1. IL VOTO SUL RENDICONTO DELLO STATO E’ UN COLPO MORTALE. BERLUSCONI TENTA DI EVITARE LE DIMISSIONI PER DARLE A GENNAIO E ANDARE A ELEZIONI GUIDANDO LUI IL GOVERNO. MA LA PARTITA E’ APERTA.
Il voto sul rendiconto dello Stato non è un semplice incidente di percorso. Perché senza quella legge di fatto non c’è la fiducia del Parlamento al governo.
Dal Corriere della Sera. “Esistono due precedenti, solo simili al voto di ieri. Uno risale ad oltre 20 anni fa, ed è il caso che portò alla fine del governo Goria. Non prima, però che l`emendamento al bilancio preventivo, bocciato, venisse più volte ripresentato, modificato, dal governo di allora, che subì per quattro volte lo stesso voto negativo. L`altro riguarda il presidente del Consiglio Andreotti, che senza sottoporsi allo stesso stillicidio di Goria, salì al Colle a dimettersi. Il cammino ora è a ostacoli anche per il governo Berlusconi che si è cacciato in un vero cui de sac regolamentare sul Rendiconto generale dello Stato. Infatti questa volta si tratta non del bilancio preventivo, ma di quello consuntivo di tutta l`attività delle amministrazioni pubbliche, cioè del documento che espone le risultanze delle entrate e delle spese dello Stato sia dal punto di vista finanziario che patrimoniale, e che quest`anno doveva illustrare gli effetti dell`andamento crescente dello spread sui titoli pubblici e dei numerosi e successivi aggiustamenti estivi alla manovra. Come se ne esce? Il presidente Gianfranco Fini ha già detto che intende ascoltare al riguardo la Giunta del regolamento della Camera, anch`essa da lui presieduta, e in cui le opposizioni, compreso Italo Bocchino di Fli, possono contare sulla maggioranza di 6 voti contro 5. Anche a prescindere dal voto del presidente. La Giunta ha un parere solo consultivo ed è facile prevedere che nella capigruppo della Camera (che è già stata convocata dopo la Giunta) la tesi essere ribaltata. Ma anche in questo caso ci vorrebbe non la maggioranza semplice, ma quella dei due terzi, che i sostenitori del governo non hanno. Naturalmente, però, le opposizioni puntano tutto sul fatto che l`articolo 81 della Costituzione prevede che «le Camere approvano ogni anno i bilanci e il Rendiconto consuntivo presentati dal governo», e che quindi, in caso di bocciatura, viene interrotto il rapporto fiduciario tra il Parlamento ed il governo. L`esecutivo infatti ieri è andato «sotto» proprio sull`articolo i che recita «E approvato il Rendiconto generale della Stato...». Il presidente del Consiglio vorrebbe mettere sul piatto anche l`ipotesi di un nuovo provvedimento da presentare alla Camera e sul quale, previa intesa con il capo dello Stato, chiederebbe la fiducia che di fatto si trasformerebbe in una fiducia sul governo. Ma intanto il Pd ha chiesto di sospendere l`approvazione al Senato della nota di aggiornamento del Def, Documento di economia e finanza, perché esso presuppone l`approvazione del Rendiconto che non c`è stata”.
Da L’Unità. Dall’intervista a Dario Franceschini. «Quello che è successo oggi in Aula non è casuale, è grazie al lavorio dell`opposizione. Per loro è stata una Caporetto: abbiamo mandato sotto il governo e bloccato il dl sulle intercettazioni, vorrei che qualcuno prendesse nota perché va bene prenderci i rimproveri della nostra gente quando sbagliamo, ma poi quando otteniamo risultati come questo vorremmo che non si attribuisse al caso. È una vittoria parlamentare costruita». Dario Franceschini
capogruppo Pd alla Camera ha da poco concluso un incontro, «informale» con il resto dell`opposizione parlamentare. «Siamo tutti d`accordo: le dimissioni di Berlusconi sono un atto dovuto, per noi la vicenda si chiude qui». Franceschini, voi chiedete le dimissioni del premier, ma dal Pdl minimizzano. La definiscono «una situazione assolutamente occasionale». E davvero solo questo? «Partiamo dall`aspetto politico: oggi (ieri per chi legge, ndr) in Aula il fallimento di Silvio Berlusconi è stato plateale. Al momento della votazione è arrivata la scoperta, per lui drammatica, di non avere più i numeri. Ormai questa maggioranza è in grado di tenersi in piedi soltanto quando deve votare le leggi ad personam e le fiducie, quando poi si passa all`attività parlamentare la battiamo ogni settimana». Ma questo ko implica anche aspetti ormali di un certo rilievo. Ci spiega perché non è sostenibile la tesi del banale incidente? «Perché stiamo parlando della bocciatura dell`articolo 1 del Rendiconto dello Stato. Questa bocciatura, come ha spiegato in Conferenza dei capigruppo il presidente della Commissione Bilancio, impedisce l`approvazione dell`assestamento di Bilancio e quindi della legge di stabilità. Secondo molti costituzionalisti, anche vicini alla maggioranza, la mancata approvazione del Rendiconto dello Stato fa cessare il rapporto fiduciario tra governo e parlamento. A questo punto le dimissioni sono un atto costituzionalmente dovuto». Berlusconi non ci pensa proprio...
«Berlusconi può sminuire i fatti, dire quello che vuole ma le sue restano parole al vento. Qui siamo di fronte ad un atto di sfiducia da parte del Parlamento. C`è un problema grande come una casa ma né lui né i suoi sembra vogliano rendersene conto». Ha visto che in Aula mancava anche Scilipoti? «Quella non è un`assenza rilevante. Ce ne erano altre di peso, non voglio fare dietrologia ma insomma...». Tremonti, per esempio. «Lui e altri». Oggi sarà la Giunta per il regolamento a stabilire come si dovrà procedere. Cicchitto pensa ad un maxiemendamento sul quale porre la fiducia. Secondo lei? «La Giunta farà la sua valutazione, ma è evidente che non si può procedere con emendamenti a un documento del genere. Propongono una cosa che non sta né in cielo né in terra. Bocciando l`articolo 1 è stato bocciato tutto l`impianto e non c`è altra strada che quella delle dimissioni, non lo diciamo noi, lo dice la letteratura costituzionale e per questo la nostra richiesta di dimissioni stavolta non è politica».
In queste condizioni solo una cosa è certa. Il governo di Silvio Berlusconi ha subito un colpo mortale. L’esito non è ancora chiaro, la partita è aperta. Il presidente del Consiglio punta a resistere fino a gennaio per far approvare le leggi che lo mettono al riparo dalla condanna per corruzione e dai processi e per fare in modo che la caduta del governo apra a quel punto la strada alle elezioni, ma con il governo guidato durante la campagna elettorale dallo stesso Berlusconi. Dal Corriere della Sera. Dall’articolo di Francesco Verderami. “Come una stella che si trasforma in buco nero, Berlusconi si rende conto di aver inghiottito ormai anche se stesso. Perciò dà per scontate le elezioni anticipate: «Si voterà l`anno prossimo», pronosticava infatti prima che alla Camera succedesse il patatrac”.
2. IL VOTO SUL RENDICONTO DELLO STATO E LA BOCCIATURA DELLA MANOVRA ANCHE DA PARTE DELLA CORTE DEI CONTI DIMOSTRANO QUEL CHE IL PD DICE DA TEMPO. QUESTO GOVERNO E’ UN RISCHIO PER L’ITALIA PERCHE’ NON E’ IN GRADO DI AFFRONTARE LA CRISI.
Il pasticcio su una legge fondamentale per il funzionamento dello Stato è l’ennesima dimostrazione di quanto questo governo sia incapace di guidare in modo positivo l’Italia, soprattutto se si pensa alla tempesta economica in corso.
Il Pd lo dice da tempo, così come ha spiegato in tutti gli interventi che le manovre approntate dal governo sono inique e piene di buchi, a cominciare dalla cosiddetta delega fiscale che dovrebbe rappresentare un intervento da 20 miliardi di euro. Ieri a certificare che il Pd ha ragione da vendere è stata la Corte dei Conti.
Da l’Unità. Dall’articolo di Bianca Di Giovanni. “Le tre aliquote? La maxi-riforma fiscale che Giulio Tremonti annuncia da 15 anni? Così com`è è impraticabile. Parola della Corte dei Conti. La delega varata a inizio estate e collegata alle manovre d`agosto «non ha copertura perché parte delle entrate è stata già utilizzata nel decreto». A togliere il velo su una verità finora sottaciuta è stato il presidente dei magistrati contabili Luigi Giampaolino, audito ieri in commissione Finanze alla Camera. Nelle 25 cartelle depositate la Corte demolisce l`intera impalcatura della riforma fiscale, che appare incerta e traballante per via delle poche risorse a disposizione. E c`è di più: tutta l`operazione fiscale impone «tempi stringenti di approvazione - spiega Giampaolino - perché i rilevanti effetti finanziari (4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e 20 nel 2014) sono già incorporati nel quadro di finanza pubblica. Se non si attuerà la delega, scatterà la clausola di salvaguardia che prevede il taglio automatico e lineare delle agevolazioni». Un meccanismo recessivo (tradotto: i più poveri pagano più dei più ricchi) che avrebbe effetti recessivi sull`economia e ingiusti sulle famiglie: proprio i lavoratori dipendenti e i pensionati sarebbero più esposti…(…). C`è un`altra pesante incognita sul fronte sociale. Parte delle coperture richieste, infatti, fanno riferimento ad una non meglio definita riforma dell`assistenza, cioè pensioni e indennità di accompagnamento per gli invalidi civili, pensioni di guerra, pensioni sociali, integrazioni al minimo, prestazioni di maternità, assegni familiari. «I risparmi effettivamente conseguibili su una spesa che nel complesso ammonta a poco meno di 30 miliardi - osserva Giampaolino - o al massimo a 40 milairdi se estesa ad alcune aree al confine con la previdenza (reversibilità), dovrebbero risultare relativamente limitati rispetto alle esigenze poste dal ddl». Insomma, trovare soldi extra sull`assistenza appare davvero poco credibile”.
3. SALTA LA LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI MA SE IL GOVERNO REGGE BERLUSCONI TENTERA’ DI SFUGGIRE ALLA CONDANNA PER CORRUZIONE FACENDO APPROVARE AL SENATO LA PRESCRIZIONE BREVE.
La discussione sulla legge bavaglio è slittata alla Camera e la fronda della Lega, di fatto, ha imposto un freno alla maggioranza. Ma se il governo non cadrà subito, al Senato Berlusconi ha chiesto ai suoi di premere il pedale sull’acceleratore per l’approvazione delle norme sulla prescrizione breve. Obiettivo: evitare la condanna nel processo Mills per corruzione, con annessa interdizione dai pubblici uffici. Il processo Mills sta infatti per arrivare a conclusione, ma i tempi di un’eventuale “prescrizione breve” sarebbero
vicinissimi, al punto da tagliare di netto la possibilità di arrivare a sentenza. La Repubblica dedica oggi ben due pagine (12 e 13) alla vicenda.
4. IL FANTASMA DEL 1929 FA PAURA. TRICHET AI GOVERNI: LA CRISI E’ SISTEMICA, FATE PRESTO. LA SLOVACCHIA BOCCIA IL FONDO SALVA STATI. GLI USA VARANO DAZI CONTO LA CINA, ANCHE SE FURONO BARRIERE DOGANALI A FAR CADERE IL MONDO IN DEPRESSIONE NEGLI ANNI TRENTA.
Discorso allarmatissimo del presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet. La Slovacchia impallina il rafforzamento del fondo salva-Stati. E gli Usa varano barriere doganali contro l’import cinese, anche se furono proprio le scelte protezionistiche una delle cause dell’avvitamento della crisi negli anni Trenta.
Da La Repubblica. Articolo di Elena Polidori. «Il tempo è contato». Ormai alla fine del suo mandato, Jean-Claude Trichet, presidente della Bce, invia un messaggio allarmato: «La crisi ha raggiunto una dimensione sistemica. E` peggiorata nelle ultime tre settimane. Servono decisioni chiare sulla ricapitalizzazione delle banche e sul debito sovrano». L`Sos del banchiere arriva nel giorno in cui la «troika» di esperti Ue, Bce e Fmi sblocca da novembre gli aiuti alla Grecia ma chiede ad Atene altre misure, quando S&P taglia il rating di 10 banche spagnole tra cui Bbva e Santander, Fitch pone sotto osservazione il sistema bancario italiano, e mentre la Slovacchia decide di bloccare il rafforzamento del fondo salva-Stati, con un voto notturno che lasciale Borse di mezzo mondo col fiato sospeso: dopo varie oscillazioni, Milano chiude con un meno 0,39%. L`Italia riesce anche a piazzare Bot annuali per 7 miliardi con tassi in forte ribasso, al 3,570%. Ecco, in un giorno così, le parole di Trichet suonano come un terribile monito: «La situazione è molto grave e noi europei siamo l`epicentro. Il rischio sovrano si sta estendendo a Usa e Giappone. Bisogna agire rapidamente. Ulteriori ritardi aggraverebbero il quadro». Perciò: muoversi per evitare il peggio. Trichet parla al Parlamento europeo. E` una delle sue ultime uscite pubbliche: a fine mese deve lasciare il timone della Bce al suo successore, il governatore italiano Mario Draghi. Dunque mai come stavolta mette le cose in chiaro, senza giri di parole. La sua analisi suona così: «Nell`ultimo mese lo stress sul debito sovrano si è spostato dalle economie più piccole a quelle dei maggiori paesi della Ue. Segni di tensione sono evidenti in molti mercati dei bond governativi; l`alta volatilità sulle piazze azionarie indica che le turbolenze si sono allargate ai mercati dei capitali di tutto il mondo». E ancora: «I Paesi devono prendere decisioni chiare», ovvero risanare i conti, dove serve. «Il sistema bancario della Ue deve essere ricapitalizzato». E a questo fine «potrebbe essere benefica la possibilità che il fondo salva-Stati presti soldi ai governi» per questa operazione. «Vorrei che il Fondo fosse più forte e flessibile ma dobbiamo accettare che il processo decisionale sia a 17 e rispetti il percorso democratico». Il temuto no è poi arrivato dal parlamento di Bratislava. Dopo il sofferto sì tedesco e olandese e l`ok di Malta, la Slovacchia era l`ultimo dei Paesi dell`eurozona a dover approvare il rafforzamento di questo fondo, da cui dipende in ultima analisi la vita stessa di Eurolandia: la decisione, secondo le norme, deve essere presa all`unanimità. Tuttavia il governo slovacco, che ha perso il voto di fiducia sul piano, è convinto che ci sarà un nuovo voto con esito positivo probabilmente entro la settimana”.
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