11 ottobre 2011
La nota del mattino del 11 ottobre 2011.
1. L’ITALIA CRITICA L’ASSE FRANCO TEDESCO. IN ALTRI PERIODI E’ STATA IN PRIMA FILA NEL TESSERE LA TELA EUROPEA. MA ADESSO E’ IL PAESE MARGINALE DI SILVIO BERLUSCONI.
Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha criticato ieri l’asse franco-tedesco nelle decisioni sull’euro e sull’Europa. In teoria ha ragione, tanto che il vertice tra i 27 paesi europei è slittato dopo l’incontro Merkel-Sarkozy. Decisioni del genere vanno prese con il concorso di tutti i paesi dell’Unione. Ma con un presidente del Consiglio come Silvio Berlusconi (che tra l’altro si rese disponibile insieme alla Polonia a impedire su suggerimento del presidente Bush un maggior coordinamento europeo) l’Italia è diventata marginale e poco credibile.
Da La Stampa. Intervista con Romano Prodi. “Romano Prodi scandisce i giudizi con la nettezza di chi è informato direttamente e da fonti privilegiate sui grandi fatti del mondo. Il consolato franco-tedesco in Europa: «Un disastro, perché spinge alla diffidenza gli altri paesi e umilia gli organismi comunitari». Il rinvio del vertice europeo? «Può essere un bene, perché meglio rinviare di una settimana e preparare un accordo forte piuttosto che partorire il solito vertice deludente». Il senso della partita che si sta giocando: «Dopo anni gli Stati Uniti, da qualche giorno hanno capito che se crolla l`euro, è un disastro per tutti». Chiamato in tutto il mondo per tenere conferenze e lezioni - ieri era Barcellona - commentatore della tv cinese, un insegnamento negli Stati Uniti, un incarico Onu, l`ex presidente della Commissione europea Romano Prodi si tiene aggiornato, anche se aspetta con un pizzico di curiosità il suo ritorno sulla tv nazionale, fissato per questa sera su «la 7»: «Sono passati 20 anni dalle lezioni di economia sulla Rai, ma sembra passato un secolo, oggi non sopportano più gli interventi lunghi. Vedremo come andrà, giudicheranno i telespettatori...». Il rinvio di una settimana dei vertice le pare un fatto fisiologico o nasconde una crisi decisionale che rischia di diventare patologica? «Il rinvio mi rende speranzoso...». Speranzoso? «Bisogna chiedersi: come mai questi vertici hanno sempre deluso? Si alimentavano grandi speranze, ma poi se ne usciva puntualmente con un nulla di fatto, con un accordo "rimediato", per dare qualcosa in pasto alla stampa. Quasi sempre decisioni minori, ritardate e insufficienti. Io spero che stavolta il rinvio sia il sintomo di un metodo diverso e cioè che si stiano macinando decisioni importanti e si stia riflettendo sulle questioni tecniche, affinando soluzioni durature». Se ne deduce che sinora siamo ancora lontani... «Ho cercato di capire e mi pare che non ci siano ancora segnali chiari e forti sui principali contenuti». Detto in soldoni: quale è la partita storica che si sta giocando in queste settimane? «In soldoni? C`è voluto molto tempo per capirlo, ma finalmente ci sono arrivati tutti: la fine dell`euro sarebbe un disastro non solo per l`Europa ma anche per il mondo. L`euro è un pilastro dell`economia mondiale». Dietro il rinvio potrebbe esserci anche una ragione "globale": dopo i recentissimi appelli di Obama all`Europa, Merkel e Sarkozy immaginano di presentarsi al prossimo G20 con qualcosa di concreto in mano? «Proprio questo ho detto: attenzione che da qualche giorno c`è una grossa novità. La paura per il crollo dell`euro è condivisa anche fuori dal circuito europeo. In altre parole, gli americani non giocano più, come un tempo, all’"arrangiatevi"». L`America in campo per salvare l`euro? «E` probabile che lo stesso Obama abbia premuto su francesi e tedeschi perché si rendano conto cosa può prodursi con lo sfaldamento del sistema
monetario europeo. Ma questo interesse americano, lo ripeto, è un fatto veramente nuovo, mai accaduto prima. Le decisioni del vertice europeo che è stato rinviato non potranno non partire da questa novità e dovranno muoversi di conseguenza». Lei nei mesi scorsi ha criticato la Merkel: i tedeschi a che punto sono? «I tedeschi si stanno rendendo conto che l`euro li avvantaggia, però si sono spinti troppo avanti nella critica e nel seminare paura. E il loro rapporto con i francesi è sempre stato su questioni parziali, mai sul piano di un accordo generale e strategico. Ma ora tutti hanno capito che mandando a fondo la Grecia e l`euro, andiamo a fondo tutti». Il consolato Merkel-Sarkozy fa da locomotiva o è deleterio? «E` un disastro perché spinge alla diffidenza gli altri paesi europei e umilia gli altri organismi europei. Direi che questo direttorio rappresenta uno degli errori più gravi degli ultimi anni». Il rinvio di una settimana può aggravare la situazione della Grecia? «No, per le notizie che si hanno, direi proprio di no. Anzi, mi auguro che dando tranquillità ai mercati, si dia anche tempo alla Grecia di poter conseguire obiettivi realistici. La Grecia sta facendo sul serio ed esagerando si rischia di uccidere la sua economia». Nel rapporto col mondo finanziario perché sinora non si è mai chiuso un accordo forte? «Le ondate di sfiducia sono state determinate non tanto dalle nuove regole per le banche - da Basilea3 in poi - che di per sé erano anche giuste. Il problema è che quelle regole si sono rivelate staccate da un contesto politico di solidarietà, finendo per creare tensione nei mercati creditizi e facendo precipitare la disponibilità di credito. Mi auguro che il prossimo vertice serva a creare le condizioni perché ci si torni a prestare denaro l`uno con l`altro, normalizzando i rapporti tra Stati e tra banche».
2. I NOBEL DELL’ECONOMIA: GLI EUROBOND POTRANNO SALVARE L’EUROPA.
Da La Stampa. Intervista con i due nuovi premi nobel per l’economia, Christopher Sims e Thomas Sargent. “Europa unita non sopravvive se non crea un`autorità finanziaria comune, in grado di stabilire le politiche economiche e fiscali per l`intero continente, e soprattutto di emettere bond». Su questo punto parlano con una sola voce, Toni Sargent e Chris Sims, poche ore dopo l`annuncio che hanno vinto il Premio Nobel. E poi aggiungono: «Illusorio pensare che potete salvare la moneta unica cacciando i Paesi più deboli: o ce la fate tutti insieme, oppure tutti insieme fallite». (….) L`America è in crisi: come se ne viene fuori? Sims: «Non pensate che i nostri studi ci diano una risposta facile: servirebbero lunghe analisi dei dati per capire. In generale ritengo che le ricette giuste siano quelle proposte dal capo della Fed Bernanke: una politica monetaria accomodante, e interventi di lungo termine per risolvere i problemi di bilancio, senza creare shock nell`immediato». Sargent: «Ma perché invece non mi chiedete dell`euro? Comunque, non è vero che la situazione economica americana è insostenibile, perché le regole del bilancio ci consentono di far fronte a tutto. Ciò che è insostenibile sono le promesse fatte dai politici sulla sanità, le pensioni, le tasse. Tutto sta a capire in quale ordine non verranno rispettate. Nel frattempo, però, questo ha un effetto sul comportamento delle persone, perché chi teme che salti per prima la social security fa scelte diverse da chi si aspetta una riduzione del Medicare o un aumento delle tasse». L`America è scossa anche dalla protesta «Occupy Wall Street». I manifestanti hanno ragione o torto? Sims: «Quando ero studente andai a Washington per marciare contro i test nucleari: sono ancora convinto che feci bene, e quindi non ho alcuna prevenzione contro le proteste. Il messaggio economico è un po` contraddittorio e quindi consiglierei a quei ragazzi un po` di prudenza, quando avanzano le loro teorie. Non c`è dubbio però che stanno esprimendo un disagio molto diffuso verso i politici, che non hanno ancora trovato soluzione alla crisi. Da questo punto di vista la loro azione è
assolutamente legittima». Parliamo dell`euro, allora: che fine farà? Sims: «Uno degli studi che abbiamo fatto parlava proprio delle premesse precarie dell`unione monetaria. C`è un grave vizio d`origine: avete la banca centrale, ma non esiste un`autorità che possa decidere le politiche fiscali o emettere bond. Così, in situazioni di crisi come quella attuale, non si capisce chi abbia il potere di prendere le decisioni necessarie. Le prospettive dell`euro sono cupe, se non aggiungerete presto alla banca centrale un`autorità capace di emettere eurobond e coordinare le politiche fiscali». Sargent: «Quando furono creati gli Stati Uniti, alla fine del Settecento, le condizioni dell`America di allora erano simili a quelle dell`Europa di oggi. C`erano tredici Stati che avevano tutti il potere di battere moneta, contrarre debito e decidere le loro politiche fiscali, a fronte di un governo federale estremamente debole. Questi Stati potevano addirittura decidere le proprie regole nel settore del commercio estero, esponendo l`America a forti penalizzazioni da parte di Londra. I padri fondatori, che in larga parte erano creditori dei vari Stati, scrissero la Costituzione proprio allo scopo di correggere questo vizio di fondo. Il governo centrale si fece carico dell`intero debito dei tredici Stati, che in cambio persero l`autonomia economica assoluta che avevano avuto fino a quel momento. Washington ed Hamilton alzarono le tasse fino all`85%, per saldare i debiti, e cominciarono ad emettere bond federali. Ecco, per salvarsi, l`Europa dovrebbe imparare la loro lezione». Non sarebbe più facile seguire la strada del default e dell`uscita dei Paesi più deboli, dalla Grecia fino all`Italia? Sargent: «Assolutamente no. Tra i tredici Stati che formarono gli Usa ce n`erano molti debolissimi, con debiti enormi. L`obiettivo dell`operazione di Washington ed Hamilton fu proprio quello di trasformare i creditori dei singoli tredici Stati negli investitori del nuovo e potente governo centrale federale. Quella scommessa pagò. Ma se voi europei non credete nel vostro progetto, non è spezzando gli anelli deboli che lo salverete». Sims: «Chiaro. L`idea che l`euro possa sopravvivere cacciando gli Stati deboli è una pura illusione. Il progetto ha un senso solo se tiene insiti ne l`intero continente: o sopravvivete fitti insieme, oppure tutti insieme fallite».
3. LA GIUSTIZIA SECONDO LA DESTRA. FIDUCIA SULLE INTERCETTAZIONI. FIDUCIA SULLA PRESCRIZIONE BREVE. E ISPETTORI DEL GOVERNO NELLE PROCURE CHE INDAGANO SU BERLUSCONI.
Il ministro della Giustizia, Nitto Palma, ha mandato gli ispettori nelle procure di Bari e di Napoli, dove sono state aperte le inchieste su escort e estorsioni che coinvolgono il presidente Berlusconi.
Questa settimana riprende alla Camera il dibattito sulla legge-bavaglio sulle intercettazioni (per limitare i danni della pubblicazione delle intercettazioni per il premier) e al Senato l’esame sulle norme che prevedono l’introduzione della prescrizione breve (per evitare la condanna di Berlusconi per corruzione nel processo Mills).
E’ la riforma della giustizia secondo la destra.
4. DECRETO SVILUPPO. SENZA I CONDONI LA DESTRA NON SA CHE FARE. A PREPARARLI È LO STESSO GHOSTWRITER CHE HA SCRITTO LA LEGGE GASPARRI PER LE TELEVISIONI DEL PREMIER.
Il governo non è stato in grado in questi anni di preparare nemmeno una norma per sostenere lo sviluppo. Questa analisi e la conseguente richiesta di provvedere quanto prima sono arrivate da tutte le autorità internazionali (Fmi, Bce, Ue), ma anche dagli industriali italiani, dai sindacati. Il Pd lo dice da tre anni. Ora che l’Italia è in mezzo alla crisi è diventata opinione comune. Non sarebbe
stato male se, invece di attaccare sempre il Pd e i suoi rappresentanti, la grande stampa avesse dedicato maggiore attenzione alle analisi e alle ricette che i dirigenti del Pd, a cominciare dal segretario Pier Luigi Bersani, propongono.
In ogni caso, ormai è chiaro che nemmeno ora il governo di Berlusconi è capace di pensare seriamente allo sviluppo dell’Italia. Le uniche misure attorno alle quali si intravede uno sforzo vero riguardano i condoni, fiscale ed edilizio. A metterli in bella copia sarebbe stato già da settimane Paolo Romani, il ministro dello sviluppo che da molti è considerato il vero autore della legge Gasparri sulle Tv.
Da l’Unità. Articolo di Bianca Di Giovanni. “I due condoni sono già scritti. Sia quello fiscale che quello edilizio. Ci hanno pensato gli uffici del ministro Paolo Romani a preparare le misure: e questa è già una notizia. Era fine settembre, si iniziava a parlare di decreto Sviluppo (che ancora non si vede) dopo la torrida estate delle manovre recessive. L`attenzione della stampa era concentrata sulle infrastrutture, sull`accelerazione delle procedure per gli appalti, tanto che Altero Matteoli avrebbe dovuto coordinare il provvedimento. Intanto Romani lavorava nel silenzio, raccogliendo a piene mani le pressioni per la sanatoria che già da mesi si era scatenata in Parlamento. Un`ondata che in questi giorni è venuta in superficie, e continua a infrangersi contro la «muraglia» di Giulio Tremonti e del suo alleato Umberto Bossi. Dal vertice di Via Bellerio di ieri sera il sodalizio è uscito rinforzato: i due ministri sono contro i condoni, per un decreto Sviluppo a costo zero, e per Grilli in Bankitalia. Un patto di ferro che si incunea nel ventre molle del Pdl. Ma Silvio Berlusconi, al di là dei comunicati ufficiali, vuole altro. Vuole tornare a fare mirabolanti promesse a imprese e lobby vicine, dopo la medicina amara imposta da Francoforte. Per uno che mentre la Grecia affondava e metteva a rischio il debito italiano prometteva ancora meno tasse, e che dopo i diktat di Francoforte e il successivo azzeramento dei fondi per il welfare locale, è stato ossessionato dall`idea di eliminare il misero contributo di solidarietà dei ricchi, avere un «tesoretto» oggi sarebbe una vera manna. Così il premier ha puntato sul ministro dello Sviluppo, l`«uomo Tv» che lo ha sempre aiutato. Tanto che ha lasciato che Matteoli finisse travolto dai fischi dei costruttori, che Giulio Tremonti arrancasse nella sua (disperata?) corsa per il controllo del vertice di Bankitalia, e poi, et voilà, ha scoperto la carta Romani: lui coordinerà il decreto Sviluppo. Poi ha «armato» le truppe cammellate: Ignazio La Russa e Fabrizio Cicchitto. Ancora ieri, dopo giorni di esternazioni e di smentite, ministro e capogruppo sono tornati a cavalcare il «grande perdono» in una rutilante quanto delirante rincorsa. Serve per lo sviluppo, anzi no per evitare i tagli ai ministeri (anche se è una tantum?), o magari per ridurre il debito pubblico («uno sforzo storico», dice Gasparri dimenticando che l`Italia ne ha varati almeno una decina), andrà alle fasce deboli, servirà a far pagare chi non paga (tesi già consumata), o per chiudere con il vecchio fisco in occasione della riforma delle tre aliquote. «Se Tremonti non lo vuole, vuol dire che va bene», affonda Miccichè. Un solo Leitmotiv: serve-serve-serve. Chi si oppone è soltanto un moralista. Più si dibatte a mezzo stampa, più si trema nelle stanze dell`Economia. «Dall`Europa ci guardano con la lente di ingrandimento - diceva quest`estate un preoccupato Luigi Casero nei corridoi del Senato, quando qualche parlamentare aveva rilanciato le sanatorie - Non se ne parla proprio». La stessa cosa deve aver ripetuto Tremonti a Silvio Berlusconi, inducendo Palazzo Chigi a una formale smentita. Ieri Casero ha continuato la sua battaglia. «l`Unione europea non consente un condono Iva», ha ricordato a chi dimentica che l`Italia è già stata multata per l`ultima sanatoria tombale di Tremonti. Ma il vero rischio che il condono comporta per i conti pubblici l`ha indicato Tremonti: si
vanificherebbero le misure di lotta all`evasione (ammissione postuma del suo aiuto agli evasori nella legislatura precedente). Nell`audizione che la Corte dei conti terrà oggi in commissione Finanze sulla delega fiscale, i giudici contabili ricorderanno che le misure coperte con la lotta all`evasione ammontano a circa 35 miliardi in tre anni, di qui al 2013. Quanto una manovra intera. Una cifra tanto corposa da suscitare i dubbi dei tecnici del Parlamento sull`effettiva possibilità di recuperare quelle somme. Anche dall`Ue qualcuno ha storto il naso, visto che formalmente la lotta all`evasione non può essere computata in bilancio prima di avere i soldi in cassa. Se poi si vareranno i condoni, quei dubbi diventeranno certezze: i 35 miliardi non si reperiranno. Un altro «buco». Altro che ridurre il debito: il «rosso» aumenterà. Con buona pace di Cicchitto”.
5. PDL. ASSALTI E RITIRATE PER LA SALVEZZA O PER UN POSTO. LA CRISI DEL BERLUSCONISMO METTE PAURA MA IL PRESIDENTE E’ ANCORA AL TIMONE.
Assalti, ritirate, pranzi di cospiratori. Trattative. I giornali sono pieni di gossip politici sul Popolo delle libertà in fibrillazione. La verità? Stanno lavorando tutti per la sopravvivenza personale e di potere dopo la fine del lungo e travagliato periodo berlusconiano. Ma per il momento Silvio Berlusconi è saldamente al timone. E non intende mollare: è disposto a portare il paese a sbattere, pur di seguire la sua strada. Se gli altri rappresentanti del Pdl intendono davvero cambiare qualcosa lo si vedrà nelle votazioni di queste due settimane.
6. LEGA. LA BASE IN RIVOLTA. MA ANCORA BOSSI COMANDA L’APPOGGIO A BERLUSCONI PER LE LEGGI VERGOGNA.
Dopo l’assemblea di Varese anche la base della Lega è in fibrillazione. Ma per capire se questa ribellione ha peso o no bisognerà attendere le votazioni sulle leggi vergogna di queste settimane. Finora Bossi ha sempre sostenuto Berlusconi anche nelle decisioni più deliranti, dall’affermazione su Ruby nipote di Mubarak a tutte le leggi vergogna.
7. IL PD PREPARA LA MOBILITAZIONE E L’ALTERNATIVA. MILLE PIAZZE IL 14, 15 E 16 OTTOBRE. E MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA IL 5 NOVEMBRE. NON BISOGNA DIMENTICARE CHE IL PD E’ L’UNICO PILASTRO ATTORNO AL QUALE PUO’ ESSERE COSTRUITA UNA VERA ALTERNATIVA AL CENTRODESTRA.
L’organizzazione del Pd sta facendo il massimo sforzo per la riuscita della mobilitazione del partito. Il 14, 15 e 16 ottobre in tutte le piazze italiane per dire basta al governo dannoso e inconcludente di Berlusconi e per presentare ai cittadini le proposte del Pd per la riscossa del Paese. Il 5 novembre la grande manifestazione nazionale a piazza San Giovanni a Roma.
Tenere così a lungo e in mezzo a mille difficoltà la posizione per costruire l’alternativa può essere faticoso. Ma proprio ora bisogna mettercela tutta. Il berlusconismo è nella sua fase finale. Bisogna lavorare per costruire una proposta di governo che possa permettere all’Italia di uscire dalla palude e di avviare una ricostruzione democratica ed economica. La partecipazione dei militanti, dei simpatizzanti e degli elettori democratici è fondamentale in questa fase anche per evitare che prevalgano scelte populiste e di conservazione un’altra volta.
Man mano che ci si avvicinerà alla fine di questa lunga fase del potere delle destre saranno possibili sussulti, improvvise apparizioni di nuovi pifferai magici, tutti i poteri saranno in campo per difendere interessi di parte e ovviamente sotto i riflettori prenderanno corpo molte ambizioni
personali. Non bisogna farsi smontare l’entusiasmo da queste iniziative, dagli attacchi, dalle analisi sempre interessate dei commentatori, dal tentativo di ridurre il Pd a mero portatore di voti per il potere di qualcun altro.
Il Pd avrà tanti difetti, ma ha anche molti pregi. Ed è nei fatti l’unico vero pilastro sul quale si può vincere la sfida e si può costruire un’alternativa vera alle destre.
8. LE PROPOSTE DEL PD SONO CHIARE. E ANCHE IL PROGETTO POLITICO. L’ITALIA HA BISOGNO DI UNA LUNGA FASE DI RICOSTRUZIONE DEMOCRATICA ED ECONOMICA E QUESTO GOVERNO PUO’ SOLO PORTARE IL PAESE A SBATTERE.
Le proposte programmatiche del Pd, discusse ed approvate nelle assemblee nazionali democraticamente elette con le primarie (il Pd è l’unico partito a seguire una procedura di discussione collettiva delle proposte) sono ormai scritte. Manca un solo passaggio: l’indicazione delle iniziative fondamentali che dovrebbe avviare un governo diverso del paese. E questo passaggio ci sarà a dicembre.
L’Italia ha bisogno di una lunga fase di ricostruzione democratica e dell’economia. Questa fase non può che essere avviata dopo un passaggio che coinvolga al massimo i cittadini e cioè il voto politico. Ma non si può aspettare la scadenza naturale del 2013, perché con il governo Berlusconi l’Italia rischia di andare a sbattere. E come mostra ciò che sta accadendo in Grecia è un rischio davvero serio.
Dunque, è necessario che questo governo cada. E ciò può avvenire, se si vuole rispettare la Costituzione, solo se viene meno la maggioranza numerica che sostiene Berlusconi in Parlamento, anche se questa maggioranza è stata acquisita con la compravendita dei parlamentari. Nel caso augurabile per il paese che ciò accada, la Costituzione affida l’iniziativa al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il Pd ha già dichiarato, non da oggi, ma già dallo scorso anno, di essere disponibile a mettersi in gioco in un governo di transizione. Ma se ciò non sarà possibile e il governo, come ci si augura cadrà, il Pd è e deve essere pronto anche ad andare al voto.
Il fatto che vi sia dibattito all’interno del Pd su questi temi non deve trarre in inganno, anche se le cronache di stampa ci ricamano sopra, come fanno oggi in relazione alla riunione di Modem di ieri. Un partito democratico discute, anche alla luce del sole, e confronta le idee e i diversi contributi al proprio interno, senza che per questo motiva debba smarrire la rotta. La rotta è stata fissata democraticamente dalle primarie del 2009, dalle riunioni dell’assemblea nazionale e dalle riunioni della direzione nazionale del partito.
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