21 giugno 2011

Nota del mattino del 21 giugno 2011.


1. MENTRE LA BORSA VA GIU’ E MOODY’S ACCENDE UN FARO ANCHE SU AZIENDE E REGIONI ITALIANE IL GOVERNO PASSA IL TEMPO A DECIDERE SULLE SEDI DI RAPPRESENTANZA DEI MINISTERI AL NORD.
Cade la Borsa. L’Agenzia di Rating Moody’s mette sotto osservazione le grandi aziende pubbliche (Poste, Eni, Enel, Terna) e il debito delle regioni e dei principali comuni. L’Italia insomma sta affrontando un tornante difficile proprio alla vigilia delle decisioni che Tremonti deve annunciare sulla riduzione del deficit (l’ormai nota manovra da almeno 40 miliardi di euro da realizzare per il 2013-2014).
Di fronte a questo scenario il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il leader della Lega Nord Umberto Bossi hanno passato la notte a fare un accordo per stabilire che alcuni ministeri avranno una sede di rappresentanza al Nord, cosa che peraltro già c’è: da anni il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha un attrezzatissimo ufficio a Milano. E non solo: Berlusconi e Bossi hanno trascorso la notte a discutere anche di quando e come sganciarsi dall’intervento Nato in Libia, ben sapendo che: a) come ha segnalato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’Italia ha già preso un impegno votato dal Parlamento; b) c’è già una scadenza minima, fissata a settembre.
Gli italiani rischiano di pagare cara questa inadeguatezza.
Da La Stampa. Marcello Sorgi. “Cos`è, cos`è diventato nell`Italia del 2011 un accordo di governo che prevede impegni e scadenze stringenti e un programma concordato da rispettare? Se Berlusconi si fosse posto subito, domenica, questa domanda, invece di tirare platealmente un sospiro di sollievo perché Bossi aveva scelto di nuovo la strada del «penultimatum», non si sarebbe trovato ieri a fare i conti con un alleato impossibile da accontentare e con il Capo dello Stato che richiama il governo alle proprie responsabilità.
Bastava semplicemente guardare con attenzione ciò che è successo sul pratone di Pontida e che molte tv, non la Rai, hanno trasmesso in tutte le salse. Un leader malandato, esausto, quasi privo di forze e del tutto a corto di argomenti, che appoggiandosi a malapena sugli altri oratori chiamati sul palco snocciola una serie di proposte alla rinfusa, roba trita e ritrita a cui lui stesso non sembra più credere. Ma davvero Bossi ritiene ancora, dopo venti e più anni in Parlamento, che la gente del Nord beva la storiella del taglio dei parlamentari e dei loro stipendi? O che il problema delle auto blu si risolva consigliando ai ministri di comprarsi una macchina? Che Tremonti taglierà le tasse solo perché lui lo chiede e l`altro non può dirgli di no? E tralasciamo, per carità di patria, il computo delle mucche morte su cui l`Europa, secondo Calderoli, vorrebbe far pagare le multe e la Lega promette che non ci riuscirà. Ma la cosa più grave è stato l`intervento di Maroni, fino a qualche tempo fa considerato il più istituzionale del gruppo dirigente della Lega, e ieri, e non solo ieri purtroppo, in tutt`altra veste. Può il ministro dell`Interno di un Paese che sta celebrando i 150 anni della sua storia unitaria inneggiare alla «Padania libera»? Può tacere davanti ai militanti-che gridano «secessione»? Può dire che l`unico modo di fermare l`onda degli immigrati è por fine`alla guerra con la Libia, il che equivale ad affermare che è meglio far soccombere i profughi alla più sanguinosa delle repressioni? E può ignorare che Berlusconi non ha il potere di fermare, e neppure di
imporre un termine, all`intervento della Nato a Tripoli? Invece di spiegare ai leghisti le difficoltà in cui si trova la Lega al governo, come avrebbe fatto un leader politico che, almeno nelle aspirazioni del suo partito, potrebbe in futuro ricoprire l`incarico di presidente del Consiglio, Maroni sorprendentemente s`è distaccato dal suo ruolo di ministro e s`è rimesso la camicia verde. Se da presidente del Consiglio qual è si fosse posto queste domande - o anche una sola: la Lega è tuttora un partito di governo? - Berlusconi non avrebbe passato ieri l`ennesima nottata a cercare di rammendare la sua tela ormai troppo piena di buchi. Se ci avesse riflettuto su, avrebbe subito realizzato che il primo a essere stato danneggiato dalla mediocre messa in scena leghista è proprio lui, il premier che tiene così tanto alla sua immagine internazionale, che soffre più di tutto l`approssimazione, i rinvii, le brutte figure. L`«uomo del fare» alle prese con le mucche morte! Possibile? Possibile: e la cosa peggiore è che a Berlusconi è toccato pure far finta di niente per timore di appesantire il clima già incerto in cui si apre oggi la verifica in Parlamento. E` toccato così nuovamente al presidente Napolitano intervenire. La durezza dei suoi toni, la severità dei contenuti e l`urgenza con cui ha deciso di prendere la parola fanno intuire che le conseguenze della sceneggiata di Pontida sul piano internazionale stavano già propagandosi, e si era resa indispensabile una messa a punto degli impegni nei confronti degli alleati con cui l`Italia collabora nelle missioni di pace. Un`ennesima toppa, che terrà quanto potrà, visto che ormai il guaio è fatto. E che potrebbe essere smentita oggi stesso, se la Lega sulla Libia insisterà, come sembra, per mettere Berlusconi con le spalle al muro”.

2. UNA FIDUCIA DIETRO L’ALTRA. DA OGGI VOTAZIONE CONTINUA. IL GOVERNO POTRA’ AVERE I VOTI, MA E’ ALLA FRUTTA.
Tra oggi e domani, al Senato e alla Camera, il governo dovrà superare il voto di fiducia prima sul decreto sviluppo e poi sul cambiamento della maggioranza. E’ assai probabile che riesca ad ottenere i voti necessari, salvo incidenti di percorso sugli ordini del giorno. Ma questo non cambia nulla. Ormai non c’è bisogno di argute analisi politiche per vedere che questa maggioranza e questo governo rischiano di portare l’Italia a sbattere.

3. CRICCHE, SERVIZI, P2, ARRESTI, AFFARI, IMPOSIZIONI. ALL’OMBRA DI QUESTA DESTRA L’ITALIA PEGGIORE HA PRESO IL SOPRAVVENTO.
Gli appalti del G8, la cricca, i regali di Anemone, dalle case al Colosseo fino ai frullatori. Le indagini su Verdini e la P3. Ora lo scandalo della cosiddetta P4. Il tutto condito con il riaffiorare in primo piano gli iscritti alla vecchia P2, i loro collegamenti con i servizi, l’attività di dossier aggio per colpire i nemici politici, i collegamenti per fare affari, imporre le persone e le carriere. L’arresto di Lele Mora, compagno di bagordi notturni e accusato di aver procurato giovani disponibili a Berlusconi.
Tutto questo verminaio rappresenta anche plasticamente l’Italia peggiore che ha preso il sopravvento sotto l’ala protettrice del governo, del Pdl e della Lega.

4. L’EUROPA DELLE DESTRE INCAPACE DI DECIDERE SULLA GRECIA. LA GRAN BRETAGNA SI ISOLA. GLI USA PENSANO SOLO A CASA PROPRIA. IL MONDO CADE NELLA TRAPPOLA DELL’ISOLAZIONISMO.
Stasera il Parlamento ateniese vota la fiducia al nuovo governo Papandreou, un passaggio fondamentale perché la Grecia possa far proseguire il piano di salvataggio. L`Ue ha rinviato al 3luglio la decisione perché prima vuol vedere i passi concreti di Atene a cominciare dal piano di risparmi e privatizzazioni che sarà all`esame del Parlamento il 28, sempre che il governo oggi ottenga la fiducia Senza i 12 miliardi che l`Unione europea dovrebbe stanziare tra due settimane il eroe sarà inevitabile.
Mentre l’Europa si dibatte senza prendere decisioni se non quella di costringere Atene a bere l’amara medicina di una manovra recessiva e punitiva, la Gran Bretagna e gli Usa sono tentati dall’isolazionismo.
Da La Stampa. Richard Newbury. “All`estero è terribile. Lo so. Ci sono stato», diceva il re imperatore Giorgio V, l`adorato Nonno Inghilterra di Elisabetta II. Non aveva una sola goccia di sangue inglese nelle sue vene e come cugini primi annoverava il kaiser Guglielmo e lo zar Nicola, ma in questo tagliente giudizio reale rifletteva una convinzione profonda dei suoi sudditi. L`«estero» era «il Continente». Come recitava il titolo di un giornale: «Nebbia sul Canale, il Continente isolato». Suo figlio Giorgio VI ha espressoquesto umore nel giugno 1940, dichiarando: «Finalmente soli. Non siamo più costretti a essere gentili con nessun maledetto straniero». Come diceva il portiere al club Whites di St. James: «Bene, siamo in finale, e giochiamo in casa». Ma più recentemente la vignetta di un giornale recitava: «Finalmente soli. Tutti noi, 500 milioni». L`Impero e il Commonwealth che comprendevano un quarto del territorio e della popolazione del globo erano i benedetti territori d`Oltremare. Quando recentemente i miei tre figli e i loro amici inglesi, tutti ragazzi, andarono in campi di lavoro in Zimbabwe, Kenya e Singapore, nessun genitore ne fu preoccupato, perché i loro bambini restavano a casa. Ma quando il gruppo si spostò «all`estero», in Francia e in Italia, le famiglie si preoccuparono perla loro incolumità.
La perdita di Calais, ultima proprietà continentale inglese nel 1558, come risultato del matrimonio di Maria I la Sanguinaria con Filippo II di Spagna, aveva chiuso un`epoca, mentre di lì a poco la circumnavigazione di Francis Drake del 1577-80 ne avrebbe aperta un`altra. Il profitto del 4700% ricavato dalla Regina e dalla Corte venne considerato da John Maynard Keynes il capitale di avviamento dell`Impero Britannico, usato per le navi che sconfissero l`Armada spagnola e poi per fondare la Compagnia delle Indie Orientali. L`Inghilterra volse le spalle al Continente e pagò Federico il Grande per tenere occupata la Francia mentre al culmine della guerra dei Cento Anni (1690-1815) con Parigi si prendeva l`India, il Canada e salvava le 13 colonie inglesi in perdita. L`identità prima inglese e poi anglo-scozzese, o britannica, venne forgiata nell`opposizione alla Spagna e alla Francia, la cui ideologia veniva percepita e temuta come l`assolutismo cattolico. I confini - ancora abbastanza attuali - vennero tracciati in economia tra Colbert e Adam Smith, e tra la rivoluzione industriale e quella francese. L`idea commerciale che nessuna potenza doveva dominare l`accesso ai porti continentali portò l`Inghilterra a farsi coinvolgere, a costi disastrosi in termini di sangue e denaro, nelle avventure imperiali della Germania, militarmente riuscite e politicamente inette. L`incidente non fece che confermare l`allergia britannica verso l`Europa e convinse gli inglesi nel 1941 a rendere l`Impero e la City a Washington e a NewYork, piuttosto che a Berlino. L`élite politica degli Anni 70 riteneva
invece che la Germania avesse in fondo vinto la guerra e perciò scelse di aderire -nonostante un dissenso che riguardò tutti i partiti - al Mercato comune europeo. Fu la svolta storica più importante della politica estera inglese dal 1558. Venne spacciata per adesione a un libero mercato e non come «un`unione ancora più stretta», e l`opinione pubblica britannica di tutti gli schieramenti politici se ne risente ancora. Ogni decisione di Bruxelles (ormai un insulto nell`inglese contemporaneo) o di Strasburgo non fa che confermare, agli occhi dei britannici, che qualunque «unione più stretta» non può che venire praticata alle spese della «Common law», della sovranità parlamentare e dell`economia di libero mercato.
Dal sondaggi appare che per i giovani la «Fortezza Europa» appare troppo provinciale per un`economia globale. Gli inglesi possono comprarsi case nel Continente per farci le vacanze, ma si sentono a casa in Australia o negli Usa, e infatti spesso emigrano in questi Paesi con i quali condividono il sistema giuridico, politico ed economico. Il referendum sull`Ue promesso da Cameron oggi non è praticabile in quanto l`unico partito pro Europa, i LibDem, è anche partner della coalizione di governo. E la crisi europea? L`unica cosa per la quale viene oggi ringraziato Gordon Brown è l`aver bloccato l`ambizione politica di Blair di entrare nell`euro. Nel 2002 un rapporto della Banca d`Inghilterra sconsigliò l`adesione alla moneta unica se non accompagnata da un`unione fiscale o politica. E prevedeva per la fine del ciclo economico nel 2010 due varianti, la G o la I. La G come Germania prevedeva che Berlino avrebbe sfondato il tetto del sistema euro, la I voleva che l`Italia o un altro dei Paesi dei PIIGS ne sarebbe stato catapultato fuori attraverso un buco nel pavimento. A dirlo è stata Londra, capitale finanziaria del mondo per 300 anni, con tutta l`ambiguità che questa reputazione comporta. Se il Regno Unito avesse aderito all`euro oggi sarebbe in bancarotta e probabilmente il crac delle sue banche avrebbe provocato una depressione globale. Invece ha fatto quello che ora dovrebbe venire permesso di fare alla Grecia, al Portogallo e all`Irlanda. Abbiamo svalutato la nostra moneta del 20%. Sovvenzionare banche - o Stati - in bancarotta significa mettere tutti a rischio di un «azzardo morale». Il capitalismo mette a rischio i vostri soldi per guadagnare (o perdere). La mobilità sociale di individui e nazioni è il risultato del principio «il denaro si separa presto dagli imbecilli». «Non puoi imbrigliare il mercato»: è una convinzione profonda molto anglosassone, che il Continente non condivide fino in fondo”.
Da La Stampa. Marta Dassù. “Il nostro Paese, per ragioni di bilancio, non può permettersi la missione in Libia. Sembra una dichiarazione di Umberto Bossi, che ha chiesto di nuovo, da Pontida, di ridurre i costi delle missioni internazionali. Ma non è una dichiarazione della Lega. E` l`affermazione con cui Jon Huntsman - ex ambasciatore a Pechino e uno dei candidati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti ha presentato la sua piattaforma di politica estera in n cui rientra, insieme alla fine del mezzo impegno americano in Libia, il ritiro rapido dall`Afghanistan. In America, l`inizio della campagna elettorale per il 2012 coincide con un impulso quasi isolazionista. Sono sprezzantemente ripiegati sulle priorità domestiche i candidati dei «tea parties». Lunedì scorso, a un dibattito presidenziale nel New Hampshire, Rand Paul ha dichiarato che l`America risparmierebbe centinaia di milioni di dollari se riducesse drasticamente i suoi impegni internazionali; da parte sua, la stella in ascesa fra i repubblicani, Michele Bachmann, ha detto che Obama ha compiuto un errore gravissimo appoggiando la Francia in Libia. Perché lì, ha precisato, non sono in gioco interessi nazionali vitali degli Stati Uniti. Per la prima volta da anni, il centro di gravità delle posizioni repubblicane si allontana dal neo-conservatorismo alla Bush
junior ma anche dal realismo pragmatico. E torna verso una piattaforma nazionalista. Per lo storico Walter Russell Mead, l`istinto della destra populista americana combina una convinzione fideistica nella superiorità degli Stati Uniti, quale nazione «eletta», a uno scetticismo di fondo sulla possibilità di creare un ordine internazionale di tipo liberale. L`interventismo democratico non fa parte di una visione del genere. Barack Obama dovrà tenerne conto. Anzi, ne tiene già conto: l`effetto incrociato del problema del debito e dell`uccisione di Bin Laden è di spingere la Casa Bianca verso un ritiro più veloce dall`Afghanistan. La trattativa in corso fra Washington, il governo Karzai e una parte dei taleban ne è la premessa. Dal punto di vista di un Presidente di fatto già in campagna elettorale, diventa essenziale cominciare a «estrarre» l`America dalle guerre degli ultimi dieci anni, per dedicarsi alle priorità dell`economia e alla sfida geopolitica del secolo, la competizione a distanza con la Cina. E` importante capire questa traiettoria degli Stati Uniti quando si riflette sulle missioni internazionali a cui partecipa l`Italia. Per inciso, non credo che discutere di missioni internazionali, e dei loro costi, debba essere un tabù: è giusto che un Paese, specie un Paese che ha forti vincoli di bilancio, si ponga interrogativi del genere. Ma la discussione deve essere seria: perché sono seri e coraggiosi i giovani soldati italiani impegnati da anni sul campo; e perché, attraverso le missioni internazionali, l`Italia ha difeso anche la sua credibilità nelle alleanze occidentali. Valore - la credibilità - che potrà interessare poco a chi non crede nello Stato nazionale; ma che resta una leva essenziale per difendere gli interessi dei cittadini italiani, come confermano le vicende economiche. Il nuovo clima che si respira in America contiene, per chi condivide le posizioni alla Bossi, una buona notizia e una cattiva notizia. La buona notizia è che il ritiro dall`Afghanistan andrà più in fretta del previsto, dal luglio prossimo e nei due anni successivi. Quando la Lega chiede di ridurre i costi delle missioni, potrà contare su questa evoluzione. Sarebbe un errore fatale, tuttavia, se l`Italia prendesse decisioni unilaterali: ciò, infatti, vanificherebbe i costi e i rischi – inclusa la perdita di vite umane - che il nostro Paese ha già affrontato e pagato negli ultimi dieci anni. Come nel caso del Kosovo, altra missione che sta finalmente per concludersi, «uscire insieme» è la scelta più razionale: proprio per non sprecare anni di impegni. La cattiva notizia è che l`America non sembra più disposta a reggere da sola gran parte degli oneri della Nato. L`operazione in Libia ha messo a nudo tutte le lacune delle capacità di difesa europea. Washington ha reagito con insofferenza: si è sentita trascinata in un conflitto da alleati europei che non sono poi in grado di combattere. A chi voglia capire l`aria che tira conviene leggere il discorso che Robert Gates, segretario alla Difesa in uscita, ha fatto a Bruxelles il 10 giugno scorso. Il messaggio, fin troppo brutale, è che i problemi fiscali valgono per tutti, anche per Washington; e che l`Europa, se vorrà salvare qualcosa dell`alleanza con gli Stati Uniti, dovrà mettere insieme le risorse nazionali e avere le capacità per cavarsela almeno nel proprio cortile di casa. Perché è una cattiva notizia, per una linea alla Bossi? Perché sfilarsi dalla Libia oggi, dopo esservi entrati, giusto o sbagliato che fosse, va in senso esattamente contrario; ed equivale nei fatti a lasciarsi alle spalle la Nato. Le alternative vagheggiate dalla Lega una specie di semi-neutralismo - non sono credibili: l`Italia ha una collocazione geopolitica molto più esposta e molto più delicata di quella della Svizzera. La realtà è che una Nato più europea servirebbe agli europei stessi: che devono spendere meglio e spendere insieme se non possono spendere di più. Una discussione seria sulle missioni internazionali dell`Italia dovrebbe partire di qui, se vorrà riguardare il futuro e non il passato. La strana guerra di Libia rischia di diventare
il confine simbolico fra la vecchia sicurezza occidentale, garantita e anche pagata quasi interamente dagli Stati Uniti, e il nuovo vuoto di potere alle nostre frontiere meridionali: un vuoto rispetto a cui l`Europa che abbiamo non basta e l`America che avevamo non c`è più. Quando un candidato repubblicano sembra parlare come la Lega, c`è soltanto da preoccuparsi: con un`America percorsa da tentazioni isolazioniste, gli spazi per un isolazionismo all`italiana non aumentano di certo. Si riducono”.

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