Caro Maroni, che ti succede?
Che succede a Maroni? No, tranquilli, non siamo
interessati alla sua vita privata, che peraltro Bobo presidente tiene
giustamente ed efficacemente riservata, ma al modo in cui interpreta il
ruolo di leader della regione più importante d'Italia.
Da un anno e mezzo a questa parte il governatore lombardo ha perso
progressivamente smalto e visibilità e pare in balia delle pressioni dei
suoi alleati che sgomitano per imporgli un rimpasto di Giunta che ha
sempre più il sapore di una resa dei conti.
Il silenzio, in alcuni casi, è segno di sicurezza e forza, perché, più
che l'affanno comunicativo può la concretezza amministrativa e politica.
Il silenzio di Maroni non ci pare però appartenere a questa categoria,
sembra piuttosto l'imbarazzo di chi non sa bene che cosa dire e non ha
certezze riguardo la strada da intraprendere, salvo affidarsi ai
ritornelli di antico sapore leghista sulla necessità che tutti imitino
la virtuosissima Lombardia.
Pressato dai suoi, Maroni ha tentato di invertire l'inerzia di una
comunicazione ripiegata su lui stesso e, prima, ha giocato la carta
Sgarbi in piena estate, salvo venirne oscurato e anche quasi canzonato,
poi si è deciso a ritagliarsi una tribuna televisiva che, dopo la
curiosità della prima volta, è sparita nel triste tran-tran di
un'emittenza locale sempre più in crisi di risorse e di idee.
Anche sul piano nazionale il silenzio di Maroni è speculare alla
ruspante e incazzosa (non c'è aggettivo più adatto) visibilità del
Matteo Salvini da Milano che in una mattina riesce a fare anche tre
comparsate televisive, gironzola per la città su camion sandwich che
gridano basta all'invasione e spopola sui social indossando varie e
spesso improbabili magliette padane (ma a Bruxelles ogni tanto ci va?).
Alla domanda "che cosa succede a Maroni" qualcuno potrebbe tentare di
rispondere che si sta occupando del governo della Lombardia, ma anche su
questo fronte ci permettiamo di avanzare qualche dubbio. L'impegno non
manca, intendiamoci, perché il presidente non si risparmia a livello di
incontri e visite sul territorio lombardo; rimane però la sensazione che
sia un attivismo un po' casuale e poco orientato, frutto
dell'indeterminatezza dell'azione di governo e di una scarsa
consapevolezza di dove debba andare la Lombardia. Lo testimonia anche
l'attività degli assessori, che girano in lungo e in largo la regione
annunciando a ripetizione misure già adottate da tempo, nella speranza
che i quattrini possano moltiplicarsi a forza di inserirli in comunicati
stampa ripetitivi e rideclinati a seconda dei territori.
Maroni finisce così per essere un po' come il Milan di Inzaghi, dotato
di grande buona volontà e foga, incapace di esprimere gioco e qualità e
in balia di svarioni difensivi sempre in agguato che mettono in
apprensione i giocatori e rovinano il fegato ai tifosi.
La vicenda del rimpasto diventa così una sorta di tormentone politico
mediatico che, se da un lato potrebbe logorare la squadra di governo
forza leghista, dall'altra sembra far comodo a Maroni per placare i
reciproci appetiti di alleati in grande subbuglio interno.
Il governatore si trincera così dietro a qualche battuta, sfrutta la sua
indiscutibile affabilità e cordialità (merce rara per quasi vent'anni
al vertice della regione), ma non riesce a imporsi come leader di una
regione in cerca di prospettive a cui aggrapparsi. E se queste
coincidono con il solo referendum per l'autonomia statutaria, temiamo
che anche i lombardi più sfegatati comincino ormai a nutrire qualche
dubbio. Avanti di questo passo non vorremmo dover vedere il prossimo 18
ottobre la brutta immagine del nostro presidente accanto al barbuto
Matteo con indosso una maglietta contro l'invasione e le braghe calate
della Lombardia nel ricordo di tristi mutande verdi macroregionali.
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