13 luglio 2010

VIAGGIO ALL’INFERNO: ANDATA E RITORNO

“Ciao, come stai, tutto bene?”: francamente, penso che pormi una domanda siffatta sia quantomeno irrispettoso della mia vicenda personale e di quanto la vita mi abbia riservato. Soprattutto questo, quando a chiederlo sono persone che non sono mai entrate nella mia vita, né mai avranno intenzione di farlo forse perché mi reputano solo uno “sfigato in carrozzina”, uno dei tanti scomodi in questa società di vincenti. O forse ancora, perché in modo molto presuntuoso pensano sempre di stare meglio di me, magari nel loro triste ed incolore: ”Tiro avanti”.
Se non amate i gusti forti della vita, beh, allora il consiglio è di chiudere il giornale ed interrompere subito la lettura di questo articolo.
A raccontarla tutta sinceramente, sono stati quasi due anni di m. . . ., da quando, nell’agosto 2008, mi si aprì una piaga a livello ischiatico (sotto la natica destra- N.d.R.), conseguenza del mio procedere forzatamente su una sedia a rotelle. In questo periodo, ho visto la faccia speculativa della ns. Sanità, quella che vive di medicazioni inconcludenti e senza finalità, solo per gonfiare il bilancio di una clinica privata. Clinica ovviamente convenzionata secondo il regime imperante nella nostra Regione. Con una “pietas umana” rivestita solo di bassi interessi economico-politici, sono stato per circa un anno e mezzo nel girone dantesco dei “senza speranza”, di quelli, giovani e non, che passano il loro tempo in lunghe e vuote attese presso ambulatori medici. Dove, nella coda interminabile di pazienti, io ero solo uno dei tanti sfortunati, neanche degni di “disturbare” la fitta agenda d’impegni del sommo ed illustre primario. Beninteso, non sto denigrando tale medico, sicuramente meritevole dal punto di vista professionale di aver inventato ed allestito un servizio di vulnologia in questa clinica di Monza: sicuramente più di qualcuno è stato salvato da questa scontrosa figura medica. Dire però, come la mia infermiera del servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) che quella clinica sia il posto migliore dove curarsi le piaghe, insieme ad un’altra clinica privata convenzionata della Lombardia, penso sia francamente troppo. A Monza, per fortuna, ci sono anche ospedali pubblici, dove le persone lavorano più in silenzio e nell’ombra, senza esporre nessun cartello altisonante. La qualità della cura mal si concilia con la quantità: gli angeli poi, ti aiutano proprio così, nel silenzio e mettendosi poi nascosti sulla nostra spalla.
Ora, dopo il ricovero di 23 giorni, una lunga e paziente degenza, torno alla vita, sempre più convinto che il mio compito in questo mondo sia di essere felice speranza, per me e per tutti quelli che stanno intorno a me, per quelli che mi vogliono bene ed anche per quelli che me ne vogliono un po’ di meno. Voglio vivere il resto dei miei giorni, cercando sempre di cogliere il mezzo bicchiere pieno della vita, fino a che anche una sola goccia di lacrime lo riempirà. Ed ora fatemi chiudere con questa battuta: “La vita è anche una questione di sedere, si sa, ma vivere col sedere chiuso è un gran bel vivere”.

“Felice Speranza”

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