base alla quale tolgo una tassa e ne metto altre non vuol dire fare un’operazione fiscale seria quando il valore progressivo e regressivo delle due scelte non coincide. E per essere chiaro fino in fondo, troverei fortemente, fortemente sbagliato che, dopo aver tolto una parte dell’Imu, tu vada ad aumentare il punto dell’Iva. Perché, mentre con la prima fai un’operazione che parla soprattutto ai ceti medio-alti, con la seconda tu colpisci soprattutto i ceti popolari, quelli che non hanno reddito o vivono in condizioni di povertà.

Da questo punto di vista, quindi, chiedo al Governo che non scatti l’aumento dell’Iva e chiedo di affrontare una vera rimodulazione sull’imposizione di tipo indiretto di carattere europeo nel 2014. Così come bisogna stare attenti nella predisposizione del Patto di stabilità che riguarda il prossimo anno e gli anni a venire.
Anche qua, dobbiamo sapere che l’andamento tendenziale dei saldi non ti dà grandi margini, non siamo in presenza di tesoretti, non siamo in presenza di saldi che ti consentono di spendere e sappiamo, quindi, che tutti i soldi che vanno spesi vanno trovati e come spendi e come trovi questi soldi dà il saldo e il giudizio finale sull’equità sociale e l’efficacia delle manovre di stimolo.
E allora dobbiamo tenere fermi alcuni principi per noi fondamentali: la manovra deve essere orientata sostenere ogni stimolo agli investimenti e all’occupazione; a rifinanziare, nei termini del possibile, alcuni campi delle politiche sociali che oggi sono totalmente privi a livello comunale, a livello nazionale di risorse. Penso al reddito d’inserimento, penso alla non autosufficienza.
E insisto su un punto, sul quale non riesco a farmi una ragione di una scelta contraria. Siccome sono convinto anch’io che non c’è automaticamente una tendenza allo sviluppo, ma soltanto una fase in cui decelera e si ferma la caduta, ma non abbiamo di fronte a noi in maniera automatica per tante ragioni una via per una crescita rapida, penso che, se noi allentassimo il Patto di stabilità degli Enti Locali, dei nostri Comuni noi potremmo con poco fare molto lavoro.
Ogni tanto mi esercito a fare qualche conto, incontro sindaci; anche sabato di un comune della Toscana che mi dice: Ho dieci milioni di investimento pronti, non devo chiederli a nessuno, non devo indebitarmi per spenderli… Perché non mi viene consentito di farlo? Su ottomila comuni, togliamo i più piccoli, prendiamone la metà, se di questa metà quasi tutti fossero in condizione di spendere qualcosa non ci vorrebbe né tempo lungo, né tanti calcoli per vedere come potremmo dare lavoro a ottanta, novanta, centomila persone, a mettere in moto un indotto di occupazione, di lavoro, di investimenti, di consumi, di reddito e di tasse, creando un circuito vizioso tra quello che puoi fare e quello che puoi definire.
D’altra parte, la condizione economica del paese si mantiene pesante. Ho detto prima che la caduta è finita, ormai ci sono diversi indicatori che lo dicono; lo dice Banca d’Italia, lo dicono anche osservatori a carattere internazionale. La discussione non può essere se scendiamo ancora o ripartiamo. È che siamo in quel collo di bottiglia in cui la caduta è finita, ma la caduta, quando dovesse ripartire - se riparte ai ritmi che sono prevedibili nei prossimi due o tre anni - noi potremmo avere la conclusione davvero amara e paradossale di una piccola crescita, però incapace di creare vera, buona, nuova occupazione, condannando ancora all’attesa quella generazione perduta, quella che in questi dieci anni si è affacciata al mercato del lavoro ma non riesce a trovare se non lavori precari o lavori d’occasione e, soprattutto, determinando problemi alla coesione sociale e alla prospettiva del nostro paese.

Aggiungo che, in questa prospettiva, bisogna che il Governo, nella predisposizione della manovra del 2014, valorizzi il rapporto con le parti sociali, in modo particolare dopo l’accordo firmato sulla politica industriale, sulla politica economica e la politica fiscale da parte di Confindustria e le tre organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. E deve insieme recuperare rapidamente una capacità d’intervento sulle più delicate e più importanti questioni aperte di politica industriale. Noi non solo abbiamo perso fino ad oggi un quarto del nostro sistema manifatturiero, ma abbiamo in crisi profonda alcune filiere. Due per tutte: quelle rappresentate da uno dei più grandi gruppi industriali italiani, Finmeccanica e quelle della filiera della siderurgia che parla di Taranto, ma non solo di Taranto, perché c’è Taranto, perché c’è Terni, c’è Piombino, c’è la ricaduta sugli altri stabilimenti di affrontare con le politiche necessarie l’arresto del declino e della scomparsa di interi settori della nostra filiera produttiva, soprattutto di quella strategica.
Naturalmente, per fare questo - cioè per assumere una linea che provi ad affrontare il problema della condizione del paese, dell’occupazione, dello sviluppo, delle politiche necessarie a superare questo collo di bottiglia di cui parlavo prima – c’è un presupposto, perché implica che il Governo abbia una traiettoria definita, abbia uno spazio di azione, abbia la possibilità di raggiungere questi obiettivi.

Che cosa, infatti, possono determinare le posizioni via via più aggressive che il Centrodestra ha preso dopo la condanna della Cassazione? Non tanto una caduta immediata del Governo, che mi pare fuori dall’orizzonte delle cose che possono convenire nell’ottica del Centrodestra, ma una cosa più insidiosa, per me anche più pericolosa e cioè un periodo di lento logoramento, una fibrillazione continua, una minaccia, un ricatto a cui poi alterni una blandizia; un giorno in cui chiedi una cosa e il giorno dopo un’altra, un giorno in cui fai la faccia feroce e il giorno dopo in cui fai la faccia da agnello.
Questo, secondo me, non può essere accettato. Per un motivo molto semplice, che sta dentro l’idea che non solo noi, ma che il Governo sia segnato, quello di essere un governo di servizio nei confronti di questa particolarissima condizione del Paese.
E allora, da questo punto di vista è necessario credo da parte mia essere molto chiaro, anche perché noi manteniamo una situazione nella quale la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica del paese chiede che il Governo vada avanti, perché in un momento di crisi, di difficoltà come questo, questa ancora oggi è l’opinione largamente presente nel partito.
Ma, naturalmente, per mandare avanti un governo di servizio non è sufficiente la responsabilità di uno solo, non è sufficiente soltanto la nostra scelta e la nostra disponibilità.

E, per essere chiari ancora di più, siccome spesso il Centrodestra gioca con la memoria corta, quando si presenta paladino delle cose che doveva fare e non ha fatto e sembra invece pronto a farle perché sono altri che non gliele hanno fatte fare, siccome non abbiamo una memoria corta e ci ricordiamo quello che avvenne con il Governo Monti - quando negli ultimi mesi della sua azione noi fummo lasciati da soli a sostenere e difendere le scelte, a partire da quelle più impopolari che il Governo Monti assunse - voglio dire qui con la chiarezza, ma anche con la determinazione necessaria che noi non siamo disponibili a rivedere lo stesso film in questa occasione. Anche perché c’è un limite al trasformismo e all’opportunismo e perché il nostro senso di responsabilità deve essere tale da non costituire per gli altri l’argine agli avventurismi e alle politiche più improvvisate.
Naturalmente, so bene che il presidente del Consiglio è consapevole di questo. Lo ha ripetuto Enrico Letta tante volte, quando ha ricordato che non ci sta a farsi logorare, quando ha usato ieri quell’espressione che tutti noi ricordiamo e sarà lui che si impegnerà, ne sono sicuro, a mettere alla prova la volontà di chi sostiene il Governo.
In sostanza, io penso davvero che non si possa affrontare questa fase restando al buio o restando per troppo tempo con strategie diverse e competitive tra i soggetti che danno vita al governo di servizio.
D’altra parte, abbiamo le stesse difficoltà sul piano parlamentare. I problemi si avvertono tutti i giorni, i nostri deputati, i nostri senatori, chi lavora nelle commissioni, nelle aule lo sa. Abbiamo avuto ieri una prova provata di come sia difficile lavorare per far passare riforme. E voglio dire qui che il fatto che ieri la Camera ha approvato il disegno di legge contro l’omofobia con l’aggravamento dei suoi reati rappresenta una vittoria di civiltà.
Io so bene – e abbiamo anche fuori la prova - che c’è qualche obiezione su questo o su quel passaggio, ma voglio qui ringraziare la scelta del nostro Gruppo, in particolare Ivan Scalfarotto, al quale si deve la dedizione, l’attenzione, la forza che ci ha consentito di portare a termine quel testo. E quando abbiamo dovuto accettare un compromesso, lo abbiamo fatto perché senza quel compromesso non avremmo avuto i numeri per approvare un testo che, comunque, rappresenta il primo passaggio decisivo votato in un’aula parlamentare attorno ai problemi della condizione che le persone hanno di fronte a questo tipo di problema.

Non mi piace quello che adesso circola in qualche sito, in qualche web, dove oltre la critica sulla quale non ho motivo di dir nulla, però qua e là traspaiono anche minacce nei confronti di Ivan. Non ne possiamo più di minacce quando si affrontano temi di riforma, non ne possiamo più di minacce quando il ministro Cecil Kyenge fa le sue battaglie. Il Partito Democratico è a fianco e difenderà le sue persone che sono impegnate, perché noi sappiamo quanto sia difficile la strada delle riforme.
Le stesse difficoltà le stiamo incontrando per quanto riguarda la riforma del finanziamento dei partiti, dove noi vogliamo far passare un principio chiaro, ci tengo a dirlo, al di là delle posizioni che abbiamo, anche dentro di noi, perché ci sono molti di noi che pensano che, in fondo, una parte di finanziamento pubblico dei partiti sta nella scelta dei grandi partiti europei. Ma voglio dire: capiamo il momento e le scelte, ma c’è una cosa che non potremo mai accettare: tu non puoi ridurre fino a toglierlo il finanziamento pubblico dei partiti e non puoi lasciare senza tetto il finanziamento privato dei partiti, perché se tu fai questo alteri il gioco democratico, perché c’è chi corre con niente e chi corre con tanto. E le due cose si tengono!
E le stesse difficoltà le troveremo, al di là dei primi passaggi, sulla necessità che avvertiamo e che dobbiamo porre centrale e sulla quale dobbiamo anche riflettere se non abbiamo fatto degli errori nel ritardare le scelte in materia di riforma elettorale. Noi non vogliamo tornare a votare fra un mese, fra cinque anni, quando sarà, con questa legge elettorale. Non lo vogliamo! E per quanto difficile, perché i numeri sono quelli che sono, noi dobbiamo impegnarci non solo nelle aule del parlamento, ma anche fuori, nel paese, a dire con chiarezza e con la forza necessaria che la ricostruzione di un sistema politico che recuperi un rapporto tra cittadini elettori, istituzioni e rappresentanti parte da una riforma del meccanismo elettorale che altri hanno voluto e stanno ingessando il rapporto diretto cittadino-eletto e stanno ingessando il funzionamento dello svolgimento della contesa e della responsabilità di governo.
Aggiungo anche, accanto a queste questioni, che noi siamo anche quelli che non solo non si vergognano, ma ritengono che sia ora di dotare il nostro ordinamento dei diritti di quella che comunemente si chiama il diritto allo jus soli, cioè il riconoscimento alla cittadinanza dei bambini o delle bambine, dei figli dei migranti che sono qui da noi e sono qui da noi da qualche anno. Perché dico questo… perché queste difficoltà e questa prova che abbiamo avuto ieri ci dicono come ci dobbiamo comportare; noi non dobbiamo aver paura delle mediazioni e dei compromessi. Ieri ne abbiamo colto uno delicato e lo abbiamo fatto, ma dobbiamo tener fermo il risultato: il valore, il principio che dobbiamo anche in queste condizioni difficili batterci per affermare la cultura moderna dei diritti, dei diritti delle persone, dei diritti di cittadinanza.
Se noi dovessimo soccombere all’idea che, siccome non abbiamo i numeri, tanto vale non fare nulla, noi consegneremmo il futuro di queste battaglie in un grigiore ed in una oscurità della quale noi porteremmo comunque la responsabilità, perché puoi riuscire a non fare ma non puoi evitare fino all’ultimo di provare a cambiare, di provare a fare, di fare impegno, di fare mobilitazione, di assumersi nei confronti del Paese con chiarezza quello che tu rappresenti per chi e per cosa. Credo che questa debba essere la posizione da tenere.
Infine, l’ultima parte di questa relazione la dedico al tema del Congresso. La Commissione sta ancora – credo – lavorando. Per parte mia, voglio definire con qualche chiarezza, almeno spero, il senso che dobbiamo dare a questo congresso, i problemi che abbiamo e come dobbiamo affrontarli. Noi abbiamo bisogno di un congresso che definisca ovviamente il nostro profilo, chi siamo e il nostro disegno di cambiamento per il Paese.
Parlando di un progetto per il Paese, parliamo contemporaneamente anche di quello che siamo e di come dobbiamo cambiare. Noi dobbiamo cambiare, rinnovare e porci alla testa di un programma forte e credibile di rinnovamento.

Ho parlato delle cose che sta facendo il Governo in un quadro difficile, ma è evidente che il nostro orizzonte resta quello ineludibile di una scommessa alta e profonda del cambiamento del Paese. Perché resto convinto che senza questo nostro ruolo, senza questa nostra forza, senza questa nostra capacità il Paese farebbe fatica a uscire dalla fase forte di declino relativo nella quale è precipitato. Il declino poi deve essere arrestato, ma abbiamo bisogno di spendere di più e meglio le nostre intelligenze, il nostro ruolo, la nostra passione nei confronti di questa politica di cambiamento.
Per questo, anche superando i limiti che abbiamo avuto in questa fase di avvio della discussione congressuale, abbiamo bisogno meno di un congresso che parli al nostro interno e più di un congresso che sappia parlare al Paese. È un congresso della prima forza politica italiana che non può assolutamente rinchiudersi in se stessa.
Dovremo naturalmente riflettere sugli anni passati, sulla situazione presente, sui limiti e anche sugli errori che si sono fatti e parlarne con la franchezza necessaria, perché solo quando ne parli con la franchezza necessaria sei in condizione di riflettere su cosa ti ha portato nel quadro di difficoltà presenti e cosa devi evitare – sperando questa volta di riuscirci – per non ricadere ancora una volta negli errori e nei ritardi che abbiamo avuto.

E non mi riferisco solo all’ultima stagione, mi riferisco ad un periodo più ampio nel quale abbiamo perso tante opportunità e abbiamo mancato tanti appuntamenti.
Dobbiamo rinnovare il partito, dobbiamo rafforzare l’identità, dobbiamo allargarne il radicamento. Un partito aperto, leggero, a rete, inclusivo ma che sia un partito che sappia discutere e decidere, che abbia sedi di discussione e decisione e che, dopo le decisioni, mantenga quella forza di consapevolezza e di convergenza senza la quale non può esserci un’identità e una forza del partito per cambiare la situazione italiana.

Abbiamo bisogno assieme di una guida forte e di organismi veri abbiamo bisogno – lo dicono tutti e il problema sarà farlo – di ridurre il ruolo autoreferenziale delle correnti in favore di un pluralismo più forte, più riconoscibile di idee e di progetto.
Dobbiamo restare un partito radicato nel territorio, rafforzare il ruolo dei circoli, dei tanti volontari che animano con passione il nostro partito, dobbiamo essere inclusivo delle esperienza di movimenti, di soggetti che spesso mantengono un rapporto critico dei nostri confronti.
Dobbiamo ripartire dalle competenze, dalle capacità dei nostri amministratori locali perché non c’è niente da fare lì c’è una parte consistente del nostro radicamento e del nostro insediamento.
In sostanza, un partito in grado di costruire una speranza e un partito in grado di rappresentare una forza di cambiamento, una vera comunità al servizio del rinnovamento del Paese.

Ho detto prima che la discussione delle regole è stata faticosa. Non vorrei banalizzarla questa discussione, anche se spesso è capitato di farlo. Appartengo ad una cultura nella quale non c’è democrazia senza regole e quello che vale per un’istituzione o un’assemblea vale anche per un partito o movimento sociale o qualsiasi movimento.
Vale per le istituzioni, vale per la rappresentanza politica. Nelle regole, d’altra parte, se ci si riflette, si specchia l’idea di partito e quella della partecipazione. Per questo all’inizio del percorso alla Direzione ho posto alcuni spunti, secondo me importanti, per poter affrontare lo svolgimento del nostro congresso nel modo giusto. Il primo di questi punti richiama una discussione che abbiamo avuto, che abbiamo: come rimettere un po’ d’ordine tra la figura del segretario del partito e la figura che si candiderà alla guida del Paese e credo che abbiamo trovato – non vedo particolari obiezioni – e possiamo trovare ancora meglio delle formule che tolgono l’automatismo e che consentono quella flessibilità che abbiamo avuto nelle passate esperienze e ci possono servire nel futuro. Senza che questo voglia dire mettere in discussione l’autorevolezza e il prestigio del leader del partito.

Dobbiamo partire dal basso – io insisto – non perché sia affezionato a un’idea per cui dal basso arrivi in alto, anche se devo dire che è la storia che ho sempre visto nella mia vita, quella che ho sempre visto nello svolgimento dei congressi. Ma perché in questa occasione abbiamo un problema in più, visto che a primavera si voterà nel 70% dei comuni italiani e abbiamo bisogno da subito di rilegittimare i nostri gruppi dirigenti nel territorio. E non solo visto anche che la situazione che ci ha portato a questo punto, le traversie che abbiamo avuto nei passaggi che tutti ricordiamo richiedono – e ce lo chiedono i nostri iscritti, i nostri militanti, i nostri elettori – che si possa fare una discussione partendo dai circoli su questi temi, perché fa parte del bisogno di condividere, di capire, di partecipare alle scelte e alle discussioni.

Credo che abbiamo fatto bene alla fine a difendere il principio delle primarie aperte per tante ragioni e stiamo adesso lavorando alla data della convocazione del nostro congresso.
Da questo punto di vista, ho ripetuto tante volte che noi dobbiamo svolgere il congresso entro l’anno. Non lo dicevo così per dire, chi mi conosce sa che di solito cerco di dire le cose che poi mi impegno a fare. Fare il congresso entro l’anno vuol dire non arrivare in un’altra stagione, non lasciare tempi indefiniti davanti a noi, non aspettare ancora dopo che, a giudizio di molti, il congresso in realtà si sarebbe dovuto fare prima.

Quindi, questo è un impegno che noi dobbiamo assolutamente rispettare. Da questo punto di vista, c’è naturalmente un rapporto tra i tempi di svolgimento del congresso, i tempi di approdo del congresso e quando parti in un congresso. Cioè c’è un numero di settimane che corre tra quando formalmente parte l’organizzazione concreta del congresso - e sarà la data delle decisioni della Direzione – e il punto finale che sarà rappresentato dall’elezione, attraverso le primarie del nuovo segretario del partito.
Da questo punto di vista c’è sempre la discussione… riusciamo a far tutto in un tot settimane, ci vuole questo o quel tempo, riusciamo ad assicurare a tutti lo svolgimento di partecipazione necessario. Oppure… corriamo il rischio di perdere troppo tempo impegnati a discutere tra di noi quando i problemi fuori da noi corrono, spesso oltre le nostre aspettative.

La discussione sulla data del congresso rappresenta esattamente questi punti di vista.
Io ho riflettuto, prima di arrivare a quest’assemblea, sul fatto che noi dobbiamo uscire da questa assemblea con qualche chiarezza, non abbiamo un’altra assemblea da fare. Allora statutariamente – sapete – l’indizione della data spetta al presidente, alla presidenza del congresso, io ho ascoltato e parlato con i due vicepresidenti prima dello svolgimento della relazione ed io propongo, a nome loro, di fissare la data dello svolgimento finale del congresso per l’8 dicembre. Questa è la scelta che chi ne ha titolo avanza all’Assemblea.

Infine, vorrei che noi tenessimo presente il bisogno di ricostruire un sentimento di orgoglio e di appartenenza. Noi siamo – ho detto – il primo partito, governiamo tutte o quasi le grandi città e gran parte dei comuni, abbiamo riconfermato la guida dell’Anci con Piero Fassino e la presidenza della Conferenza delle regioni con Vasco Errani e questa è la prova del nostro radicamento. Ci scelgono non per caso, ci scelgono perché noi governiamo meglio e sta crescendo una classe dirigente giovane sulla quale dobbiamo investire.

L’appello a lavorare di più e meglio sulle iscrizioni, che una parte di democratiche e democratici ha rivolto, è un appello nobile e va raccolto. Noi siamo un partito non personale, forse l’unico di queste dimensioni. In Europa pesiamo e conteremo di più se, come spero, finalmente sciogliamo i nodi della nostra appartenenza. Giocheremo un ruolo nelle elezioni europee e nella definizione degli incarichi che l’Italia può e deve avere per contare di più in Europa.

Questa è la sfida che dobbiamo saper cogliere e questa – care democratiche e cari democratici – è anche la funzione che ho l’onore e la responsabilità di assolvere e che intendo assolvere restando fedele al mandato che mi avete conferito e del quale vi ringrazio e nel tempo che ho ancora davanti vi chiedo di sostenere. Vi ringrazio.

2 commenti:

  1. Gentile (o forse poco gentile) lettore,

    abbiamo scelto di riportare l'intero intervento per completezza. Solo leggendolo intero infatti il discorso è lineare e fedele a ciò che Epifani ha detto. Una sintesi sarebbe stata più scorrevole ma anche meno completa e più "toccata" da altre mani. Per questo non abbiamo scelto solo i titoli dei trafiletti.
    Inoltre le informazioni corrette, si sa, non sonon racchiuse in due righe ma vanno argomentate e sviscerate per bene. Per sapere bisogna leggere, ci vuol pazienza.
    In ogni caso noi abbiam pubblicato l'intero pezzo, nessuno è obbligato a leggerlo tutto.

    La redazione di Teorema

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