7 luglio 2011

Nota del mattino del 07/07/2011. Ufficio Nazionale Circoli PD.


1. IL BALLETTO DEI NUMERI. ADESSO TREMONTI CI DICE CHE, DOPO CONDONI E PATRIMONIALI, DEVE FARE ALTRI 15 MILIARDI DI TAGLI ALL’ASSISTENZA.
Finalmente ci sono numeri e misure, nero su bianco. Sulle cifre della manovra c’è molta confusione e molti numeri in libertà. Forse è bene fare un po’ di chiarezza.
Primo punto: il decreto legge del governo porta a un taglio drammatico di spese e servizi e ad un aumento di tasse per un importo che, a regime, ammonterà a 25 miliardi di euro.
Dato che questa cifra non basta a raggiungere il pareggio di bilancio promesso das Tremonti e da Berlusconi all’Europa, il ministro dell’Economia ha presentato un disegno di legge delega (cioè chiede una delega per fare alcune cose) formalmente per fare la riforma del fisco, ma nella sostanza, come ha spiegato ieri lo stesso Tremonti, questo provvedimento servirà a tagliare 15 miliardi di euro a regime di assistenza. Tremonti è stato chiaro: o si trova l’accordo sui provvedimenti da prendere, oppure scatterà una taglio con un taglio secco, lineare come dicono i tecnici, su tutte le agevolazioni fiscali.
Conclusione: una manovra inadeguata a raggiungere l’obiettivo. Una manovra che rinvia alla cieca alla legislatura futura un’operazione di macelleria sociale. E per di più una manovra oggi profondamente iniqua sul piano sociale. Qualche esempio può bastare: nella manovra c’è un condono fiscale (si chiama composizione delle liti) per i contribuenti che, colti dal fisco, hanno fatto ricorso. Nella manovra c’è una patrimoniale sui risparmi degli italiani che, essendo in cifra fissa, pesa percentualmente di più sui piccoli risparmi che sui grandi patrimoni. Nella manovra ci sono i ticket sanitari. C’è un ulteriore taglio alle finanze di comuni e regioni, cioè ai servizi alle famiglie, agli asili nido, alle mense, ai trasporti locali. Senza parlare delle pensioni. Ora il governo dice che si può alleggerire il taglio. E presenta come una conquista il fatto che il congelamento dell’aggancio al costo della vita funzionerà solo per le pe4nsioni da 2.300 euro in su. Anche i quotidiani dimenticano di ricordare che si tratta di 2.300 euro al lordo delle tasse. Al netto è tutt’altra cifra.

2. I MERCATI INTERNAZIONALI INCHIONANO L’EUROPA. DEBITO E DEFICIT FANNO SCATTARE LA SPECULAZIONE.
Il balletto delle cifre e l’incapacità del governo di presentare proposte credibili si scontrano in questo momento con l’attacco diretto dei mercati. Le agenzie di rating tengono l’Europa sotto tiro. I grandi operatori Usa sono preoccupati per il collocamento dei titoli di Stato Usa e temono la concorrenza dei titoli di Stato europei. E l’Italia è uno dei paesi con il maggior debito pubblico (Prodi lo lasciò al 104 per cento del Pil nel 2008, oggi siamo al 120 per cento del Pil). Questa mattina, all’apertura dei mercati, la differenza tra i rendimenti attesi dei nostri Btp e quelli riferiti ai Bund tedeschi ha toccato un nuovo record.

3. LEGGE ELETTORALE. LA DIREZIONE DI LUGLIO FISSERA’ LA PROPOSTA DEL PD.
In queste settimane si parla molto di referendum sulla legge elettorale. Il Pd in realtà ha una propria proposta di riforma, che si rifà alle indicazioni fissate dall’assemblea nazionale. La direzione nazionale del partito che verrà convocata tra una decina di giorni, al ritorno del segretario Pier Luigi Bersani da un viaggio in Nord Africa e Medio Oriente, ne discuterà e ne fisserà i dettagli.

4. PROVINCE. LA POSIZIONE DEL PD.
Da L’Unità. Articolo di Davide Zoggia, responsabile enti locali della segreteria nazionale del Pd. “Non è cancellando una parola che si risolve il problema del costo della politica. Non lo si fa con le scorciatoie facili e furbe a cui in queste ore, da tante parti politiche, si vuole fare ricorso. Aboliamo le province, certamente, frase ad effetto ma che non porta da nessuna parte
se non si indica un percorso preciso su come superare l’attuale assetto. Il massimalismo
verbale o nella sua variante contemporanea il riformismo pret a porter, si alimenta con simili
forme di pressapochismo ad uso mediatico. Abbiamo un esempio eclatante sotto gli occhi: il
federalismo, nelle sue declinazioni municipale e fiscale. Poteva essere una riforma
straordinaria per efficacia ed efficienza. Quello voluto dal centrodestra è invece un
guazzabuglio indigeribile che provoca danni e nessun beneficio, prodotto di un insieme di
interventi disorganici che, per tale motivo ,anziché armonizzarsi in una coerente
ristrutturazione dell’impianto istituzionale, producono continui cortocircuiti. E’ evidente che le
province vadano riviste nel numero, nelle funzioni, nei compiti e quindi nei costi. E’
indispensabile: il paese è cambiato ma soprattutto il mondo è cambiato. Ma proprio per
questo motivo tale riordino non può avvenire indipendentemente da una nuova e più snella
visione dello stato, per fornire così servizi efficienti e non duplicazioni burocratiche. Non è
sufficiente quindi dire che si aboliscono le province, lo si deve fare ma in modo da avere
benefici e non danni. Esiste una proposta del Pd per quanto riguarda il riordino complessivo
del sistema delle autonomie locali e delle regioni. In questa si colloca anche quella specifica
relativa alle province. Una proposta che non entra in conflitto con l’art. 133 della Costituzione
offrendo la possibilità di sviluppare un intervento coerente. Già con la riforma del titolo V il
centrosinistra aveva cercato di ammodernare le istituzioni del paese, ma il percorso era stato
bloccato dal centrodestra. Ora si presenta nuovamente l’occasione a patto di seguire un
riassetto complessivo ed efficiente. E’ chiaro che nell’ottica di un sistema realmente federale è
necessario giungere al superamento del bicameralismo perfetto con unica camera e
l’istituzione di un senato federale con una diminuzione del numero dei parlamentari. Ciò
significa quindi rivedere compiti e funzioni dei vari enti. Inoltre è chiaro che la revisione del
ruolo e la diminuzione delle province deve andare di pari passo con l’istituzione delle città
metropolitane. Sarebbe interessante sapere dalle varie tricoteuses che, in queste ore,
chiedono a voce alta il taglio delle province se hanno minimamente idea di quali siano le
competenze oggi dei soggetti che vogliono sopprimere. Hanno idea a chi andrebbero trasferite
le competenze, anche in relazione alla dimensione dei comuni e all’impossibilità delle regioni
di svolgere ulteriori compiti a fronte della legislazione vigente? E’ facile demagogia tracciare un
segno sulla parola province, sarebbe una operazione identica a quella fatta da Berlusconi con
le grandi opere, con i famosi cartelloni pieni di segni che, da inchiostro, non si sono mai
trasformati in infrastrutture. L’effetto Berlusconi continua ad affascinare tanti politici, visto
che è molto facile strizzare l’occhio a misure populiste, un po’ più difficile metterne in campo
di coerenti. La nostra proposta è concreta e riorganizza il settore con veri tagli e grandi
possibilità di risparmio, essa è già depositata in parlamento ed è visibile sul nostro sito
internet (all’indirizzo http://beta.partitodemocratico.it/leggeprovince ). Se si vuole fare sul
serio bisogna dire a chi, una volta abolite, vanno le funzioni delle province, almeno quelle
essenziali e come verrà dislocato il personale che oggi vi lavora. Altrimenti, parlare di costi
della politica solo per le province diventa un modo per eludere il problema, per non
affrontarlo mai sul serio. E i tempi di questa nostra riforma saranno brevissimi. Il paese va
riformato e riavvicinato alle esigenze dei cittadini e in questo ci stiamo impegnando. Non vi è
alcun intento dilatorio, noi non vogliamo far cadere la questione tanto che rilanciamo, fin da
ora, la nostra proposta”.

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