2 aprile 2019

Il Papa di ritorno dal Marocco: mettiamo ponti nei porti

Intervista sul volo da Rabat: chi costruisce muri ne resterà «prigioniero». La dichiarazione su Gerusalemme «un passo avanti» da fratelli. Sui migranti appello all'Europa che «vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini». E Francesco consiglia di leggere un articolo di Vatican Insider  

Nel discorso alle autorità ha detto che il fenomeno migratorio non si risolve con le barriere fisiche, ma qui in Marocco la Spagna ha costruito due barriere con lame per tagliare quelli che le vogliono superare. E il Presidente Trump in questi giorni ha detto che vuole chiudere completamente le frontiere e in più sospendere gli aiuti a tre paesi centro americani. Che cosa vuole dire a questi governanti?

«Prima di tutto: i costruttori di muri, siano di lame tagliate con coltelli o di mattoni, diventeranno prigionieri dei muri che fanno. Secondo: ho visto un pezzo di quel filo con i coltelli. Io ti dico sinceramente che mi sono commosso e poi quando se ne è andato ho pianto. Ho pianto perchè non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare nel Mediterraneo. Mettiamo ponti nei porti. Questo non è il modo di risolvere il grave problema dell’immigrazione. Io capisco: un governo, con questo problema ha la patata bollente nelle mani, ma deve risolverlo altrimenti, umanamente. Quando io ho visto quel filo, con i coltelli, sembrava di non poter credere. Poi una volta ho avuto la possibilità di vedere un filmato nel carcere, dei rifugiati che tornano, che sono mandati indietro. Carceri non ufficiali, carceri di trafficanti. Fanno soffrire… fanno soffrire. Le donne e i bambini li vendono, rimangono gli uomini. e le torture che si vedono filmate lì sono da non credere. È stato un filmato fatto di nascosto, con i servizi. Ecco io non lascio entrare: è vero perchè non ho posto, ma ci sono altri Paesi, c’è l’umanità dell’unione europea. deve parlare l’Unione Europea intera. Non lascio entrare, o li lascio affogare lì, o li mando via sapendo che tanti di loro cadranno nelle mani di questi trafficanti che venderanno le donne e i bambini, uccideranno o tortureranno per fare schiavi gli uomini? Una volta ho parlato con un governante, un uomo che io rispetto e dirò il nome, Alexis Tsipras, e parlando di questo e degli accordi di non lascare entrare, lui mi ha spiegato le difficoltà, ma alla fine mi ha parlato col cuore e ha detto questa frase: “I diritti umani sono prima degli accordi”: questa frase merita il premio Nobel».

La politica europea va esattamente nella direzione opposta. L’Europa diventa come un bastone contro i migranti. Questa politica rispecchia l’opinione degli elettori. La maggioranza di questi elettori sono cristiani cattolici. Lei come si sente con questa triste situazione?

«Vedo che tanta gente di buona volontà, non solo cattolici, ma gente buona, di buona volontà è un po’ presa dalla paura, che è la predica usuale dei populismi: la paura. Si semina paura e poi si prendono delle decisioni. La paura è l’inizio delle dittature. Andiamo al secolo scorso, alla caduta della Repubblica di Weimar, questo lo ripeto tanto. La Germania aveva necessità di un’uscita e, con promesse e paure, è andato avanti Hitler, conosciamo il risultato. Impariamo dalla storia, questo non è nuovo: seminare paura è fare una raccolta di crudeltà, di chiusure e anche di sterilità. Pensate all’inverno demografico dell’Europa. Anche noi che abitiamo in Italia: sotto zero. Pensate alla mancanza di memoria storica: l’Europa è stata fatta da migrazioni e questa è la sua ricchezza. Pensiamo alla generosità di tanti paesi, che oggi bussano alla porta dell’Europa, con i migranti europei dall’84 in su, i due dopoguerra, in massa, America del Nord, America Centrale, America del Sud. Mio papà è andato lì nel dopoguerra in accoglienza. Un po’ di gratitudine… È vero, per essere comprensivi, che il primo lavoro che dobbiamo fare è cercare che le persone che migrano per la guerra o per la fame non abbiano questa necessità. Se l’Europa così generosa vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini, come fa l’Europa a essere coerente? E dico: questo è un esempio, ma l’Europa vende delle armi. Poi c’è il problema della fame, della sete. L’Europa, se vuole essere la madre Europa e non la nonna Europa deve investire, deve cercare intelligentemente di aiutare ad alzare con l’educazione, con gli investimenti e questo non è mio, lo ha detto il cancelliere Merkel. È una cosa che lei porta avanti abbastanza: impedire l’emigrazione non con la forza ma con la generosità, gli investimenti educativi, economici, ecc. e questo è molto importante. Secondo, su come agire: è vero che un Paese non può ricevere tutti, ma c’è tutta l’Europa per distribuire i migranti, c’è tutta l’Europa. Perché l’accoglienza deve essere con il cuore aperto, poi accompagnare, promuovere e integrare. Se un Paese non può integrare deve pensare subito di parlare con altri Paesi: tu quanto puoi integrare, per dare una vita degna alla gente. Ci vuole generosità, ci vuole andare avanti, ma con la paura non andremo avanti, con i muri rimarremo chiusi in questi muri».

Lei ha incontrato il re del Marocco e la sua volontà di dialogo. Che cosa bisogna fare di concreto per rafforzare il dialogo?

«Sempre, quando c’è un dialogo fraterno, c’è un rapporto a vari livelli. Permettetemi un’immagine: il dialogo non può essere di laboratorio, deve essere umano, e se è umano è con la mente, il cuore e le mani e così si firmano dei patti. Per esempio: il comune appello su Gerusalemme è stato un passo avanti fatto non da un’autorità del Marrocco e da un’autorità del Vaticano, ma da fratelli credenti che soffrono vedendo questa "Città della speranza" che ancora non è così universale come tutti vogliamo: ebrei, musulmani e cristiani. Tutti vogliamo questo. E per questo abbiamo firmato questo desiderio: è un desiderio, una chiamata alla fraternità religiosa che è simbolizzata in questa Città che è tutta nostra. Tutti siamo cittadini di Gerusalemme, tutti i credenti».

Lei denuncia spesso l’azione del diavolo, lo ha fatto anche nel recente summit sulla protezione dei minori. Cosa fare per contrastarlo, soprattutto in merito agli scandali della pedofilia?

«Un giornale, dopo il mio discorso alla fine del summit sulla protezione dei minori, ha detto: il Papa è stato furbo, prima ha detto che la pedofilia è un problema mondiale, poi ha detto qualcosa sulla Chiesa, alla fine se ne è lavato le mani e ha dato la colpa al diavolo. Un po’ semplicistico, no? Un filosofo francese, negli anni Settanta, aveva fatto una distinzione che a me ha dato molta luce. Lui diceva: “Per capire una situazione bisogna dare tutte le spiegazioni e poi cercarne il significato”. Cosa significa socialmente? Cosa significa personalmente o religiosamente? Io cerco di darle tutte le spiegazioni. Ma c’è un punto che non si capisce senza il mistero del male. Pensate alla pedo-pornografia virtuale. Ci sono stati due incontri, pesanti, a Roma e Abu Dhabi. Mi domando come mai è diventata una cosa del quotidiano? Come mai - sto parlando di statistiche serie - se vuoi vedere un abuso minorile sessuale dal vivo puoi collegarti con la pedo-pornografia virtuale, te lo fanno vedere. Non dico bugie. Io mi domando: i responsabili non possono fare nulla? Noi nella Chiesa faremo di tutto per finirla con questa piaga, faremo di tutto. Io in quel discorso ho dato misure concrete. Già c’erano, prima del summit, quando i presidenti delle conferenze mi hanno dato quell’elenco che ho dato a tutti. I responsabili di queste sporcizie, sono innocenti? Quelli che guadagnano con questo? A Buenos Aires, con due responsabili della città, abbiamo fatto un’ordinanza, una disposizione non vincolante per gli alberghi lussuosi, dove si diceva “mettete alla reception: in questo albergo non si permettono rapporti con i minori”. Nessuno ha voluto metterlo. “No… ma sai... non si può, sembra che siamo sporchi, si sa che non lo facciamo ma senza il cartello”. Un governo non può individuare dove si fanno questi filmati con i bambini? Tutti filmati dal vivo. Per dire che la piaga mondiale è grande ma anche che non si capisce senza lo spirito del male, è un problema concreto. Per risolvere questo ci sono due pubblicazioni che raccomando: un articolo di Gianni Valente su Vatican Insider dove parla dei “donatisti”. Il pericolo della Chiesa oggi di diventare “donatista” facendo prescrizioni umane, dimenticando le altre dimensioni. La preghiera, la penitenza, che non siamo abituati a fare? Ambedue! Perché vincere lo spirito del male non è “lavarsi le mani”, dire «il diavolo lo fa”: no. Anche noi dobbiamo lottare col diavolo, con le cose umane. L’altra pubblicazione l’ha fatta la Civiltà Cattolica. Io avevo scritto un libro, nell’87, le “Lettere della tribolazione”, erano le lettere del padre generale dei Gesuiti quando stava per essere sciolta la Compagnia. Ho fatto un prologo, questi hanno studiato e hanno fatto uno studio sulle lettere che ho fatto all’episcopato cileno e al popolo cileno. Come agire con questo, le due parti, la parte scientifica e la parte spirituale. Lo stesso ho fatto con i vescovi degli Stati Uniti: le proposte erano troppo metodologiche, senza volontà, era trascurata la dimensione spirituale. Vorrei dirvi: la Chiesa non è congregazionalista, è cattolica, dove il vescovo deve prendere in mano e anche il Papa deve prendere in mano come pastore. Ma come? Con le misure disciplinari e anche con la penitenza, con la preghiera, con l’accusa di sé stesso. Sarei grato se studiaste le due cose: la parte umana e spirituale». 

Ieri un ministro italiano, in riferimento al convegno di Verona, ha detto che più della famiglia bisogna avere paura dell’islam. Siamo a rischio dittatura? 

«Io di politica italiana non capisco. Ieri mi è stata fatta una domanda sul raduno delle famiglie, non so cosa sia, davvero, so che è uno dei tanti che si fanno. So anche che ho letto la lettera del cardinale Parolin (mandata agli organizzatori dopo avere ricevuto l'invito a partecipare, spiegando la motivazione della sua assenza al Congresso, ndr) e sono d’accordo, è pastorale, di buona educazione. Ma di politica italiana non domandarmi, non capisco».

Ci sono stati momenti molto forti, questa visita è stata un avvenimento eccezionale, storico per il popolo marocchino. Quali le conseguenze di questa visita per il futuro, per la pace nel mondo?

«Io dirò che adesso ci sono i fiori, i frutti verranno dopo. Ma i fiori sono promettenti. Sono contento, perché in questi due viaggi ho potuto parlare di questo che mi tocca tanto nel cuore, tanto: la pace, l’unità, la fraternità. Con i fratelli musulmani e musulmane abbiamo sigillato questa fraternità nel documento di Abu Dhabi e qui in Marocco tutti abbiamo visto una libertà, una fraternità, un’accoglienza di tutti i fratelli con un rispetto tanto grande. Questo è un bel fiore di coesistenza che promette di dare frutti. Non dobbiamo mollare! È vero che ci saranno ancora difficoltà, tante difficoltà perché purtroppo, ci sono gruppi intransigenti. Ma questo vorrei dirlo chiaramente: in ogni religione c’è sempre un gruppo integralista che non vuole andare avanti e vive dei ricordi amari, delle lotte del passato, cerca di più la guerra e anche semina la paura. Noi abbiamo visto che è più bello seminare la speranza, andare per mano, sempre avanti. Abbiamo visto, anche nel dialogo con voi qui in Marocco, che ci vogliono dei ponti e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri. Perché abbiamo dolore? Perché coloro che costruiscono i muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti, andranno tanto avanti. Costruire ponti per me è una cosa che va quasi oltre l’umano, ci vuole uno sforzo molto grande. Mi ha sempre toccato tanto una frase del romanzo di Ivo Andrić, “Il ponte sulla Drina”: lui dice che il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini comunichino… perché gli uomini possano comunicare. Il ponte è per la comunicazione umana. E questo è bellissimo e l’ho visto qui in Marocco. Invece i muri sono contro la comunicazione, sono per l’isolamento e quelli che li costruiscono diventeranno prigionieri. I frutti non si vedono ma si vedono tanti fiori che daranno dei frutti, andiamo avanti così».

Ieri il re del Marocco ha detto che proteggerà gli ebrei marocchini e i cristiani di altri Paesi che vivono in Marocco. La domanda è sui musulmani che si convertono al cristianesimo: è preoccupato di questi uomini e donne che rischiano la prigione o in altri Paesi musulmani sono condannati a morte? 

«Io posso dire che in Marocco c’è libertà di culto, c’è libertà religiosa, c’è libertà di appartenenza religiosa; poi la libertà sempre si sviluppa, cresce. Tu pensa a noi cristiani di 300 anni fa, se c’era questa libertà che abbiamo oggi. La fede cresce nella consapevolezza, nella capacità di capire se stessa. Oggi noi abbiamo tolto dal Catechismo della Chiesa cattolica la pena di morte. 300 anni fa bruciavano vivi gli eretici. Perché la Chiesa si è accresciuta nella coscienza morale. Cresce anche il rispetto della persona e della libertà di culto. Anche noi dobbiamo continuare a crescere. Ci sono cattolici che non accettano quello che il Vaticano II ha detto sulla libertà di culto, la libertà di coscienza. Ci sono cattolici che non accettano. Anche noi abbiamo questo problema ma anche i fratelli musulmani crescono nella coscienza e alcuni Paesi non capiscono bene o non crescono così come altri. In Marocco c’è questa crescita. In questo quadro c’è il problema della conversione: alcuni Paesi ancora non la vedono. Non so se è vietata ma la pratica è vietata. Altri Paesi come il Marocco non hanno problemi, sono più aperti, più rispettosi e cercano un certo modo di procedere con discrezione. Altri Paesi con i quali ho parlato dicono: noi non abbiamo problema ma preferiamo che il battesimo lo facciano fuori dal Paese e tornino cristiani. Ma sono modi di progredire nella libertà di coscienza e nella libertà di culto. A me preoccupa un'altra cosa: la retrocessione di noi cristiani quando togliamo la libertà di coscienza, pensiamo ai medici e alle istituzioni ospedaliere cristiane che non hanno il diritto della obiezione di coscienza, per esempio per l’eutanasia. Come? La Chiesa è andata avanti e voi Paesi cristiani andate indietro? Pensate questo perché è una verità. Oggi noi cristiani abbiamo il pericolo che alcuni governi ci tolgano la libertà di coscienza che è il primo passo per la libertà di culto. Non è facile la risposta, ma non accusiamo i musulmani, accusiamo anche noi in questi Paesi dove succede questo. C’è da vergognarsi».

Il cardinale Barbarin: questa settimana il Consiglio della diocesi di Lione ha votato quasi all’unanimità che sia trovata una soluzione duratura al suo ritiro. È possibile per lei, che è molto attaccato alla sinodalità della Chiesa, ascoltare questo appello di una diocesi in una situazione tanto difficile?


«Lui, uomo di Chiesa, ha dato le dimissioni, ma io non posso moralmente accettarle perché giuridicamente, ma anche nella giurisprudenza mondiale classica, c’è la presunzione di innocenza, durante il tempo che la causa è aperta. Lui ha fatto ricorso e la causa è aperta. Poi quando il secondo tribunale dà la sentenza vediamo cosa succede. Ma sempre avere la presunzione di innocenza. Questo è importante perché va contro la superficiale condanna mediatica. Cosa dice la giurisprudenza mondiale? Che se una causa è aperta c’è la presunzione di innocenza. Forse non è innocente ma c’è la presunzione. Una volta ho parlato in un caso in Spagna di come la condanna mediatica ha rovinato la vita di sacerdoti che poi sono stati riconosciuti innocenti. Prima di fare la condanna mediatica, pensarci due volte. E lui ha preferito onestamente: “Ma no, io mi ritiro, prendo un congedo volontario e lascio al vicario generale gestire l’arcidiocesi finché il tribunale dia la sentenza finale”».

tratto da La Stampa

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