Perché un tweet aiuta, ma per la rivoluzione devi uscire di casa... |
Nel corso del 2019 questa cosa sì è vista ovunque, non solo in Italia: piazze piene in Libano, in Spagna, in Iran, in Cile. Ma soprattutto abbiamo visto milioni di giovani (e qualche vecchio ambientalista dal cuore giovane) invadere le strade del mondo nel nome di Greta Thunberg. A pensarci bene, sono stati i giovani - quelli che alcuni pensano che vivano chiusi in un social network - ad aver innescato questo ritorno della piazza dove alcuni addirittura compiono questo gesto simbolico potentissimo di scambiarsi un libro di carta, non di mandarsi un file con il bluetooth, ma proprio un libro di carta, spesso addirittura la nostra Costituzione (ma lo hanno fatto anche in Russia).
Nel 2010, uno degli autori più apprezzati del nostro tempo, Malcom Gladwell, scrisse un potente saggio sul New Yorker contro l'attivismo da tastiera. Si intitola "Perché la rivoluzione non sarà twittata". Si era appena conclusa la primavera araba, con il suo eccessivo entusiasmo sulla democrazia che arrivava attraverso Facebook. Molti allora dissero che Gladwell si sbagliava, che non aveva capito l'intrinseca potenza positiva della rete. Sono passati dieci anni ed è ora di dire che Gladwell aveva ragione: la rete serve a connettersi, a informarsi, a far circolare idee. Ed è fondamentale per innescare un movimento. Ma poi devi uscire di casa per fare la storia.
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