6 aprile 2019

L’oltraggio al pane di Torre Maura

Il magnifico articolo sui fatti di Torre Maura (periferia di Roma, ma simbolo di tutte le periferie, anche di Brescia, Milano, Bari...) dell'antropologo Marino Niola, su Repubblica.

Calpestare il pane significa calpestare l’umanità. Ed è proprio quel che è accaduto martedì nel quartiere romano di Torre Maura dove una folla inferocita ha distrutto i panini destinati ai rom, ospiti indesiderati nel centro di accoglienza del Comune. Se è vero che ogni protesta legittima è possibile, questo gesto è intollerabile. Addirittura sacrilego. Perché fa scempio di quello che dagli albori della civiltà occidentale, ai cui valori si richiamano molti dei manifestanti, è il simbolo stesso dell’umano. Alimento ordinario dell’uomo civilizzato lo definiscono i dizionari. Come dire che chi oltraggia il pane si chiama automaticamente fuori dal consorzio civile. Non solo perché mal tollera che quegli “zingari”, temuti ed esecrati, sostino su quello che considera un territorio di sua esclusiva proprietà dimenticando che uno spazio pubblico è di tutti e non solo degli abitanti del quartiere. Ma soprattutto perché i trecento giustizieri, a quelle donne, a quegli uomini, a quei bambini non hanno riconosciuto lo statuto di persone. Li hanno trattati come residui ingombranti da smaltire con le buone o le cattive.
Li hanno ridotti a nuda vita, verso cui ogni opera di misericordia è sospesa. È per questo che qualcuno ha urlato «devono morire di fame». Lo stesso messaggio gridato senza parole da coloro che hanno schiacciato rabbiosamente le fette di pane. Mettendosi sotto i piedi l’archetipo stesso del nutrimento, il cibo per antonomasia. Nell’Odissea gli uomini vengono chiamati artofagoi, vale a dire “i mangiatori di pane”, per sottolineare come l’impasto di acqua e farina rappresenti la frontiera dell’umanità. Per i greci e i romani, dai quali discendono i nostri valori, il disprezzo del pane era un atto barbarico, degno di bruti come Polifemo. Il pane era sacro, nel vero senso della parola. Perché era un dono delle dee madri, come Demetra e Cerere. E in tutto il Mediterraneo si celebravano riti in onore delle divinità del grano. Che morivano e risorgevano a primavera. Proprio come Cristo, nato a Betlemme, che in ebraico significa la città del pane ed era nota per l’eccellenza dei fornai. Questi simboli vengono fatti propri dal cristianesimo che li rende più espliciti e fa del pane la materia prima dell’eucaristia. Perché il dio che si fa uomo per togliere i peccati dal mondo offre all’umanità il dono-perdono del suo corpo transustanziato in pane. Come recitano le parole di un’Enciclica di papa Francesco, il Signore “arriva a farsi mangiare dalla sua creatura”. E non è per caso che la preghiera dei cristiani si rivolga al dio padre come a un capofamiglia, per chiedere il pane quotidiano per tutti. Proprio come facevano i lavoratori quando, più laicamente, trasformavano il binomio pane e lavoro nell’algoritmo del diritto alla vita e alla dignità. Insomma per noi europei la civiltà è fatta da sempre della stessa sostanza di cui è fatto il pane. Al punto che fino alle soglie della modernità chi commetteva delitti efferati veniva interdetto il consumo del pane e non di altri cibi. Un modo per dire che la società li considerava alla stregua di belve che non avevano nulla di umano. Ecco perché chi a Torre Maura ha calpestato il pane di trentatré bambini e delle loro famiglie, insieme all’umanità degli altri ha distrutto anche la propria. E dovrebbe guardarsi dentro per cercare le cause di quel grumo oscuro di paura e rancore che gli chiude la mente e il cuore.

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