22 gennaio 2018

Così si demonizzano gli avversari

Il disagio per i cittadini almeno inizialmente è contenuto. Però c'è sempre un impatto simbolico potente e si accende la polemica sulle responsabilità, che può penalizzare il partito di maggioranza visto che ha le redini della politica di bilancio
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
20 gennaio 2018

E’ ormai inevitabile lo shutdown, ovvero la "chiusura" dell'Amministrazione federale per mancanza di fondi. La possibilità di scongiurarlo era appesa ad un voto del Senato, dove era indispensabile un appoggio dell’opposizione democratica anche se i repubblicani hanno la maggioranza. Le regole per le manovre di bilancio americane sono complicate. Basti dire che dagli anni Ottanta, in nome di un controllo sui deficit pubblici, è quasi indispensabile un accordo bipartisan.
Se la dialettica tra maggioranza e opposizione fosse “civile”, sarebbe l’occasione per una gestione concordata della finanza pubblica. Più spesso accade che il dialogo si riveli impossibile. In questo caso, è accaduto perché i democratici non hanno ottenuto le concessioni che chiedevano sulla protezione di una categoria di immigrati: i Dreamers, arrivati qui da bambini ma tuttora sprovvisti di regolare permesso di soggiorno. Per loro Barack Obama aveva previsto una corsia di regolarizzazione, che l’Amministrazione Trump ha bloccato. Un incontro venerdì sera fra lo stesso presidente e il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, non ha risolto l’impasse.

Lo shutdown è una sceneggiata che si ripete ormai con regolarità, anche se la presidenza Trump la carica di un pathos particolare. Le procedure del bilancio federale richiedono l'autorizzazione del Congresso per alzare il tetto legale del debito pubblico, senza questo via libera il Tesoro non ha facoltà di raccogliere nuovi fondi per finanziare le spese correnti. Da qui nasce ogni anno la possibilità che un qualsiasi conflitto al Congresso blocchi il normale funzionamento dell'amministrazione pubblica. E' la ricetta ideale per dare a qualche gruppo di parlamentari un potere di veto.

In caso di shutdown i governi si arrangiano per non sospendere servizi di emergenza, relativi per esempio alla sicurezza, e cominciano col chiudere attività non essenziali come i parchi nazionali. Inoltre, in questa nazione federalista molti servizi pubblici come la polizia sono in realtà di competenza locale e lo shutdown non riguarda i singoli Stati Usa, solo le attività che dipendono da Washington. Il disagio per i cittadini almeno inizialmente è contenuto. Però c'è sempre un impatto simbolico potente. E si scatena la caccia al colpevole, la polemica sulle responsabilità, che può penalizzare il partito di maggioranza visto che ha le redini della politica di bilancio.

Gli shutdown dell'era moderna sono cominciati sotto Reagan. I più lunghi (3 settimane) avvennero sotto Bill Clinton, mentre con Bush e Obama ce ne furono di brevissimi. Gli antecedenti dimostrano che risale agli anni Ottanta la politicizzazione estrema della spesa pubblica, quando l'ideologia neoliberista dichiarò guerra allo Stato, al Welfare, ecc. E risale agli anni Novanta (con Newt Gingrich capogruppo repubblicano alla Camera)
il deterioramento grave del dialogo tra i due partiti, la guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi, l'ostruzionismo a oltranza, l'imbarbarimento del dialogo pubblico, la demonizzazione del'avversario. Tutti mali che in germe contenevano anche il fenomeno Trump.

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