18 novembre 2011

La nota del mattino del 18 novembre 2011.

1. OGGI SI CONCLUDE IL PRIMO ATTO. IL GOVERNO MONTI HA LA FIDUCIA DEL PARLAMENTO. SARA’ UNA STRADA IN SALITA. NON TUTTO SARA’ COME VUOLE IL PD. E NON SARA’ IL GOVERNO DEL PD. MA L’ITALIA HA RIPRESO IL SUO CAMMINO.
Oggi il governo del presidente Mario Monti ottiene la fiducia anche della Camera dei deputati. Non è il governo del Pd. Non è il governo delle larghe intese. E nel discorso programmatico del presidente Monti ci sono anche interventi che possono non piacere al Pd. Ma un fatto è incontrovertibile. Si è chiusa una pagina brutta della storia italiana. E la rabbia manifestata ieri da Berlusconi e dalla Lega Nord sono la testimonianza più chiara e lampante di questa realtà. Il cammino dell’Italia è ripreso. Non sarà facile. La crisi internazionale è drammatica. I ritardi e gli errori accumulati dal governo della destra hanno provocato guasti che non sarà semplice rimediare. Ma il paese ha voltato pagina. Sarà una prova anche per il Pd.
Da Europa. Articolo di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo parlamentare del Pd al Senato. “Siamo stati ieri protagonisti di un evento politico e istituzionale il cui solo precedente, nella storia repubblicana, è il governo Dini del 1995, "del Presidente", interamente composto da personalità non politiche, non parlamentari. Un evento che da oltre un anno auspicavamo, alla cui produzione abbiamo da tempo lavorato nelle sedi politiche e parlamentari. Se oggi siamo tutti impegnati per questo fine, il primo ringraziamento va al Presidente Napolitano, alla sua paziente saggezza, alla sua lucida determinazione, alla sua lungimiranza. La richiesta pressante del Pd per la composizione tecnica del governo è stata connessa all`impegno ed alla convinzione con i quali sosterremo questo esecutivo. Non si poteva consentire, infatti, che pesassero le conseguenze della vicenda politica appena trascorsa, con le dimissioni del presidente Berlusconi, segnata da forti tensioni tra le forze politiche. E non si poteva consentire che i riflessi di quelle tensioni, il loro perdurare o ridestarsi, inquinassero lo sforzo autentico che tutti stiamo facendo, assumendo una comune responsabilità nell`interesse dell` Italia. L indubitabile che sia estranea all`esperienza politica del bipolarismo italiano questa chiave che sperimentiamo per affrontare ciò che ci attende e uscire dalla seria crisi che grava sul paese. E che non sia facile, per partiti che sino a qualche giorno fa si sfidavano sul terreno politico e parlamentare, sostenere la stessa esperienza di governo. Come fare, dunque? Il primo passo è stato quello di approvare ieri, con la fiducia, la relazione programmatica e che ha trovato nella stessa composizione del governo, nella qualità, autorevolezza, competenza e responsabilità civica di ciascuno dei ministri nominati ulteriore, forte, ragione di consenso. Ma il voto di ieri è, appunto, un inizio. In seguito, occorrerà guardare avanti e cercare, ogni volta, e con testarda ricerca, di stringere con decisione sull`oggettività di ciascuna questione, di esercitare il massimo di laicità riformista. La Costituzione, che tutti riconosciamo, è il luogo entro i cui limiti dobbiamo inscrivere le nostre decisioni. E dunque, non ci potrà essere riforma fiscale senza principio redistributivo e progressivo, né sviluppo del paese fuori da uri idea di coesione nazionale, né ridisegno del meccanismo di accesso alle opportunità economiche che produca diseguaglianza, né lavoro senza dignità. Noi
siamo 1’Europa, ha detto Monti nell`aula del senato. Io qualche giorno fa, sempre a palazzo Madama, ho detto «noi siamo europei».
Dall`Europa ci sono venuti forza e soccorso. Se ne soffriamo i limiti, rintracciamo anche in noi stessi la responsabilità. Con il governo Monti sappiamo che riprenderemo la strada dell’ integrazione e del nostro impegno, senza esitazioni e senza complessi. E condividiamo pienamente questa scelta. Finora i protagonisti sono stati il presidente della repubblica e il presidente Monti. Ora rientra in campo il parlamento. Questa è una repubblica parlamentare che ha subito, negli ultimi anni, un oltraggio che oggi tutti avvertiamo e che trova nella legge elettorale vigente le sue ragioni. La politica ha sopravanzato la Costituzione, la prassi ha tramutato la forma. Ma il "senso" del parlamentarismo, la consapevolezza profonda del dovere di rappresentanza, la forza del parlamento resistono e possono essere intatti. Perché è il momento e perché è il nostro dovere. Io credo che questo parlamento debba chiedere al nuovo premier Monti un impegno: quello di rispettare il parlamento, di considerarlo il suo primo, potente, alleato. Restaurare la forza e l`autorevolezza delle camere è il consistente contributo che noi daremo alla forza delle decisioni del governo, alla forza dell’ Italia. Credo che queste considerazioni facciano giustizia di molte superficialità diffuse che hanno creduto di identificare il governo Monti con un algido esecutivo di "migliori", che ha fatto fuori la politica e sospeso la democrazia. Io penso esattamente il contrario. E penso anche che, se saremo all`altezza, dopo niente sarà come prima. Né i partiti, né le relazioni politiche, né il parlamento, né l`Italia. Una sfida entusiasmante, di quelle che solo un grande paese e vere classi dirigenti sanno cogliere. Questo, per nostra parte, e per nostra responsabilità, come Partito democratico, offriamo agli italiani, con il consenso, la lealtà e la collaborazione del nostro gruppo al governo Monti”.

2. L’ITALIA TORNA IN EUROPA. LA CRISI EUROPEA SI AGGRAVA. LA RICETTA MERKEL RISCHIA DI PORTARCI A UNA CRISI PEGGIORE.
In un modo anche plasticamente rappresentativo ieri sera Merkel, Sarkozy e Monti si sono sentiti e insieme hanno concordato che Italia, Germania e Francia devono affrontare il problema della tempesta sull’Europa. E’ il ritorno dell’Italia in Europa: non più un paese che riceve le ricette da seguire, ma uno dei grandi che decide insieme agli altri.
E’ un passaggio decisivo, anche perché la linea di politica economica e monetaria in questi ultimi anni imposti dai tedeschi e i governi delle destre in Europa stanno portando una delle aree più ricche del mondo al disastro. Ieri, mentre lo spread tra Btp e Bund si restringeva, pur restando su livelli da far tremare i polsi sul futuro dell’Italia, sono andate sotto pressione Francia e Spagna, a testimoniare che il problema di fondo è europeo. E che l’Italia si salva se, dotatasi di un governo diverso dalla baraonda precedente, sappia oggi guidare l’Europa insieme agli altri grandi paesi verso una diversa politica economica e monetaria.
Da Il Messaggero. Lungo articolo di Oscar Giannino, sicuramente giornalista con simpatie non di centrosinistra, ma che spiega bene il nodo che l’Europa monetaria ha oggi di fronte. “E’ venuto il momento di allargare il punto di osservazione sulla crisi in corso, ora che il governo Monti con la fiducia parlamentare entra nella pienezza delle sue funzioni, salutato e sostenuto dal consenso esplicito dei vertici europei, di Germania e Francia tanto per sottolineare ancora una volta l`attenzione tutta
particolare riservata al potenziale di instabilità sistemico rappresentato dal debito pubblico e dalla bassa crescita del nostro Paese. Ora che l`Italia si pone in condizione di rassicurare i mercati, è tempo anche da noi di aprire il dossier della crisi vera, rispetto alla quale l`Italia non deve fungere da detonatore, ma che rischia comunque di investire tutto il continente. Diciamolo chiaramente. Nel 2012 è l`euro in quanto tale, a rischiare di saltare. Questo ci dice la tumultuosa vendita da Oltreoceano che ogni giorno si sta realizzando sotto i nostri occhi nei confronti di tutti gli asset europei, a partire dal debito pubblico di tutti i componenti dell`euroarea ad eccezione della Germania, ed estendendosi ai titoli bancari che portano a sempre nuovi record verso il basso i listini di Borsa dell`intera Europa, perché le banche sono la cintura più esposta alla crisi di sistema che si sta scatenando. I segnali sono assai preoccupanti, per chi li vuole leggere. l differenziali sul Bund che s`inerpicano verso l`alto non sono solo quelli greci, e portoghesi e spagnoli. La Francia stava a 40 punti base di premio sul Bund decennale a fine 2010. Oggi supera i 200 e da due settimane peggiora ogni giorno, ha di fatto già perso nel giudizio dei mercati la tripla A di cui andava così fiera. Il Belgio è passato da 103 punti a 318. L`Austria, pur considerata integrata alla Germania euroleader, è salita da 54 a 190. Lo stesso fondo salva-Stati e salva-banche, I`Efsf, in teoria tripla A anch`esso, ha dovuto rinviare l`emissione di una sua obbligazione dopo averne ridotto l`ammontare, e paga rendimenti in crescita quotidiana allineati a quelli francesi. Tre mesi di incorporazione da parte del sistema bancario di questa stima crescente dei rischi sovrani implicano problemi gravissimi per il credito non più solo dei Paesi sin qui a rischio, ma innanzitutto delle banche francesi, le più esposte al totale di carta pubblica europea. Perché i mercati scommettono che nel 2012 l`euro salta, se non si assumono decisioni efficaci e adeguate al rischio a cui l`euro esposto? Per comprenderlo, è necessario compiere un passo indietro. Diciamo che, con qualche approssimazione tecnica, al mondo esistono due tipi di aree monetarie concepite come ottimali. Una è quella del dollaro. L`altra quella dell`euro. Sono due modelli pressoché agli antipodi. Il modello americano si è evoluto dal 1913 in avanti secondo una concezione per la quale a una valuta comune corrisponde l`unificazione reale dei mercati sottostanti, dei beni, dei servizi, del lavoro come della relativa regolazione. Lo scopo è quello di consentire che un unico tasso di interesse abbia sì effetti asimmetrici nelle diverse aree dell`Unione, che sono caratterizzate da tassi di crescita, costi dei fattori produttivi e prezzi degli asset comunque tra loro diversi visto che un continente non ha certo condizioni omogenee. Ma l`unificazione dei mercati e della regolazione consente che l`equilibrio à unico tasso d`interesse tra costi diversi, salari e disoccupazione avvenga per autoregolazione attraverso vasi comunicanti. Ti puoi spostare da uno Stato con più disoccupazione a uno che tira di più, con prezzi diversi, ma senza mettere a rischio risparmio e patrimonio. In questo modello, quando il ciclo scende e a maggior ragione quando si aprono grandi crisi, la via prescelta è quella di attenuarne i morsi monetizzando il debito - tanto l`eccesso di debito privato, che delle banche che di quello pubblico - facendo stampare dollari alla Fed. Dal 2008 in avanti, la banca centrale americana lo ha fatto per oltre 20 trilioni di dollari per il solo sistema banco-finanziario, praticamente per l`equivalente dei due terzi del valore attuale di tutti gli asset quotati nelle borse americane. Se si somma il debito pubblico,delle famiglie, delle imprese e delle banche Usa, nel giugno 2011 la quota era pari al 289% del Pil americano. Per fare paragoni, il Regno Unito è a quota 497%. Il Giappone a quota 492%. La Spagna a 388%. La Francia a 341 %L`Italia al 303%. La differenza tra la sostenibilità del maggior debito americano, britannico e giapponese rispetto al nostro -
più basso - dipende dal fatto che le banche centrali di Stati Uniti, Regno Unito e Giappone monetizzano il debito con il torchio monetario, pressoché illimitatamente. Certo, è un sistema che produce bolle nel prezzo degli asset, come quella di Internet prima, dell`immobiliare poi. E produce inflazione. Ma l`America, finché il dollaro è la moneta in cui sono denominati i mercati di tutte le commodities mondiali e dunque è riserva prioritaria per tutte le banche centrali, l`inflazione monetaria l`esporta verso il resto dei inondo, anche grazie alla sua sostenuta produttività domestica. Meglio le bolle ogni tanto di una più alta disoccupazione stabile, pensano in America. Poi c`è il secondo modello, quello dell`euroarea. Vediamo di spiegarlo storicamente, perché questa è la risposta da dare a coloro che non capiscono come mai siamo stati per così dire «commissariati» dai tedeschi, insieme a greci, portoghesi, spagnoli e irlandesi. Il modello Bce nasce dall`esperienza tragica fatta dalla Germania ai tempi di Weimar. L`eccesso di torchio monetario e di inflazione, stante l`enorme debito accumulato nella sconfitta della prima guerra mondiale, portò comunque a disoccupazione di massa e perdita reale e verticale di risparmio. L`effetto fu il nazismo, la presa sugli strati popolari dei totalitarismi neri e rossi. Per questo la Germania per decenni, prima della moneta comune, ha affinato il modello su cui l`euro è poi nato. A differenza degli Usa, nessuna unificazione reale dei mercati sottostanti, del lavoro, dei beni e dei servizi come della regolazione: tranne che nel comparto finanziario. In più, il debito pubblico resta garantito da ciascun Paese membro. Senza un debito comune europeo è come se esso sia denominato in una valuta straniera, rispetto all`euro. Infine, la Bce non può e non deve monetizzare debiti di alcun tipo, deve solo pensare a tenere bassa l`inflazione, deve astenersi dal sostenere il ciclo. Come può reggere un sistema di tal tipo, visto che la curva dei costi come della produttività, e le bilance dei pagamenti tra i diversi paesi dell`euroarea sono tanto divergenti? Per dire, la Germania è forte perché ha il più grande attivo al mondo di parte corrente dopo la Cina, quasi il 7% del Pil, il Portogallo era in passivo del 14% prima della crisi. Oppure, se consideriamo il costo per unità di lavoro fatto pari a 100 nel 2000, quello tedesco nel 2008 era a 98 e ora è a 105, quello portoghese nel 2008 era a 128 e ancora oggi è sceso solo a 125. Il meccanismo tedesco prevede che, per reggere con queste asimmetrie e avvantaggiarsi tutti dell`euro, siano le classi politiche dei diversi Paesi a dover tenere la finanza pubblica in equilibrio al più basso livello di spesa pubblica coerente con un welfare decente e la sostenibilità del proprio debito pubblico, e a indurre con adeguate riforme l`economia reale ad un`elevata produttività. In caso contrario, con bassa crescita e alto debito e senza torchio monetario della Bce, l`unico aggiustamento possibile è quello della deflazione interna, cioè del drastico abbassamento in termini di valore reale dei salari e delle pensioni, degli attivi patrimoniali delle banche come delle imprese. Una volta che il conto salato, in termini di disoccupazione e impoverimento reale, cade sulle spalle di lavoratori, contribuenti e risparmiatori, allora essi richiameranno al doverei politici mentitori e inadeguati, sostituendoli con politici più virtuosi. Siamo esattamente a questo punto. Il conto amaro si abbatte su milioni di portoghesi e spagnoli, italiani e tra pochissimo francesi, Perché i politici mentono e preferiscono dare la colpa al mercato o alle opposizioni, perché i sindacati resistono alle riforne, perché ciascuno dice che la colpa è di un altro. E alla fine a pagare sono imprese e lavoro, coloro che non decidono alcunché ma subiscono. Perché il mercato scommette che l`euro salta? Perché, al momento, non ci sono segni che tedeschi e francesi -- entrambi sotto elezioni nel 2012 e nel 2013 - siano pronti ad assumere alcuna delle tre decisioni diverse che ci potrebbero portare fuori dal gorgo. La prima decisione è quella di cambiare con
procedura d`urgenza Trattato e Statuto della Bce, mutandone la natura e inducendola a monetizzare il debito. I tedeschi non si fidano e dal loro punto di vista hanno ragione, con mercati separati è un premio a chi ha accumulato più squilibri traendo a quel punto il massimo vantaggio dall`euro. La seconda è una via intermedia. Senza monetizzazione integrale da parte della Bce, si potrebbe comunque formare un fondo comune in cui i diversi Paesi membri facessero confluire una quota di debito pubblico eccedente una certa soglia- diciamo il 70% - chiamandone a garanzia in parte la Bce, e in parte le stesse riserve accumulate dalla Germania grazie al fatto che tutti comprano solo i suoi Bund vendendo il resto delI`eurocarta (la fuga dei fondi monetari dalla Francia è ornai massiccia, e i tedeschi se ne avvantaggiano grazie ai loro meriti). E` una proposta simile a quella avanzata qui in Italia da Paolo Savona. La terza proposta, fuori dai denti, è quella ancora più traumatica,di intavolare un confronto riservato su come uscirne, dall`euro. Le ipotesi sono due. Se ad uscirne sono i Paesi eurodeboli, si troverebbero con gli attivi e passività esteri di banche e imprese che restano in curo e dollari, con quelli domestici invece in lire o franchi svalutati tra il 20 e il40%. L`effetto sarebbe di fallimenti e disoccupazione di massa. Se invece fossero gli euroforti Germania, Olanda e Nordeuropea - allora l`effetto sarebbe opposto, l`avvaloramento degli attivi e passívi domestici reggerebbe l`effetto del maggior valore che il inarco o il N-Euro, l`euro del nord, acquisterebbe sul dollaro rispetto all`euro attuale, penalizzandone le esportazioni sì, ma non tanto da annullare il vantaggio di competitività tedesco di questi anni. I mercati però non vedono i segni, nelle classi politiche tedesche, francesi ed europee, né della consapevolezza del rischio terribile a cui tutti siamo esposti. Né dei rimedi possibili da adottare. La Merkel non passa giorno che non dica no a ciascuna di questediverseipotesi. La Germania del resto ha un suo piano B. Gli altri governi tacciono o peggio come Sarkozy la assecondano. Per questo i mercati scommettono che l`euro salterà. E per questo l`Italia deve al più presto recuperare l`autorevolezza per tornare a sedersi al tavolo europeo, come ha detto ieri Monti. Non si è mai visto una carrozza trainata da un tiro a quattro in cui il passo debba essere quello del cavallo più veloce. Perché o gli altri tre cavalli crepano oppure, ancor prima. si ribalta la carrozza. Finché siamo in tempo, evitiamolo, Perché di tempo ne è rimasto veramente poco”.

3. GLI USA FUGGONO DALL’EUROPA E SI CONCENTRANO SULL’AREA DEL PACIFICO.
I capitali statunitensi fuggono dal’Europa. Ma anche l’attenzione politica degli Usa si sta concentrando sull’egemonia in diverse aree del mondo.
Da Il Corriere della Sera. Articolo di Massimo Gaggi. «Chiuso un decennio segnato da due guerre sanguinose e costose - con gli ultimi soldati americani che stanno lasciando l`Iraq e il processo di transizione responsabile ormai avviato in Afghanistan - come presidente degli Stati Uniti ho preso la decisione strategica di rilanciare il ruolo americano nell`area dell`Asia Orientale e del Pacifico. Qui è il futuro: un bacino che, attraverso l`Oceano, già oggi contribuisce per più del 50%o all`economia mondiale. Gli Stati Uniti concentreranno qui i loro sforzi per ridefinire la regione e il suo futuro sulla base dei principi che gli sono propri e che sono sostenuti anche da alleati e amici». E` già da un anno - dal suo primo viaggio asiatico attraverso India, Indonesia, Corea e Giappone nel novembre scorso - che Barack Obama mostra di voler spostare il pendolo dell`attenzione Usa verso quest`area del mondo. Ma col discorso pronunciato davanti
al Parlamento australiano, a Canberra, e quello in una base del`aeronautica militare a Darwin, il presidente l`altra sera ha compiuto un deciso salto di qualità. Chi, anche a Pechino, aveva giudicato le sortite precedenti poco più che esibizioni di muscoli di una potenza in difficoltà, ora rimane interdetto dalla veemenza di Obama. Che, dopo aver sfidato la Cina promuovendo un`area di libero scambio transpacifica che la esclude, giovedì si è impegnato a garantire la sicurezza dei suoi alleati in questa regione perché «da sicurezza è la condizione di base per la pace e la prosperità». E poi è andato a Bali a partecipare (prima volta per un presidente Usa) all`Asean: il vertice di quei Paesi dell`Asia sudorientale che Pechino giudica il suo principale bacino di interessi. Oltre a «battezzare» il distacco di 2.5oo marines a Darwin (prima presenza militare permanente degli Usa in Australia), il presidente ha promesso un rafforzamento del dispositivo militare Usa nell`area e ha sottolineato con forza che qualunque riduzione della spesa militare del Pentagono che verrà decisa per esigenze di bilancio, non riguarderà l`area del Pacifico. La sfida a Pechino è chiara, anche se Obama ha detto di voler rilanciare anche il dialogo con la Cina a patto che questo Paese rispetti le «regole del gioco» come fanno gli altri partner e si comporti da «potenza responsabile». E, infatti, nella capitale del gigante asiatico già regna lo sconcerto. Analisti politici ed economici sono stati subito messi al lavoro per capire cosa ha determinato un inasprimento dei toni di Washington che va molto al di là di quello che poteva essere atteso. E mentre l`agenzia statale d`informazioni Xinhua spiega, orgogliosa e pragmatica, che gli Usa vedono per la prima volta la loro egemonia minacciata da una nuova potenza emergente e reagiscono a modo loro, il Global Times, un giornale che appartiene al Partito comunista ma rispecchia gli umori della sua componente più nazionalista, denuncia un tentativo degli Usa di porre la Cina sotto assedio: «La base di Darwin fa parte di una strategia Usa di accerchiamento della Cina da Nord e da Sud» dice un generale interpellato dal Global Times. Il giornale poi chiede la sospensione dell`acquisto di titoli del Tesoro Usa da parte cinese: perché contribuire al calo dei tassi d`interesse «di un Paese che cerca di indebolirci alimentando le forze a noi ostili»? Più prudenti le reazioni ufficiali del governo cinese. L`insediamento militare a Darwin viene considerato un gesto ostile, ma il portavoce del ministro degli Esteri ammette che Australia e Stati Uniti hanno il diritto di rafforzare i legami reciproci come vogliono «ma nel rispetto degli interessi degli altri Paesi». Da oggi il governo cinese, che non ama esporsi con reazioni brusche, sembra comunque costretto sulla difensiva: rimane di gran lunga il più grande creditore degli Usa, ma il gigantesco interscambio tra le due economie (456 miliardi di dollari) si muove in gran parte dall`Asia verso l`America. Pechino non può rischiare. E Obama ha sostenuto con fermezza che, a sei anni dal suo ingresso nel sistema commerciale internazionale (un passo dal quale ha tratto enormi benefici), per la Cina è venuto il momento di rispettare davvero le leggi internazionali (norme anticontraffazioni, rispetto della proprietà intellettuale) e le regole di mercato (rivalutazione dello yuan e rimozione delle barriere che impediscono alle imprese Usa di operare in Cina). E anche di fare passi avanti sui diritti umani”.

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