27 ottobre 2020

Dalla terra alla terra: come la bioplastica può salvare il pianeta

Il suolo che calpestiamo ogni giorno è in pericolo.
Diversi agenti lo depauperano mettendo a rischio il nostro futuro.
Eppure basterebbe poco per rigenerare risorse anziché distruggerle.
Un esempio? Il compost

Già nel Medioevo avevano compreso quanto fosse rischioso impoverire un terreno dei suoi minerali. La messa a maggese (ossia a riposo) della terra, unita alla tecnica della rotazione triennale delle colture, fu uno degli elementi chiave per la sopravvivenza e la rinascita economica dopo una crisi. Sono nozioni che si imparano alle scuole medie, che si conoscono da migliaia di anni, eppure il problema del consumo del suolo è oggi più che mai presente e pressante: secondo la FAO un terzo di quello del mondo è oggi degradato e colpito da processi di salinizzazione, compattazione, acidificazione e deperimento dei nutrienti.

SOS: salviamo la terra, letteralmente
Il suolo è una risorsa non rinnovabile: per formarne uno strato di soli 10 centimetri ci vogliono duemila anni. Ecco perché è importante preservarlo dal depauperamento e dalla degradazione causati da vari fattori: il cambiamento climatico, l'inquinamento, le piogge acide, la deforestazione, le colture intensive e la cementificazione. Solo quest'ultimo elemento, per esempio, è responsabile della perdita in Europa di mille chilometri quadrati di terreni produttivi ogni anno (un'area grande quanto Roma). E in Italia più del 4% del territorio è sterile e oltre il 21% è considerato a rischio desertificazione. Eppure il suolo sano e fertile è vita e non solo perché elemento imprescindibile per il settore agricolo e di prevenzione da frane, allagamenti e desertificazione, ma anche perché tutti i terreni fertili del pianeta potrebbero assorbire ogni anno 0,7 miliardi di tonnellate di carbonio (dati Re Soil Foundation), l’equivalente di tutte le emissioni prodotte dall'utilizzo dei combustibili fossili nell’intera Unione Europea.

Un aiuto che viene dall'umido
Ma allora cosa è possibile fare per ridare 'vita' al suolo? Sono tanti gli interventi che dovrebbero essere messi in atto, ma uno fra questi è alla portata di ciascuno: fare correttamente la raccolta dell'umido. L'utilizzo del compost di qualità, ottenuto dal corretto compostaggio dei rifiuti organici, è fondamentale per preservare la sostanza organica del suolo. Ma a fronte di questa opportunità, due terzi dei rifiuti organici urbani nell’Unione europea (pari a 96 milioni di tonnellate) vengono ancora inviati in discarica, come gran parte dei fanghi di depurazione provenienti dal trattamento delle acque reflue urbane, che spesso sono anche inceneriti. L'Italia sta un po' meglio, con un riciclo intorno al 50%: ma è chiaro che i margini di miglioramento sono ancora ampi.

Dove lo butto?
In casa possiamo quindi già compiere dei gesti semplici per porre un freno al depauperamento del suolo e contribuire alla sua rigenerazione. Alcuni accorgimenti possono tornare utili: i tovaglioli di carta puliti possono essere messi nel contenitore della carta, ma se sono sporchi vanno messi nell'umido; nell'umido vanno gettati anche i capelli o i peli degli animali domestici così come i fiori appassiti e i prodotti in sughero e naturalmente gli scarti alimentari. C'è un altro materiale però che deve essere differenziato nell'umido: la bioplastica.

Come si smaltisce la bioplastica?
Le materie prime degli imballaggi in bioplastica derivano infatti da materiali compostabili quali cellulosa e mais. Un errore quindi gettarli nella plastica o peggio direttamente nell'ambiente. Un imballaggio in bioplastica ci impiega in media 80 giorni a degradarsi nell'ambiente a fronte di 500 anni per un film plastico convenzionale, ma è importante smaltirlo correttamente. Questo significa che, una volta gettati nell'umido, gli imballi vengono avviati negli impianti di compostaggio dove saranno opportunamente trattati per trasformarsi in compost, il fertilizzante naturale che può restituire sostanza organica al suolo.

Imballaggi in bioplastica: si può fare!
La bioplastica è una rivoluzione per il settore dei rifiuti perché è in grado di dare vita a una bioeconomia circolare (dalla terra alla terra) in grado di rigenerare risorse anziché distruggerle, con ricadute positive sull'ambiente. Finora però sono stati usati imballaggi compostabili (al posto della tradizionale plastica) solo per pochi alimenti da conservare in frigo. Per la pasta, gli snack e comunque per tutti i prodotti che devono ‘vivere’ sugli scaffali anche per alcuni mesi in perfetto stato di conservazione, l’incarto di origine naturale è una novità assoluta. La difficoltà in questo caso è mantenere la confezione integra e preservare il prodotto. A cimentarsi per prima con questa sfida è stata Misura che ha convertito il packaging di sette delle sue linee di prodotto in confezioni composte al 100% da materiali compostabili fra i quali il Mater-bi (sviluppato da Novamont), in cui le materie prime rinnovabili derivano dal mais e la cellulosa. Il risultato? Entro il 2020 due milioni e mezzo di confezioni di plastica tradizionale, una superficie più grande di 22 Piazze Duomo di Milano, verranno eliminate e sostituite con confezioni che – raccolte e trattate – diventano compost, quindi suolo fertile.
Ma oltre a questa scelta Misura elimina la plastica in altre linee di produzione in favore di packaging in carta certificata FSC, derivante da coltivazioni forestali sostenibili e controllate. Così, l’azienda italiana taglierà in un solo colpo della metà (il 52%), la plastica utilizzata per tutto il suo packaging, con l'obbiettivo di raggiungere tra il 2022 e il 2023 una riduzione del 79% della plastica utilizzata fino al 2019 per gli imballaggi.

Il grido d'aiuto del suolo: i numeri di Re Soil Foundation e FAO

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