21 gennaio 2019

Francia e Germania riscrivono i loro rapporti. L’Italia sovranista neanche se ne accorge

Ecco l’Europa a due velocità di cui si parlava quando ancora si poteva ragionare sullo sviluppo dell’Unione. Parigi e Berlino sono passati dalle parole ai fatti.

Ricordate quando in questo Paese si poteva ancora parlare, con una parvenza di serietà, del futuro dell’Europa? Era il tempo in cui Emmanuel Macron si era messo in testa di riformare l’Unione, in cui Angela Merkel aprì all’idea dell’Europa a due velocità. Maggiore integrazione e maggiori opportunità per chi era disposto a guardare avanti, gli altri fermi al palo, ostaggio dei loro nazionalismi. All’epoca l’obiettivo di questa offensiva erano gli egoismi del gruppo di Visegrad. La Brexit non era ancora diventata il disastro che è oggi e l’Italia era governata da Paolo Gentiloni, che aderì con entusiasmo agli appelli di Macron e Merkel.

E’ passato poco più di un anno, in realtà sembra un’era geologica fa. L’unico governo che si autodefinisce orgogliosamente sovranista e populista dell’Europa occidentale, ha scavato un fosso profondissimo nei rapporti con gli alleati storici, proprio a partire da Francia e Germania, inscenando da subito uno scontro senza precedenti con presidente della Repubblica francese e con le istituzioni europee. Con il solo risultato di risvegliare antichi pregiudizi nei confronti dei governanti italiani, tanto da spingere la Cancelliera a far sapere al presidente Mattarella che lei “parla con Conte e non con i suoi ministri”. Come darle torto.

E così, nel disinteresse generale, Francia e Germania sono andate avanti. Eccome se sono andate avanti. E martedì prossimo ad Aachen (la vecchia Aquisgrana) firmeranno il nuovo trattato franco-tedesco, che (quello sì, altro che gli estemporanei spottoni di distrazione di massa dei grillo-leghisti) sarà qualcosa di storico. L’Italia? Non pervenuta, nonostante il suo ruolo di Paese fondatore dell’Unione. D’altronde, con Di Maio che liscia il pelo ai gilet gialli e Salvini che flirta con i leader liberticidi di Polonia e Ungheria, non c’era d’aspettarsi nulla di diverso.

Ma cosa ci sarà scritto in questo trattato che cambierà per sempre i rapporti tra Francia e Germania, sconvolgendo gli equilibri diplomatici? Sette capitoli, 28 articoli, in cui vengono definite le regole “per la cooperazione e l’integrazione franco-tedesca”, che in parte si richiamano al Trattato dell’Eliseo del 1963, “che ha largamente contribuito alla riconciliazione storica tra Francia e Germania”. La parte più clamorosa è quella in cui (alla fine dell’articolo 8) si scrive, nero su bianco, che “l’ammissione della Repubblica federale di Germania come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è una priorità della diplomazia franco-tedesca”. Un passaggio epocale, che, per la prima volta, si propone di andare oltre gli equilibri post-bellici del Consiglio di Sicurezza (cosa non esattamente gradita dalle parti di Washington).

Il nuovo Trattato, poi, sancisce la convergenza tra Francia e Germania in “politica estera, difesa, sicurezza interna ed esterna, diplomazia, giustizia, politica energetica, ricerca, esportazione di armamenti”. E poi ancora, la creazione di un “Consiglio dei ministri franco-tedesco”, di un “consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza” e di un “consiglio franco-tedesco di esperti economici”. Addirittura “un membro del governo di uno dei due Stati prende parte, almeno una volta a trimestre e in alternanza, ai consigli dei ministri dell’altro Stato”.

Il governo italiano, troppo preso da decretoni-patacca e passerelle mediatiche, forse non si è neppure accorto di ciò che sta per succedere oltre le tanto amate frontiere. Non v’è dubbio che, quando lo farà, partirà un fuoco di fila contro il famigerato asse franco-tedesco, linea già anticipata da alcuni giornali con smania di scalare le classifiche di gradimento nel cuore dei sovranisti nostrani. Sarà invece un’altra occasione persa, perché quello tra Francia e Germania potrebbe essere un accordo pilota su cui installare l’Europa a due velocità. E invece, con gli “statisti” che ci ritroviamo, finirà per spingere il nostro Paese verso lidi finora inesplorati, aiutandolo nella rapida trasformazione da potenziale leader del Mediterraneo a piccola provincia, sempre più invaghita del mito dei vari Putin, Orban e Kaczinsky.

tratto da Democratica

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