1 novembre 2017

Di fronte a un bivio

Gli elettori sono molto più saggi di quello che crediamo e molto più realisti di coloro che chiedono il loro voto o li chiamano alle urne.
Lo ha confermato anche il referendum per l'autonomia. Doveva essere una sorta di giudizio universale per il futuro della Lombardia e si è rivelato un chiaro, ma non così forte, segnale di via libera al cammino verso il regionalismo differenziato.
Maroni ostenta soddisfazione, ma tira un sospiro di sollievo benedicendo la sua trovata comunicativa di fissare una soglia più che abbordabile per decretare il successo di una consultazione che non ha certo scaldato il cuore dei lombardi.

Il trionfatore politico del 22 ottobre è il governatore veneto Zaia, che ha incassato una sorta di plebiscito dai suoi elettori e ha subito alzato i toni invocando lo statuto speciale per la sua regione.
Maroni deve accontentarsi del sostegno di un lombardo su tre e ha scelto un atteggiamento più istituzionale, prendendo atto che la maggioranza dei lombardi non lo seguirebbe mai sulla strada dello scontro frontale con Roma.
La partita vera comincia ora ed è tutta in salita.

Il problema non sono le resistenze romane, pur presenti soprattutto nelle burocrazie ministeriali; lo scoglio più grande sarà il passaggio dalla teorica enunciazione della maggiore autonomia alla pratica declinazione dei passaggi amministrativi necessari a portarla a compimento.
Abbiamo la sensazione che per troppi mesi ci si sia limitati ad enunciare principi autonomistici, senza fare il necessario sforzo per declinarli nelle procedure necessarie per farli diventare prassi amministrativa.

Una cosa è dire che la regione reclama tutte le competenze in merito alle politiche attive o alla tutela ambientale, altro è definire i passi concreti e le risorse necessarie per poterli attuare.
Ci pare superficiale l'atteggiamento di chi vorrebbe andare al tavolo con il governo dicendo semplicemente: "dateci tutto". Non si saprebbe neppure da che parte cominciare.
Il passaggio cruciale è ora quello di arrivare con le giuste carte da mettere sul tavolo della trattativa con il governo. L'Emilia Romagna ha già fatto il mazzo, definendo le sue quattro priorità. La Lombardia, per condurre una trattativa comune a partire dalla metà di novembre, deve stringere i tempi e portare in Consiglio regionale un documento di indirizzo entro il 7 novembre.

C'era tutto il tempo per prepararsi a dovere, ma per mesi ci si è concentrati solo sulla propaganda per il referendum, utilizzando, tra l'altro, temi che ben poco avevano a che fare con quanto previsto dall'articolo 116 della Costituzione, dal residuo fiscale alla possibilità di diventare una regione a statuto speciale.

La fase della propaganda è finita. Bisogna ora trattare sul serio ed entrare nel merito delle questioni.
Rimane un dubbio. Non vorremmo che Maroni finisse per diventare vittima di una sorta di sindrome da shopping compulsivo convinto che il conto possa pagarlo sempre qualcun altro. A chi non piacerebbe poter entrare in un negozio dicendo: "voglio tutto e paga quel signore laggiù"? Maroni rischia di fare proprio così: chiedere tutte le competenze possibili, immaginando che possano essere finanziate senza alcun limite dal rapace stato centrale che da anni ruba le tasse ai lombardi.
Se questo sarà l'atteggiamento, crediamo che la trattativa non andrà lontano. Se invece, come auspichiamo, l'obiettivo sarà quello di definire strade concrete per rendere più efficienti e meno costosi servizi gestiti ora dallo stato e domani dalla regione, allora crediamo che il tavolo possa ottenere risultati concreti.

Siamo di fronte a un bivio.
Noi del PD ci siamo e non faremo mancare il nostro sostegno a un percorso serio e concreto: tutto sta a vedere se l'obiettivo di Maroni è una possibile maggiore autonomia della Lombardia o la prossima campagna elettorale.



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