28 novembre 2011
La nota del mattino del 28 novembre 2011.
1. MOODY’S GELA L’EUROPA: C’E’ IL RISCHIO EURO-DEFAULT. GERMANIA, FRANCIA E ITALIA PROPONGONO DI FARE UN PASSO IN AVANTI POLITICO PER FERMARE LA CRISI. OBAMA AVVERTE: NON SOLO TAGLI, BISOGNA SOSTENERE LA CRESCITA.
L’Agenzia di rating Moody’s ha deciso di aprire la settimana con un colpo al mercato europeo e all’euro. C’è la possibilità, ha scritto, che diverse economie escano dall’euro. Dopo l’articolo di sabato del New York Times, secondo il quale le banche Usa stanno preparando piani di riserva per fronteggiare il fallimento dell’euro, la comunicazione di Moody’s pesa ancora di più.
L’Europa, però, tenta di resistere a tutte queste pressioni, che vengono soprattutto dal mondo anglosassone e da economie che certo non stanno meglio di quelle europee. Si moltiplicano gli incontri e le ricette possibili. Germania, Francia e Italia stanno guidando in questi giorni il continente verso un passo in avanti nella cooperazione politica ed economica. Decisivi sono i tempi. E anche le munizioni (le risorse finanziarie per reggere) che si potranno avere a disposizione. Nei giorni scorsi si è parlato di una possibile linea di credito del Fondo monetario internazionale all’Italia per un importo di 600 miliardi di dollari.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, preoccupato delle ripercussioni che potrebbe avere la tempesta europea, ma soprattutto preoccupato della recessione che ormai si intravede all’orizzonte (meno investimenti, meno consumi, meno attività, più disoccupazione: oggi usciranno le stime ufficiali dell’Ocse e si prevede che siano nere) , ha invitato l’Europa a non pensare solo ai tagli, ma a rilanciare la crescita.
(ANSA) - NEW YORK, 28 NOV - Le probabilità di più default fra i paesi dell'area euro "non sono più insignificanti". E "una serie di default aumenterebbe significativamente la possibilità che uno o più paesi, oltre al default, escano da Eurolandia". L'allarme è dell'agenzia internazionale di rating Moody's, secondo la quale nelle ultime settimane le probabilità di uno scenario negativo per l'area euro sono aumentate con "l'incertezza politica in Grecia e in Italia e il peggioramento delle prospettive economiche". L'agenzia avverte: in assenza di misure che nel breve termine stabilizzino i mercati, le valutazioni sui paesi dell'area euro e dell'Unione Europea potrebbero essere riviste. Moody's prevede di completare la revisione dei rating dell'area euro nel primo trimestre 2012. Lo scenario di Moody's - afferma l'agenzia in un rapporto - resta basato su una tenuta dell'area euro, ma anche questo scenario positivo "porta con sé implicazioni molto negative sul rating". "La rapida escalation della crisi del debito dell'area euro e del settore bancario sta minacciando tutti" i rating sovrani europei, afferma Moody's sottolineando che l'aumento della pressione su Eurolandia ha spinto le autorità ad agire rapidamente per riportare fiducia. "L'area euro ha punti di forza finanziari ed economici, ma la debolezza istituzionale continua a frenare la risoluzione della crisi e pesa sui rating. Eurolandia è vicina a un bivio che la porterà o verso una più stretta integrazione o verso una maggiore frammentazione", con il default e l'uscita dall'area di uno o più paesi."Le probabilità di default multipli fra i paesi dell'area euro non sono più insignificanti. Più la crisi di liquidità continua, più rapidamente le possibilità di default aumentano. Una serie di default aumenterebbe la probabilità che uno o più paesi non solo facciano default ma lascino l'euro. Uno scenario con più
uscite avrebbe impatti negativi" sul rating dei paesi dell'area euro e dell'Unione Europa.
Da La Repubblica. Federico Rampini. “Che la Bce intervenga a offrire liquidità illimitata, per garantire le banche europee più fragili, onde evitare un crac che sarebbe «una bancarotta Lehman all`ennesima potenza». Una raccomandazione che oggi Barack Obama intende consegnare ai rappresentanti dell`Unione europea giunti a Washington. Lo farà con discrezione, per rispetto dell`autonomia della banca centrale. Ma difficilmente l`eurozona otterrà nuovi aiuti dal Fondo monetario internazionale (di cui gli Stati Uniti sono l`azionista di maggioranza relativa) se non cambia qualcosa nel ruolo della Bce. Arginare il credit crunch, lo schiacciamento del credito bancario, per Obama è una priorità da perseguire con la massima urgenza. Lui ricorda bene il pericolo scampato nel 2008 in America: fu il suo battesimo di fuoco, quella bancarotta Lehman, in seguito alla quale le banche smisero di farsi credito tra loro, rischiando così di asfissiare l`economia reale. Obama era ancora un semplice candidato alla Casa Bianca quando si prese la responsabilità di appoggiare il piano Paulson, 700 miliardi di dollari per creare un cordone sanitario attorno alle banche. Ora è convinto che i leader europei devono osare altrettanto. Lo farà capire stamane a Herman van Rompuy e Jose Barroso, accogliendoli alla Casa Bianca per il vertice annuo UsaUe. Userà i suoi due ospiti come "messaggeri", perché riferiscano a chi di dovere: Angela Merkel, l`unica che può sbloccare l`impasse europea. Obama teme che la Merkel e gli altri leader non abbiano ancora colto tutta la gravità della situazione, ha l`impressione che sottovalutino la velocità con cui una crisi di sfiducia dei mercati può precipitare verso esiti irrimediabili. Gli eventi delle due ultime settimane lo hanno allarmato. Obama aveva salutato - dal vertice Apec di Honolulu, il 12 novembre- i «positivi sviluppi in Italia e in Grecia», l`avvento dei governi Monti e Papademos. La settimana scorsa ha osservato con costernazione le nuove convulsioni di sfiducia: i tassi record sui bond italiani e spagnoli, il downgrading del Belgio, i tremori che lambiscono Austria, Francia, la stessa Germania. I progetti di Europa a due velocità, revisioni dei trattati, sanzioni fiscali automatiche sui paesi indisciplinati, tutto questo a Washington appare irrilevante nell`immediato: le risposte vanno date subito, entro pochi giorni o al massimo settimane, non mesi o anni. Ora Obama ha un potere contrattuale per far leva sulla Merkel. E` proprio la Germania ad avere chiamato indirettamente in gioco il presidente americano. Venerdì a Berlino i tre ministri delle Finanze tedesco olandese e finlandese (guarda caso i tre paesi che la speculazione vede come candidati a una "mini-unione" dei forti) hanno firmato un comunicato congiunto per chiedere al Fmi di giocare un ruolo più importante nella costruzione della «muraglia anti-incendio» che deve impedire la disgregazione dell`euro. E` l`ammissione implicita che il fondo salva-Stati dell`eurozona (Efsf) non basta già più. Ma per mettere in campo la potenza di fuoco del Fmi è indispensabile il via libera degli Stati Uniti. Un passo non facile, in piena campagna elettorale: Ob ama dovrà spiegare ai suoi contribuenti perché l`America deve contribuire a finanziare il salvataggio dell`euro, mentre in casa propria è l`ora dei tagli di bilancio. Obama ha cominciato a preparare il terreno, dichiarando che «non ci sarà crescita negli Stati Uniti e nell`economia globale, finché l`eurozona non avrà risolto i suoi problemi». L`emergenza euro dunque tocca gli interessi vitali degli Stati Uniti, minacciando la ripresa. Ma cosa chiederebbe Washington agli europei, come contropartita per un via libera a nuovi aiuti del Fmi? Il ruolo della Bce è uno degli aspetti cruciali per Obama: nella banca centrale lui vede un possibile argine contro i default a catena che possono travolgere gli istituti di credito europei. Per vincere le resistenze tedesche, gli
americani agitano scenari da Apocalisse: i crac bancari porterebbero a una deflagrazione sistemica, una nuova paralisi dei mercati finanziari perfino peggiore di quella avvenuta nel 2008. L`intero commercio mondiale subirebbe un colpo durissimo. Non parliamo poi della disgregazione dell`euro: i grandi studi legali di New York e Londra hanno già cominciato a "simulare" il boom del contenzioso giuridico che si aprirebbe all`indomani dell`uscita di questo o quel paese, per stabilire come andrebbero convertiti tutti i contratti denominati in euro. Sarebbe la fine del mercato unico europeo, un ritorno delle restrizioni valutarie, un balzo indietro con effetti disastrosi per i maggiori partner commerciali dell`Europa, America e Cina. Ma non è solo di finanza che Obama vuol parlare con i rappresentanti Ue. Ha un messaggio che riguarda la crescita: non c`è risanamento possibile dei conti pubblici, se si ricade nella recessione. Quando l`economia decresce, l`unico valore che sale sono i debiti. La Casa Bianca addita l`esempio dell`Irlanda: virtuosa nell`applicare le ricette rigoriste dettate da Berlino e Bruxelles, ha visto la disoccupazione salire al 14%, e i tassi sui suoi bond sono tuttora all`8%, superiori a quelli italiani”.
Da La Stampa. Alberto Mattioli. “Un patto per ridisegnare l`Europa e tentare di salvarla dalle sabbie mobili finanziarie che la stanno inghiottendo. La novità è che il patto Merkel-Sarkozy per cambiare i trattati europei non è più solo tra Francia e Germania, ma c`è anche l`Italia. La notizia arriva all`indomani delle rivelazioni de La Stampa sul maxiprestito da 600 miliardi di dollari che il Fondo monetario internazionale sarebbe disposto ad offrire all`Italia in caso di necessità. Parigi, finora, aveva sempre parlato di consultazioni con Berlino per elaborare insieme la riforma dei trattati europei da presentare al vertice di Bruxelles del 9 dicembre. Ma Ieri, il ministro del Bilancio e portavoce del Governo francese, Valérie Pécresse, è andata in tivù per dire che il duetto franco-tedesco diventerà un terzetto con l`Italia. «Francia, Germania e Italia - ha promesso - vogliono essere il motore di un`Europa più integrata, più solida e con meccanismi virtuosi che impediscano che nessuno si possa esentare dal rispetto delle regole». Insomma, in programma c`è una nuova versione del patto di stabilità, con «vere sanzioni», minaccia Pécresse. Il ministro si è affrettata a precisare che «non si tratta di un patto a tre», quindi con l`esclusione di tutti gli altri, ma «un patto dei membri della zona euro per una nuova governance che dia finalmente fiducia». La conferma che la strada scelta è quella della riforma-lampo dei trattati è arrivata dall`Eliseo, che fa sapere che, benché «si debba esercitare più sorveglianza su Paesi come la Grecia», la Francia e la Germania non pensano «a dare poteri sovranazionali alla Commissione europea». Ieri è stata una domenica insolitamente attiva per l`ufficio stampa dell`Eliseo. Dopo le rivelazioni de La Stampa sul maxiprestito del Fmi, fonti della Presidenza si sono affrettate a ricordare che «se c`è un problema italiano, è il Schàuble: sì ai nuovi Trattati, niente eurobond Occhi puntati su Borse e l`asta dei Btp cuore dell`Eurozona che viene colpito». Quindi l`impegno dei dirigenti francesi e tedeschi per sostenere Mania è «molto forte». Secondo l`Eliseo, «spetta all`Italia fare quello cui il Paese si è impegnato», leggi tagli e riforme per ridurre il debito pubblico, ma sugli impegni di Roma e sulla sua volontà di onorarli «nessuno ha dubbi».
Insomma regge il clima di fiducia che si è instaurato con il vertice a tre Sarkozy-Merkel-Monti di giovedì scorso a Strasburgo, quando l`italiano ha spiegato ai Merkozy cosa intende fare e in quanto tempo. Da Berlino, intanto, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schàuble, ribadendo il «nein» tedesco agli eurobond che, secondo lui, sono «dannosi». «Ogni Paese deve risolvere ora i suoi problemi - ha insistito Schàuble, fermo per
rassicurare un`opinione pubblica dubbiosa - e dobbiamo creare insieme istituzioni che possano assicurare la fiducia nell`euro. Tutto quello che distoglie da questo obiettivo è dannoso». Insomma, sì alla riforma dei trattati (che, assicura Schàuble, «è possibile senza dover convocare una Convenzione»), no alle obbligazioni europee, che sarebbero l`alibi per gli ultimi della classe per non fare i compiti. Appunto: ogni. Paese «faccia i compiti a casa», ha detto Schàuble. E` la stessa metafora già utilizzata da Monti a Strasburgo, a conferma che fra Parigi, Berlino e Roma non solo c`è accordo su cosa fare ma anche su come dirlo. Quanto ai tempi, ieri la «Weltam Sonntag» ha scritto che Parigi e Berlino presenteranno le loro proposte prossima settimana. E che la Bce potrebbe rafforzare l`acquisto dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. Stamattina la parola passa ai mercati. Gli occhi degli operatori sono puntati sulle Borse ma anche sulle aste dei titoli di Stato. È in programma un`asta di Btp per cinque miliardi di euro. E proprio oggi l`Abi sperimenterà il suo «Btp day»: le banche italiane non faranno pagare ai loro clienti le commissioni sull`acquisto delle obbligazioni del Tesoro”.
2. SETTIMANA DECISIVA PER MONDI. DOMANI I SOTTOSEGRETARI. POI L’ECOFIN. LUNEDI’ CINQUE LA MANOVRA. MA PRIMA SENTITA’ UNO PER I UNO I SEGRETARI DEI PARTITI. NO AI DUE TEMPI: INSIEME RISANAMENTO E RILANCIO.
Anche per l’Italia, per gli impegni interni, comincia una settimana decisiva. Martedì il governo completa il quadro dei sottosegretari. Poi Monti vola in Europa. Quindi il 5 dicembre le misure. Nei giorni oprecedenti incontrerà uno ad uno i segretari dei partiti. Da La Stampa. Tonia Matrobuoni. “Si apre una settimana cruciale per Mario Monti che già domani sera a Bruxelles incontrerà all`Ecofm i suoi omologhi europei nella veste di ministro dell`Economia. Il viaggio sarà l`occasione anche per capire cosa includere nel primo pacchetto di misure che .sarà approvato, come ha annunciato lui stesso, il 5 dicembre. A seconda se Bruxelles concederà a Roma 1`«attenuante» del ciclo avverso - secondo Fitch l`Italia è già in recessione - la cornice finanziaria della prima tornata di interventi potrebbe essere più o meno pesante. Ad appesantire il quadro il rapporto Ocse atteso per oggi sull`economia globale che, come anticipato dal vicesegretario generale Pier Carlo Padoan a questo giornale, parlerà di uno scenario in peggioramento sul versante economico e della disoccupazione e si eserciterà su umo scenario di crisi finanziaria grave in Europa - scenario che nell`ultima settimana sembra essere diventato estremamente realistico. I ministri, a Roma, continueranno nel frattempo a lavorare per individuare entro lunedì prossimo le misure più urgenti, nel rispetto della filosofia chiesta dall`ex Commissario europeo. Dopo il pacchetto di lunedì ne seguiranno altri con le riforme che avranno bisogno di più tempo per essere elaborati o che sortiranno effetti più lenti. Ma non verrà seguita la regola dei «due tempi», cioè prima il risanamento e poi la crescita: nella testa di Monti i decreti e i disegni di legge dovranno sempre essere bilanciati all`insegna della triade «crescita-risanamento-equità».
3. BERSANI INDICA LA RAD MAP DEL PD IN QUESTA CRISI. INTERVISTA A IL MESSAGGERO.
Da Il M Il governo di Parigi parla di un patto Francia-Germania-Italia per rafforzare la disciplina di bilancio. Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, si va verso un’Europa a due velocità? «Se si parla di un lavoro per la modifica dei trattati che renda più coerente il
patto a 17 (i Paesi della zona Euro), va bene. Tuttavia, intanto che si prepara una riforma dei trattati noi rischiamo la pelle. Stiamo vivendo una contraddizione micidiale: mentre discutiamo giustamente di una necessaria disciplina dei bilanci, noi non abbiamo una garanzia collettiva a tutela dell’Euro. Questo è il punto irrisolto. Deve essere affrontato con assoluta urgenza, lavorando (anche dentro gli statuti attuali) ad un ruolo della Banca centrale europea triangolato o con il Fondo monetario, soluzione non gradevolissima, o triangolato con la trasformazione del Fondo salva stati in una banca. Ma qualsiasi sia la tecnica, se stiamo solo alla disciplina di bilancio, rischiamo di arrivarci morti». C’è chi denuncia l’egoismo di Francia e Germania. Lei ha qualche rimprovero da fare a Sarkozy e Merkel?
«Purtroppo si è coltivata nelle opinioni pubbliche europee, in particolare sotto la spinta politico-elettorale della destra, l’idea che uno si salva da solo e che c’è una distinzione tra virtù e vizi per cui i vizi sono sempre quelli dell’altro. Tutto ciò, unito a un certo lassismo in diversi paesi, ha provocato una miscela esplosiva che ha portato all’impotenza il sistema. Manca lo scatto di orgoglio europeo. Se ci fosse, in poco tempo la fiducia tornerebbe. Non vedo nell’immediato la possibilità di questo scatto. Aspettiamo il precipizio e forse arriverà». In Italia c’è un nuovo governo e qualche critica a Monti è già arrivata, soprattutto sui tempi di azione di fronte alla crisi. «Il Pd sarebbe l’unico a poter tirare per la giacca Monti perché siamo i soli che diciamo da tre anni che il Paese va incontro a guai seri. Tanti di coloro che adesso si agitano, negli anni in cui si dormiva non hanno suonato la sveglia. Io sono per dare gli otto giorni a un governo che arriva, dopodiché i provvedimenti hanno una loro urgenza e devono essere incisivi. E non credo che le sollecitazioni che arrivano siano disinteressate. Quando sento dire che non basta Monti per risolvere la questione dello spread, vedo un segno di irresponsabilità. Di chi non ha capito quanto grave sia il problema». Le ricette per risolvere il problema. Si parla di Ici, Iva, meno tasse sul lavoro. E patrimoniale. Forse. «Il quadro è segnato dalla necessità di consolidare la manovra per il pareggio di bilancio. L’operazione da fare deve essere caratterizzata dall’equità e tener conto che è già un mese o due che siamo in recessione. Quindi serve una manovra che abbia il minimo impatto recessivo. Noi portiamo le nostre proposte: le risorse vanno cercate là dove c’è stato meno disturbo e quindi pensiamo a un’imposta sui grandi patrimoni immobiliari; un’azione credibile sul lato dell’evasione fiscale; siamo molto prudenti, invece, su provvedimenti che riguardino l’Iva perché l’Italia è un paese in cui l’effetto inflazionistico, anche quello di una piccola mossa sull’Iva, è rilevantissimo; lavoriamo poi a un pacchetto di proposte che riguardino da un lato risparmi sulla pubblica amministrazione e dall’altro le liberalizzazioni; riteniamo che per dare un minimo di sostegno alle attività in senso anti-recessivo bisogna lavorare sull’immediata partenza di piccole opere pubbliche e private, e dunque pensiamo a una limitata deroga al piano di stabilità dei Comuni».L’impostazione data da Elsa Fornero al dibattito sulla riforma delle pensioni va nella strada giusta? «Questa ministra ha mostrato grande competenza e serietà. E’ positivo che parli di equità perché non possono esserci dentro il sistema delle situazioni di privilegio o di mancato rapporto tra versamenti e prestazioni. E vale per tutti, a cominciare dalla politica e dai vitalizi dei parlamentari. Ha ragione Fornero, si tratta di una riforma da accelerare più che da rifondare. A noi interessa che dentro il sistema del welfare, quel che si risparmia venga orientato non a chiudere dei buchi di bilancio, ma a dare una prospettiva alle nuove generazioni». Lavoro e welfare. L’accordo tra Fiat e sindacati a Termini Imerese è un buon risultato? «E’ una bella novità rispetto al recente passato.
C’è qualcuno che chiama i protagonisti e vede di trovare una soluzione. Bene ha fatto Fornero, comunque, a richiamare Fiat a chiarire meglio qual è il suo impegno nazionale. Mi auguro che il governo sia finalmente in condizione di chiamare il Lingotto a discutere del piano industriale». Berlusconi apre la campagna elettorale. Un Pdl che oscilla tra appoggio a Monti e attacchi a Monti è un pericolo per la tenuta del governo? «Certo non è una medicina. Ma l’asse fondamentale del mio partito è l’Italia, e dunque mi rifiuto di mettere nel mirino Berlusconi. Dica quel che vuole, se ritiene che sia il momento di cominciare la campagna elettorale, è un lavoro che farà da solo. Io non lo faccio. Punto e basta». Casini sostiene che sull’appoggio a Monti si ridefiniscono le alleanze future. I vostri alleati Di Pietro e Vendola sono piuttosto critici. La foto di Vasto esiste ancora? «Vorrei dire che tutti hanno guardato la foto di Vasto ma nessuno ha ascoltato il sonoro. Io ho parlato di alleanza dei moderati e dei progressisti. Certamente il passaggio Monti non è irrilevante per le prospettive politiche. Non c’è un tavolo di maggioranza, noi andiamo quando Monti chiama, ma questa fase dà anche la misura del senso di responsabilità verso il Paese che ognuno si prende. Il mio orizzonte resta una alleanza di legislatura tra moderati e progressisti per una decina di riforme sulla democrazia e sul sociale. Perché non basterà la transizione. Dopo questi 15 anni bisogna riformulare una prospettiva per il Paese. Io vedo positivamente quel che dice Casini, ma non posso ignorare le posizioni di Vendola, che non ostacolano affatto un passaggio delicato come questo. Anche io misurerò tutti quanti dall’assunzione di responsabilità che ci sarà. Chi vuol salvarsi da solo sbaglia strada». Il Pd ha qualche problema interno, con i Liberal che chiedono le dimissioni del responsabile economico Fassina. «C’è uno sport a descrivere sempre il Pd come imbarazzato e diviso, senza accettare il fatto che noi discutiamo all’aria aperta. Però dico questo: si leggono le posizioni di Fassina (più che di Fassina sono le posizioni deliberate dalle nostre assemblee) come tesi di una sinistra impotabile, mentre si tratta di idee liberali discusse ovunque: il fatto che le sole misure di rigore e di austerità non accompagnate da politiche di equità e di crescita ci portino contro un muro, è teoria condivisa da tutti i liberal del mondo. Noi non facciamo una politica laburista, ma sociale e liberale». Si torna a parlare di un congresso del Pd in primavera. «Se si fa il congresso dovrei saperlo, non trova? Non mi risulta. In ogni caso queste voci non sono da attribuire a un disagio. Semmai sono voci che richiamano la possibilità di investire ulteriormente sui risultati che stiamo incassando in termini di consenso. A queste buone intenzioni rispondo così: prima di tutto l’Italia, noi veniamo dopo». Due temi nell’agenda del Parlamento. Torna attuale la riforma elettorale e voi rilanciate la legge sulla cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia. Ce la farete? «La riforma elettorale è importantissima. C’è la possibilità di lavorare a una legge che preservi il bipolarismo e che eviti la nomina dei parlamentari. Quanto alla cittadinanza, il tema è anche politico. La Lega è all’opposizione? Benissimo, vogliamo ancora farci ricattare dal Carroccio? No, basta. Adesso andiamo in Europa non solo con gli spread ma anche con qualche minimo segno di civiltà. Per me questo è un punto abbastanza dirimente». Il Pd farà le primarie per il segretario del Lazio a febbraio. Siete arrivati alla conclusione di un percorso complicato. E tra un anno e mezzo si vota a Roma. Zingaretti sarebbe un buon sindaco? «Intanto chiarisco che non ci sarà nessuna interferenza dei quadri nazionali del partito. Raccomando che tutto si svolga con sobrietà e che si dia luogo a un confronto democratico. Sul secondo punto, devono decidere i romani. Per me Zingaretti è un amministratore ottimo, una personalità notevole, fra le migliori che abbiamo».
4. DURBAN, ULTIMA CHANCE PER FRENARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO? I PAESI DELLA TERRA DISCUTONO IL DOPO KYOTO.
Da La Stampa. Roberto giiovannini. “A Copenhagen, nel 2009, è stata la grande speranza fallita. Cancun, nel 2010, la precaria ripresa del negoziato. Da oggi, a Durban nel Sudafrica, comincia la Cop 17, la conferenza organizzata dall`Onu sul cambiamento climatico. Parteciperanno delegazioni di tutti il mondo, e certamente ascolteremo ispirate parole sulla necessità di arrestare il processo di riscaldamento globale del nostro pianeta, fenomeno che ormai la scienza (escluse minuscole frange negazioniste) considera reale e pericoloso. Eppure, sarà molto difficile, forse impossibile far sì che dal negoziato possa scaturire un accordo serio ed efficace in grado di fronteggiare il «climate change». Troppi i veti incrociati tra le potenze vecchie ed emergenti; troppi gli interessi in gioco; troppo indeboliti dalla crisi economica e finanziaria internazionale i leader politici. I termini scientifici della questione non sono in discussione. Già oggi la temperatura globale è aumentata di 0,8 gradi centigradi rispetto all`era preindustriale; andare oltre i 2 gradi può provocare conseguenze disastrose, anche se i modelli matematici di previsione non concordano sulla loro entità. Già oggi la concentrazione di CO2 nell`atmosfera tocca le 390 parti per milione; dovremmo fermarci a 350 per limitare l`aumento al di sotto dei 2 gradi. Molti Paesi industrializzati stanno adottando misure per limitare le emissioni dei gas serra, ma Paesi come la Cina, l`India e il Brasile continuano a segnare incrementi notevoli. Di questo passo raggiungeremo la soglia di 450 parti per milione di CO2 prima del 2020. A meno che la diffusione dell`economia e della tecnologia «verde» (che pure è in atto), veda una fortissima (quanto auspicabile) accelerazione. È un fatto anche che il riscaldamento globale stia già oggi producendo conseguenze pericolose, sotto forma di maggiore «disastrosità» degli eventi meteo estremi. Ne parlano ormai apertamente gli esperti che hanno esaminato le recenti alluvioni in Liguria, Toscana e Sicilia, con volumi di precipitazioni mai registrati nel passato. Come mostra il recente rapporto sugli «eventi estremi» dell`Ipcc (gli esperti Onu che studiano il cambiamento climatico) se non agiamo ci aspetta un futuro in cui la frequenza di giorni caldi sarà fino a 10 volte superiore, con precipitazioni intense e venti più veloci. Cambiamenti che mettono a repentaglio le popolazioni più povere, e che modificano anche le geografie delle produzioni di alimenti, con più inondazioni e più siccità. Sono quattro i temi principali su cui discuteranno i delegati a Durban. Il primo è il futuro del Protocollo di Kyoto, che è l`unico trattato vincolante per la riduzione dei gas serra in vigore, e riguarda i paesi industrializzati ma non gli Usa. È destinato a scadere nel 2012, andrebbe prolungato; ma il Giappone, l`Australia, il Canada e forse anche l`Europa non vogliono farsi carico di sacrifici se gli Stati Uniti e i paesi emergenti non prenderanno impegni analoghi. Il secondo è un accordo globale che in qualche modo stabilisca impegni vincolanti per tutti i paesi; obiettivo difficile, visto che i paesi in via di sviluppo chiedono il riconoscimento della «responsabilità storica» dei paesi industrializzati. Gli «sherpa» ipotizzano che se ne possa parlare solo dal 2016. Il terzo tema - su cui invece si spera in risultati positivi - è quello della «finanza verde». A Copenhagen prima e poi a Cancun si decise di varare un «Fondo Verde» di 100 miliardi di dollari per finanziare l`adattamento al cambiamento climatico e i trasferimenti di tecnologie «verdi». Qui bisognerà decidere come gestirlo e soprattutto come alimentarlo: ad esempio, con tasse sui trasporti aerei o marittimi, sui comparti economici più generatori di gas serra, o sulle transazioni finanziarie. Infine, punto quattro, si cercheranno progressi sulle
misure di adattamento e sulla difesa delle foreste, grandi e preziosi polmoni del pianeta. E se l`Europa e gli Stati Uniti sono alle prese con difficoltà economiche e carenza di risorse, tutti gli occhi sono puntati sulla Cina, ormai il primo paese del mondo per volume di emissioni. Pechino rifiuta di prendere impegni precisi per la riduzione delle emissioni, ma sembra intenzionata ad annunciare unilateralmente un megapiano per tagliarle in modo drastico e massiccio. Potrebbe essere un esempio per tutti”.
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