16 ottobre 2014

Toc toc, Maroni è in casa?!

Caro Maroni, che ti succede?
Che succede a Maroni? No, tranquilli, non siamo interessati alla sua vita privata, che peraltro Bobo presidente tiene giustamente ed efficacemente riservata, ma al modo in cui interpreta il ruolo di leader della regione più importante d'Italia.
Da un anno e mezzo a questa parte il governatore lombardo ha perso progressivamente smalto e visibilità e pare in balia delle pressioni dei suoi alleati che sgomitano per imporgli un rimpasto di Giunta che ha sempre più il sapore di una resa dei conti.

Il silenzio, in alcuni casi, è segno di sicurezza e forza, perché, più che l'affanno comunicativo può la concretezza amministrativa e politica. Il silenzio di Maroni non ci pare però appartenere a questa categoria, sembra piuttosto l'imbarazzo di chi non sa bene che cosa dire e non ha certezze riguardo la strada da intraprendere, salvo affidarsi ai ritornelli di antico sapore leghista sulla necessità che tutti imitino la virtuosissima Lombardia.
Pressato dai suoi, Maroni ha tentato di invertire l'inerzia di una comunicazione ripiegata su lui stesso e, prima, ha giocato la carta Sgarbi in piena estate, salvo venirne oscurato e anche quasi canzonato, poi si è deciso a ritagliarsi una tribuna televisiva che, dopo la curiosità della prima volta, è sparita nel triste tran-tran di un'emittenza locale sempre più in crisi di risorse e di idee.

Anche sul piano nazionale il silenzio di Maroni è speculare alla ruspante e incazzosa (non c'è aggettivo più adatto) visibilità del Matteo Salvini da Milano che in una mattina riesce a fare anche tre comparsate televisive, gironzola per la città su camion sandwich che gridano basta all'invasione e spopola sui social indossando varie e spesso improbabili magliette padane (ma a Bruxelles ogni tanto ci va?).
Alla domanda "che cosa succede a Maroni" qualcuno potrebbe tentare di rispondere che si sta occupando del governo della Lombardia, ma anche su questo fronte ci permettiamo di avanzare qualche dubbio. L'impegno non manca, intendiamoci, perché il presidente non si risparmia a livello di incontri e visite sul territorio lombardo; rimane però la sensazione che sia un attivismo un po' casuale e poco orientato, frutto dell'indeterminatezza dell'azione di governo e di una scarsa consapevolezza di dove debba andare la Lombardia. Lo testimonia anche l'attività degli assessori, che girano in lungo e in largo la regione annunciando a ripetizione misure già adottate da tempo, nella speranza che i quattrini possano moltiplicarsi a forza di inserirli in comunicati stampa ripetitivi e rideclinati a seconda dei territori.
Maroni finisce così per essere un po' come il Milan di Inzaghi, dotato di grande buona volontà e foga, incapace di esprimere gioco e qualità e in balia di svarioni difensivi sempre in agguato che mettono in apprensione i giocatori e rovinano il fegato ai tifosi.
La vicenda del rimpasto diventa così una sorta di tormentone politico mediatico che, se da un lato potrebbe logorare la squadra di governo forza leghista, dall'altra sembra far comodo a Maroni per placare i reciproci appetiti di alleati in grande subbuglio interno.
Il governatore si trincera così dietro a qualche battuta, sfrutta la sua indiscutibile affabilità e cordialità (merce rara per quasi vent'anni al vertice della regione), ma non riesce a imporsi come leader di una regione in cerca di prospettive a cui aggrapparsi. E se queste coincidono con il solo referendum per l'autonomia statutaria, temiamo che anche i lombardi più sfegatati comincino ormai a nutrire qualche dubbio. Avanti di questo passo non vorremmo dover vedere il prossimo 18 ottobre la brutta immagine del nostro presidente accanto al barbuto Matteo con indosso una maglietta contro l'invasione e le braghe calate della Lombardia nel ricordo di tristi mutande verdi macroregionali.

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