25 gennaio 2013

Il panorama dell'estrema destra europea. Populismi e destre estreme a est e a ovest. Di Saverio Ferrari.


L'autore di questo pezzo è il sig. Saverio Ferrari relatore ieri sera a Sulbiate della serata organizzata in occasione del Giorno della Memoria 2013.




In Europa Populismo, nazionalismo, estremismo di destra e neonazismo, per quanto continuino a rappresentare fenomeni specifici e distinti, tendono sempre più ad accavallarsi e sovrapporsi, mescolandosi
l’uno nell’altro.Lo studioso francese Pierre Milza, docente di storia contemporanea all’Institut d’études politique di Parigi, in un lungo e articolato lavoro di scavo sull’estrema destra di qualche anno fa, ha sostenuto come il «pericolo principale che minaccia le nostre democrazie liberali», sia attualmente
rappresentato dalle destre nazional-populiste. «Numerosi di loro», ha teso a puntualizzare,
Saverio Ferrari
riferendosi in particolare ai leader, «vengono da movimenti neofascisti e neonazionalisti del secondo dopoguerra», e mirano «a far entrare
nella testa delle popolazioni delle idee già veicolate più di un secolo fa», dalla «criminalizzazione dell’immigrato all’arroccamento sull’identità, declinate etnicamente o culturalmente». Un fenomeno politico
- ha concluso - «che per ampiezza sorpassa di gran lunga gli occasionali sfondamenti dell’ultradestra dopo il naufragio della coalizione hitleriana» 1. Il panorama, in questi ultimi anni si è ulteriormente aggravato, con un dato: l’onda è cresciuta trasversalmente da Est a Ovest.





DENTRO E SUI CONFINI DELL’UNIONE EUROPEA
Le ultime elezioni europee, nel giugno 2009, hanno fotografato la forte crescita delle destre populiste
e radicali.
In Inghilterra il British national party, apertamente fascista, ha raggiunto il 6,2%, eleggendo per la
prima volta nella sua storia due deputati; in Olanda, la formazione ferocemente anti-islamica di Geert
Wilders, il Partito per la libertà (Pvv), ha raggiunto il 17%; in Austria i due gruppi anti-immigrati, il Par -
tito della libertà dell’Austria (Fpo) e l’Alleanza per l’avvenire dell’Austria (Bzo), hanno totalizzato complessivamente
più del 17%. In Belgio il Vlaams belang (Interesse fiammingo) ha raggiunto il 10,9%, in
Danimarca il Dansk folkeparti (Partito del popolo) il 14,8%, in Grecia i razzisti del Laos (acronimo di
Unione popolare ortodossa) il 7,2%, mentre il Francia il Front national di Le Pen si è attestato al 6,3%,
per poi schizzare al 10% nelle regionali del 2010. In Svezia, Sverigedemokraterna (Democrazia svedese)
è passata dal 3,3% delle europee al 5,7% delle politiche del settembre 2010.
Fuori dai confini dell’Unione europea, nella vicina Svizzera, nelle legislative del 2007 il vecchio partito
agrario dell’Unione democratica di centro ha raccolto il 28,9%, flettendo solo di qualche punto nel
2011 (25,9%). Un successo analogo a quello raggiunto all’estremo nord del continente, in Norvegia, dal
Partito del progresso (Fremskrittspartiet), che nelle elezioni del settembre 2009 è cresciuto di oltre sette
punti, fermandosi al 22,1% dei voti.
La situazione non migliora guardando a Est. L’ungherese Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore),
ultranazionalista, antirom e antisemita, prima ha conquistato il 14,8% nelle elezioni per il Parlamento
europeo, poi il 16,7% in quelle politiche, dietro ai conservatori del Fidesz (Alleanza dei giovani
democratici-Unione civica ungherese), che hanno eletto con il 52% Viktor Orban, il loro leader, alla
guida del governo; in Romania il Partito della grande Romania (che ha in odio gli ungheresi della Transilvania
e ambirebbe a inglobare la Moldova) si è fermato all’8,6%; in Bulgaria Ataka (Attacco unione
nazionale), ostile alla minoranza turca e contrario all’ingresso nella Nato e nella Ue, all’11,96%; in Slovacchia
il Partito nazionale (Sns), che addebita agli ungheresi la responsabilità di una dominazione durata
150 anni, al 5,56%.
In un’inchiesta, apparsa nel gennaio 2011 su «Le Monde diplomatique», curata dallo storico e
giornalista Dominique Vidal, si faceva rilevare come dal 2009, comprendendo anche le consultazioni
elettorali successive alle europee, le formazioni della destra populista e razzista avessero totalizzato più
del 10% dei consensi in ben 11 stati: Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Ungheria, Italia, Li-
1tuania, Norvegia, Olanda e Svizzera2.

IL NEMICO ESTERNO
Le situazioni, da paese a paese, sono spesso molto diverse. Diversa anche l’incidenza della crisi
economica sulle realtà nazionali. Simile, invece, la scelta da parte dei partiti o movimenti qui citati di
scagliarsi, in primo luogo, contro un nemico esterno, di volta in volta identificato nei rom, nei gay, negli
ebrei, nei musulmani o negli stranieri in genere. Un’“invasione” contro la quale riscoprire e rilanciare
presunti valori patriottici attraverso un acceso nazionalismo o velleità separatiste. Un unico fenomeno
con mille sfaccettature.
I processi di globalizzazione hanno accompagnato l’ascesa di queste tendenze, già presenti in nuce da
alcuni decenni sotto forma di piccole o ininfluenti formazioni politiche. La comparsa in Europa dei primi
partiti della destra populista data infatti fin dagli anni Settanta: il Front national di Le Pen in Francia
(1972), il Partito del progresso in Norvegia (1973) o il Vlaams blok in Belgio (1978).
La loro progressione, prima lenta poi accelerata, è avvenuta in un quadro che è andato rapidamente
trasformandosi, segnato da nuovi rapporti economici e finanziari come da profondi cambiamenti tecnologici,
con l’introduzione di un’instabilità generale, di insicurezza e paura. Ampi sono stati i settori
che si sono ritrovati scoperti di fronte alla nuova realtà sociale.
Alcuni mutamenti epocali, come il crollo dell’Unione sovietica, le migrazioni dall’Africa, dall’Asia e
dall’Europa orientale, l’11 settembre 2001, le catastrofi ecologiche, hanno a loro volta consentito di far
incrociare e legare fra loro sentimenti nazionalistici e razzisti, in un quadro politico europeo segnato
dalla crisi dei tradizionali partiti e il manifestarsi di una forte mobilità elettorale calamitata in maniera significativa
da chi garantiva, di fronte al caos, soluzioni come la chiusura delle frontiere e la riappropriazione
del territorio. In molti paesi a far da collante anche il senso di rabbia per una grandezza venuta
meno.
Tanti e diversi, in conclusione, i populismi, ma sempre tutti nati in contrapposizione ai governi e alle
autorità esistenti.

LO SPOSTAMENTO A DESTRA DEI PARTITI CONSERVATORI
In questo contesto, a partire dalla metà degli anni Ottanta, si è anche prodotto il progressivo
spostamento a destra dei partiti aderenti al Ppe, ovvero al Partito popolare europeo-Federazione dei
partiti cristiano democratici, formazione transnazionale nata nel 1976 sulla base del Gruppo democrati -
co cristiano al Parlamento europeo. L’originaria matrice cristiano democratica fu messa in discussione,
prima con l’ingresso nel 1983 di Nuova democrazia (Nea demokratia), partito greco ultraconservatore,
e qualche anno dopo, nell’aprile 1991, con l’apertura formale del Ppe ai conservatori britannici (Conservative
party) e danesi (Konservative folkeparti). Seguì, tra il 1992 e il 1993, l’ingresso dei conservatori
svedesi del Moderata samling e dei finlandesi del Kansallinen kokoomus.
Già intorno al 1993, il processo di trasformazione del Ppe, poteva dirsi avviato.
Nel 1994 avrebbe dovuto entrarvi il partito italiano vincitore delle elezioni politiche in quello stesso
anno, cioé Forza Italia. Dopo un iniziale rifiuto da parte del Ppe, a causa degli accordi politici ed eletto -
rali con Alleanza nazionale, dati i trascorsi neofascisti di questo partito, i suoi deputati vennero accolti
nel giugno 1998 all’interno del gruppo parlamentare europeo. L’ammissione ufficiale al Ppe si concre -
tizzerà definitivamente nel dicembre 1999, nonostante l’opposizione del Partito popolare italiano e di
altre formazioni democristiane (belghe, olandesi, lussemburghesi, irlandesi, greche, catalane e basche),
costituitesi in un raggruppamento interno allo stesso Ppe denominato “Gruppo di azione Atene”.
Grazie infine alla nascita del Popolo della libertà nel 2009 (partito subito ammesso nel Ppe), a segui -
to della fusione di Forza Italia e Alleanza nazionale, anche alcune vecchie figure della storia del neofascismo
italiano, un tempo appartenute all’Msi e poi ad An, entrarono a far parte della famiglia popolare
europea.
Il Ppe, il maggior partito rappresentato in ciascuna delle istituzione dell’Unione europea (Commis-
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sione, Consiglio e Parlamento), a conclusione di questo percorso si presenta oggi con un assetto forte -
mente sbilanciato a destra. Si pensi alla presenza al suo interno del Fidesz ungherese, guidato dal pre -
mier Viktor Orban, nominato nel 2009 alla vicepresidenza dello stesso Ppe.

TRE MODELLI: IL FRONT NATIONAL, LA LEGA NORD E IL PARTITO PER LA LIBERTÀ
Il Front national in Francia, La Lega nord in Italia e il Partito per la libertà in Olanda rappresentano
oggi tre diverse facce del variegato universo delle destre populiste e radicali europee.
Il Front national, una delle maggiori e più longeve formazioni presenti sul continente, si costituì
nel 1972 prendendo a proprio esempio il Movimento sociale italiano, adottando addirittura in suo onore
lo stesso simbolo (una fiamma tricolore con i colori della bandiera francese al posto di quella
italiana). Il suo nucleo fondante, costituito dal gruppo filonazista di Ordre nouveau, si identificò nell’immediato
con il primo gruppo dirigente. Ben quattro membri della segreteria su cinque, non a caso,
provenivano dal governo collaborazionista di Vichy.
Punto di raccolta di tutte le anime più estreme della destra francese, dai tradizionalisti agli integralisti
cattolici, dai nostalgici agli antisemiti, il Fn si è sempre caratterizzato per il suo forte nazionalismo.
Sfruttando il malcontento indotto dalle profonde trasformazioni della società transalpina, ha costruito
le sue fortune elettorali accusando l’immigrazione di tutti i mali, dall’aumento della disoccupazione e
della precarietà lavorativa alla crescita della criminalità. Sua la parola d’ordine “Prima i francesi” per l’accesso
al lavoro e ai servizi. Da qui anche la difesa dell’identità e dell’indipendenza in campo internazionale,
con il rifiuto dell’Unione europea.
Il suo massimo risultato fu raggiunto nelle presidenziali del 2002, con il 17,79% dei voti. Nell’occasione,
il suo presidente Jean-Marie Le Pen, scavalcando il candidato dei socialisti, arrivò al ballottaggio
con Chirac.
I toni, con il recente passaggio della leadership del Fronte da Jean-Marie Le Pen alla figlia Marine, si
sono fatti più moderati, continuando comunque a esprimere posizioni assai nette riguardo l’uscita della
Francia dalla Nato e dall’euro. La strategia sembra ora essere rivolta, anche in vista delle presidenziali di
aprile, alla conquista di maggiori quote di consenso presso i giovani (dove già nel 2002 il Fn era il primo
partito), gli impiegati e gli operai delle periferie. L’iniziativa del Fn si concentra soprattutto nelle zone
urbane e nei grandi agglomerati, un tempo terreno delle sinistre, presso le classi medie e il proletariato,
attaccando i politicanti, la mondializzazione e gli immigrati, accaparratori di lavoro e responsabili del -
l’insicurezza e del degrado.
Differente in Italia il caso della Lega, il più vecchio partito della cosiddetta seconda Repubblica (oltre
venticinque anni di vita a partire dalle origini, quando si chiamava Lega lombarda), da collocare, invece,
nel solco di coloro che si sono costituti ex novo, non derivando da precedenti esperienze.
Due i passaggi cruciali nel suo percorso evolutivo. Il primo, alla fine degli anni Ottanta, con la deci -
sione di puntare più che sulle iniziali ipotesi di federalismo etnocentrico sul federalismo socioeconomico,
relegando anche i dialetti in secondo piano come possibili elementi di divisione politica e non di forza.
Da questa stessa impostazione la nascita, nel 1991, della Lega nord come federazione di più soggetti
(dalla Lega lombarda alla Liga veneta, da Piemont autonomista all’Union ligure e ad altri movimenti). Su
queste basi anche lo sviluppo successivo, pur con diverse oscillazioni, tra improbabili parlamenti del
nord e spinte secessioniste (come nel 1996), sempre comunque nell’orizzonte di un progetto di tipo indipendentista.
Il secondo passaggio si consumò nel marzo 2002, ad Assago, al quarto congresso, quando la Lega
virò decisamente nella direzione di una nuova identità, schierandosi a difesa della «razza padana» e, in
nome dell’«opposizione alla società multirazziale», contro «l’invasione extracomunitaria», individuata
come causa della «corruzione dei costumi e delle tradizioni», nonché veicolo di «criminalità» e «malattie
».
Nel suo intervento conclusivo Umberto Bossi parlò apertamente dell’immigrazione come di una «invasione
programmata per scardinare la società» paragonandola a «un’orda» in grado di «sommergere
l’occidente decadente». Si assunsero nuovi riferimenti, pescando nelle teorie di Alain de Benoist sul
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“differenzialismo etnico”, e si abbandonarono, unitamente a un certo rozzo anticlericalismo, alcune originarie
ritualità neopagane.
La Lega in questa fase assunse tutti i tratti (analisi, contenuti, linguaggi) tipici delle destre radicali, arrivando
a condividere con esse anche una certa visione cospirativa della storia, intesa sempre come il risultato
di manovre e intrighi oscuri. Si scagliò contro l’Illuminismo, il Risorgimento (addebitato alle logge
massoniche) e la Rivoluzione francese con il suo portato di diritti formali di uguaglianza. Tutto ciò
senza il corredo di riferimenti al passato regime fascista, anche se con alcune evidenti concessioni, in
particolare sul piano delle simbologie.
Negli anni successivi, tra il giugno 2002 e il dicembre 2003, la Lega sviluppò rapporti intensi con le
realtà dell’estrema destra, in particolare con Forza nuova. Numerose le iniziative, con convegni e comizi
in comune. Il 2 aprile 2004 l’Osservatorio europeo dei fenomeni razzisti e xenofobi (Eumc), un organismo
costituitosi nel 1997 nell’ambito del Parlamento europeo, non a caso la incluse nello stesso gruppo
ideologico delle forze di estrema destra.
Ciò che va certamente colto nella Lega è il senso di marcia di destra, xenofobo e razzista, incentrato
sul falso mito della Padania. Un mito totalmente inventato, basato su nessuna vera nazionalità, che si al -
larga o si restringe a seconda dei successi elettorali della stessa Lega. Un mito in cui Partito e Nazione
tendono a coincidere.
In questo modo si sono artatamente posti i confini di una comunità che si vorrebbe mossa da comuni
interessi, a prescindere da ogni divisione sociale e di classe, in lotta contro l’oppressione centralista.
Nello stesso ambito l’esaltazione delle presunte virtù della sua popolazione autoctona, in particolare la
laboriosità e l’onestà, spesso incarnata dai piccoli produttori.
Da questa costruzione mitica sono poi discesi atti concreti, in una spirale tesa a salvaguardare i “padani”
da ogni tipo di contaminazione, razziale e sociale, ovvero: la politica di allontanamento degli immigrati,
anche comunitari; le impronte da prendere ai bimbi rom; i respingimenti in mare, la sistematica
persecuzione dei poveri (le proposte di rimpatrio per chi non ha reddito e dimore adeguate, ma anche
misure odiose contro l’accattonaggio). Nelle zone amministrate dalla Lega il tentativo è stato ed è quello
di instaurare un vero e proprio regime d’apartheid: dall’obbligo per i non residenti di esibire il certifica -
to penale, alle borse di studio e ai bonus bebè per i soli cittadini italiani, all’esclusione in generale degli
stranieri dai contributi sociali. Una sorta di welfare differenzialista.
Di segno diverso l’esperienza in Olanda del Partito per la libertà (Pvv), guidato da Geert Wilders,
ex membro del Partito liberale, che ha animato una destra populista e nazionalista, che concentra il
suo sforzo massimo contro l’Islam e l’incapacità – a suo dire – dei musulmani di integrarsi, ma con accenti
progressisti sul piano sociale. Geert Wilders rivendica apertamente l’eredità di Pim Fortuyn, balzato
nel 2001 alle cronache come leader politico xenofobo e islamofobico, omosessuale dichiarato, as -
sassinato nel maggio 2002 alla vigilia delle elezioni politiche, che nel proprio programma si pronunciava
a favore dell’eutanasia, dei matrimoni omosessuali e per la liberalizzazione delle droghe. Salito agli onori
delle cronache per aver realizzato nel 2008 un film anti-Corano, Wilders è anche finito sotto processo
per incitamento all’odio razziale. Una realtà per molti versi non assimilabile a molti altri movimenti dell’estrema
destra europea.

NAZIONALISTI, ETNOREGIONALISTI E ISLAMOFOBICI
Se il nazionalismo rappresenta un tratto distintivo della gran parte delle formazioni di estrema
destra, da Ovest a Est, si pensi alle compagini bulgare, ungheresi, rumene, russe o a quelle della ex Jugoslavia,
tutte tese alla realizzazione di un “grande Stato” senza la presenza al suo interno di minoranze
etniche (e perché no degli ebrei), diverso il modello leghista che potremmo includere nell’area degli etnoregionalisti.
All’interno di questa stessa famiglia, insieme alla Lega, vanno certamente annoverati sia i
belgi del Vlaams belang sia gli svizzeri dell’Unione democratica di centro.
Il Vlaams belang fu fondato nel 2004 come diretta continuazione del Vlaams blok (Blocco fiammingo),
costituitosi nel 1978, dopo il suo autoscioglimento a causa di una condanna per razzismo e xenofobia
emessa dalla Corte di cassazione belga. Suo lo slogan “Belgie barst” (Belgio crepa). Nel 2007 il
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Vlaams belang ha ottenuto il 21% dei voti nelle Fiandre (pari al 12% su scala nazionale), divenendo il
primo partito operaio fiammingo. Nel suo programma, marcatamente regionalista e assai critico verso
l’Unione europea, l’obiettivo principale è rappresentato dall’indipendenza delle Fiandre.
L’Unione democratica di centro, fondata in Svizzera nel 1971, sotto la guida di Christoph Blocher,
ha invece assunto posizioni sempre più radicali a partire dalla fine degli anni Settanta, collocandosi
su un versante apertamente xenofobo, prendendo di mira immigrati e rifugiati.
L’Udc è oggi il primo partito svizzero, con il 25,9% dei voti conquistati nel 2011, nell’elezione del
Consiglio nazionale (la Camera bassa del parlamento). Dopo essere riuscito a far approvare, tramite referendum,
nel 2006 (con quasi il 70% dei suffragi), due nuove leggi che restringono fortemente il diritto
d’asilo e d’immigrazione, e nel 2009 il divieto alla costruzione di nuovi minareti (con il 58% dei consensi),
continua a schierarsi contro l’ingresso della Svizzera nell’Onu e l’adesione all’Unione europea.
Affine, invece, per molti versi all’esperienza del Partito per la libertà olandese, va considerata la
galassia dei partiti del Nord Europa che non punta ad attaccare i diritti individuali ma la politica di gestione
del welfare, ponendo al primo posto la tutela degli autoctoni. In Danimarca, questa famiglia del
populismo europeo è senza dubbio rappresentata dal Partito del popolo (12,3% alle politiche del 2011),
in Norvegia dal Partito del progresso, nato come movimento di protesta antitasse, in Svezia da Democrazia
svedese (le cui radici affondavano però nel neofascismo prima della svolta moderata attuata verso
la fine degli anni Novanta) e in Finlandia dal Partito dei veri finlandesi (al 19% nel 2011). Comune a tut -
te queste formazioni il rifiuto della società multiculturale, una forte islamofobia e un accentuato odio
nei confronti degli immigrati, la difesa dell’identità nazionale e l’opposizione all’Ue. Un populismo che
potremmo definire più di “prosperità” che di crisi.

LA DERIVA UNGHERESE
Per l’Ungheria non è azzardato parlare oggi di pericolosa deriva autoritaria, se non di incipiente
processo di fascistizzazione.
Da quando, nell’aprile 2010, il premier nazionalconservatore Viktor Orban e il suo partito il Fidesz
sono arrivati al governo del Paese, in una progressiva escalation è stata prima varata una nuova costituzione
che ha cancellato ogni riferimento alla repubblica, sostituita da espliciti richiami religiosi, poi approvate
leggi liberticide con l’intento di sottomettere la magistratura, la produzione artistica, l’insegna -
mento universitario e la stampa al controllo del governo (con relativa epurazione dei dipendenti della
radio e della televisione di Stato e chiusura delle emittenti di opposizione). Nella stessa carta costituzionale
si sono etichettati i partiti comunisti e i loro successori come «organizzazioni criminali». Si è anche
stabilito, sempre per legge, che l’embrione è un essere umano sin dall’inizio della gravidanza. Non solo,
che i matrimoni possono aver luogo solo tra un uomo e una donna.
È stato anche introdotto «il lavoro utile obbligatorio» (koezmunka) per i disoccupati, in stragrande
maggioranza di etnia rom, costretti per non perdere i minimi sussidi di povertà a prestare lavoro ma -
nuale, otto ore al giorno, con indosso magliette di riconoscimento, a favore dello Stato. Un progetto che
potrebbe arrivare a coinvolgere fino a 300mila persone in tutta l’Ungheria.
Da rilevare, in questo contesto, la forte crescita, anche elettorale (il 16,7% alle ultime politiche) del
Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik), proveniente da circoli radicali preesistenti, divenuto partito
nel 2003, che ha dato vita a veri e propri gruppi paramilitari (come la Guardia Magiara, Magyar
Gàrda), protagonisti di marce di intimidazione nonché di diversi episodi di pogrom contro i rom. Di impronta
antisemita, come tutta l’estrema destra ungherese, dal Partito della giustizia e della vita, fondato
nel 1993 (conquistò nel 1998 il 5,5% alle elezioni politiche, entrando nella coalizione di governo), al
Movimento degli ungaristi, il cui leader, Albert Szabo fu condannato nel 1997 per aver definito l’olocausto
«un bluff ebreo», Jobbik, formalmente all’opposizione, dichiara di battersi contro le «congiure
massoniche e sioniste», ispirandosi alle Croci frecciate, ossia alle milizie di Ferenc Szalasi, salito al potere
nel 1944 sotto l’egida degli occupanti nazisti.
Emblematica della situazione ungherese i funerali, nel settembre scorso, di Sandor Kepiro, ex ufficiale
della Csendorség (la Gendarmeria al tempo della dittatura di Horthy), accusato dal Centro Simon
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Wiesenthal della strage di Novi Sad, nell’allora Jugoslavia occupata dall’Asse, dell’uccisione di almeno
1200 tra ebrei e sospetti partigiani. A dargli l’ultimo saluto 500 persone. Tra loro veterani della Gendar -
meria, giovani con l’uniforme nera della Magyar Gàrda, ma anche alcuni deputati. Il tutto con grandi
onori, in forma pubblica.

L’EX BLOCCO SOVIETICO
All’Est la svolta si ebbe negli anni Novanta, a seguito della caduta del Muro di Berlino.
Ciò che va sottolineato in quest’area geografica è il fatto che le destre radicali e populiste traggano
alcuni dei loro caratteri peculiari dal passato pre-sovietico. Nel ventre dei recenti nazionalismi si sono
sviluppate reazioni covate per decenni contro l’imperialismo russo o nei confronti di precedenti dominazioni
(tartare e islamiche) come è avvenuto in Polonia, Slovacchia e Romania.
Diverso il caso russo, dove nel recupero, spesso mitologico, di un antico passato, ci si è dati riferimenti
provenienti non solo dalla lontana epoca di Pietro il Grande, ma più recentemente anche da quella
staliniana, valutata positivamente in termini di grandezza imperiale e militare3.
Si pensi all’identità del principale partito populista russo, il Partito liberal democtratico (Pld), fondato
nel 1990 da Vladimir Zhirinovskij, caratterizzatosi, a onta del nome, per il suo profilo ultranazionalista e
razzista. Pur avendo più volte elogiato Adolf Hitler, il Pld auspica, infatti, un ritorno all’Urss, con tanto
di riannessione delle repubbliche sovietiche e abolizione del sistema federale. Nelle politiche del 2003 il
Partito liberal democratico conquistò l’11,7% dei consensi, con sette milioni di voti e 37 seggi. Nel 2007
confermò la sua presenza alla Duma, raggiungendo i 40 seggi e risultando l’unica formazione di destra
con una presenza parlamentare. Nelle recenti elezioni del dicembre 2011, con l’11,68% ha ancora guadagnato
consensi, aumentando di 16 unità la propria rappresentanza.
Tra gli alleati di Zhirinovskij anche il Partito nazional bolscevico, fondato nel 1993 dallo scrittore
Eduard Limonov, le cui bandiere, in un mix incomprensibile a noi occidentali, riproducono in un cerchio
bianco su sfondo rosso una falce e martello. Una realtà ambigua e confusa, tra misticismo, fascismo
e nostalgia per l’Unione sovietica. Una tendenza con cui, non a caso, nei primi anni Novanta, cer -
carono di interfacciarsi alcuni settori del neofascismo europeo. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il
Fronte nazional bolscevico e il cosiddetto Partito Eurasia, fautore di un’alleanza strategica tra russi, eu -
ropei e stati mediorientali (in primo luogo l’Iran), in chiave antiamericana, formatosi nel 2002 per iniziativa
di Aleksandr Dugin, il traduttore in Russia delle opere del principale teorico neonazista italiano, Ju -
lius Evola.

NEOFASCISTI E NEONAZISTI
Il quadro delle organizzazioni apertamente neonazifasciste in Europa si presenta oggi frammentato
in una miriade di sigle, gruppi e associazioni. Un lungo elenco quasi impossibile da dettagliare, con
una vita politica all’insegna di un alto tasso di litigiosità, rapidi declini e continue scomposizioni.
Ciò che va rilevato in questo agglomerato è il fatto che il suo potenziale spazio politico ed elettorale
sia stato occupato, quasi in ogni paese europeo, dalla maggior capacità di attrazione delle formazioni
della destra populista, anche di quelle che, tra mille ambiguità, inizialmente costituitesi come raggruppamenti
nostalgici del passato, hanno in seguito attenuato questa loro caratteristica. Si pensi al Front national
in Francia, al partito di Haider in Austria o a Democrazia svedese. Fanno eccezione, esibendo un
proprio autonomo insediamento elettorale, il British national party in Gran Bretagna, l’Npd (Nationaldemokratische
Partei Deutschlands) in Germania (dopo la riunificazione è entrato in alcuni parlamenti
regionali) e lo Jobbik ungherese, quest’ultimo diventato una sorta di modello da seguire con il suo mix
di radicalismo populista e ideologia nazifascista.
I tentativi, nel corso degli anni, di unire o coordinare quest’area sono tutti rapidamente falliti. Ci pro -
vò nel 1998 Le Pen, promotore di Euronat, nelle intenzioni il riferimento per chi voleva battersi per una
“Europa delle nazioni”, ma senza successo. Già l’anno successivo il progetto naufragò miseramente,
dopo l’iniziale adesione di Forza nuova, del Partito nazionalista slovacco (Slovenská národná strana), del
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Vlaams blok belga, del Fronte ellenico e della spagnola Democracia nacional. L’esperimento fu ritentato
nel 2005, sempre da Le Pen. Nell’occasione vi aderirono la Fiamma tricolore, la Nuova destra olandese,
il British national party, ancora Democracia nacional e un piccolo gruppo svedese.
Con l’ingresso nella Ue di Bulgaria e Romania, con i rispettivi parlamentari di Ataka e Romania mare
(Partito della grande Romania), nel gennaio 2007 Euronat riuscì anche a dar vita a Strasburgo a un
gruppo parlamentare autonomo denominato Identità, Tradizione e Sovranità (Its). Anche in questo
caso il tutto si arenò, già nel novembre successivo, a causa delle dichiarazioni offensive di Alessandra
Mussolini (eletta con Alternativa sociale) nei confronti del popolo rumeno a seguito dell’omicidio a
Roma di una donna italiana da parte di un rom con passaporto rumeno. I cinque deputati di Romania
mare abbandonarono l’Its privando il gruppo parlamentare del numero necessario per continuare a esistere.
Non miglior fortuna ha incontrato il Fronte nazionale europeo (European national front), costituitosi
nel 2002 su iniziativa di Blas Pinar e della Falange spagnola. A questa coordinamento, oltre alla Falange,
aderirono Forza nuova, l’Npd tedesco, la rumena Noua Dreapata e la greca Alleanza patriottica. Da
qualche anno ha praticamente cessato di esistere.
Va inoltre segnalato l’ormai pluridecennale fenomeno delle bande naziskin, non legate necessariamente
a partiti o a organizzazioni politiche, protagoniste, da Est a Ovest, di una innumerevole catena
di aggressioni e omicidi contro immigrati, gay, rom e militanti politici della sinistra, con picchi elevati di
violenza in Germania (solo poche settimane fa il tabloid «Bild», citando fonti delle forze di sicurezza, ha
parlato di 607 feriti nel 2011), ma soprattutto in Russia, dove in questi anni si sono registrati centinaia di
attacchi, spesso mortali, ai danni di immigrati asiatici e caucasici.
Alcune reti, da Blood and honour ad Hammerskin, un network di origine statunitense formatosi verso
la metà degli anni Ottanta, presente con diverse sezioni sul territorio europeo, hanno svolto un lavoro
spesso sotterraneo di raccordo e moltiplicazione di queste esperienze, favorendo la penetrazione di
neonazisti in misura massiccia all’interno delle tifoserie ultras negli stadi di mezza Europa.

IL CASO ITALIANO
Da sottolineare in questo ampio e variegato quadro europeo la specificità del caso italiano, in cui
le destre istituzionali, nella loro gran parte, non sono assimilabili alle formazioni conservatrici di stampo
europeo, prive come sono di una effettiva cultura democratica. Prova ne sono gli accordi elettorali e politici
stretti con formazioni dichiaratamente neofasciste o la riabilitazione, anche con l’intestazione di
piazze o vie, di caduti fascisti parificati a quelli partigiani. Scelte attuate prima da Forza Italia e Alleanza
nazionale, ora dal Pdl con l’apporto sempre decisivo della Lega nord.
La recente scissione di Futuro e libertà non solo non ha mutato questa realtà, ma l’ha ribadita evidenziando
il fallimento sostanziale dei tentativi di evoluzione democratica della destra italiana, a partire
dalla trasformazione dell’Msi in Alleanza nazionale.
Tanto più grave se si considerano le direttrici di sviluppo di ampi settori dell’estrema destra, intenzionate,
da un lato, a rinverdire le gesta del primo movimento fascista (si veda Casa Pound), dall’altro, a
evolversi verso il neonazismo. La tendenza, in questo secondo caso, è all’assunzione in forme sempre
più esplicite di riferimenti storici, mitologie e simbologie tratte dalla storia del Terzo Reich. Non un fat -
to astratto, ma una nuova identità destinata inevitabilmente a produrre conseguenze, riversandosi in una
società a composizione sempre più multietnica e socialmente complessa.
Ci riferiamo alla rivalutazione operata da Forza nuova di alcune formazioni collaborazioniste dei nazisti
negli anni Quaranta: parliamo della Guardia di ferro rumena e delle Croci frecciate ungheresi. Tramite
il sito web di Forza nuova è anche possibile acquistare gadget e magliette con l’effige di Cornelius
Codreanu, il fondatore della Guardia di ferro, rintracciare le spille della divisione delle Waffen-SS belghe
o visionare le bandiere dell’organizzazione con il segno runico del «gancio» o «dente del lupo», utilizzato
nel secondo conflitto mondiale dalla Das Reich e dalla Nederland, due tra le principali divisioni di
combattenti SS.
Ci riferiamo anche all’esaltazione di criminali di guerra come Leon Degrelle, ex generale delle Waffe-
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n-SS, ma soprattutto al rilancio di alcune teorie circa la cospirazione dei circoli finanziari e massonici al -
l’origine dell’attuale crisi economica. Tornano a comparire in Italia sui blog del radicalismo di destra termini
come «plutocrazia», accompagnati dalla pubblicazione delle vignette nazionalsocialiste degli anni
Trenta, con i banchieri e i mercanti con il naso adunco in procinto di spartirsi il mondo.

LUPI SOLITARI
La strage dello scorso 22 luglio a Oslo e sull’isola di Utoya, in Norvegia, 77 vittime, perpetrata da
Anders Behring Breivik, ha profondamente scosso l’opinione pubblica democratica in ogni parte d’Europa.
Il giornalista e scrittore Stieg Larsson, scomparso nel 2004, autore di Uomini che odiano le donne e
fondatore della rivista «Expo», osservatore attento del fenomeno neonazista in Scandinavia, già nel luglio
1999, in un’intervista al quotidiano francese «Liberation», sottolineava come l’evolversi dell’estrema
destra nel Nord Europa si stesse allineando al modello statunitense, con l’azione di individui isolati e di
piccoli gruppi non centralizzati, avendo come obiettivo principale la società multiculturale e la democrazia
con i suoi rappresentanti.
Tornano alla mente i trascorsi sanguinosi degli ultimi due decenni negli Usa: dall’autobomba di Oklahoma
City del 1996 (168 morti e 680 feriti) all’attentato ai giochi olimpici di Atlanta (sempre nel 1996),
all’assassinio nel 2009 del ginecologo abortista George Tiller (a Wichita nel Kansas). Ma anche l’incendio
nel 2010 della moschea di Murfreesboro (Tennessee).
In Italia, a Firenze, il 13 dicembre scorso, un militante di Casa Pound, Giancarlo Casseri, sparando
“nel mucchio” ha assassinato due ambulanti senegalesi, ferendone gravemente un terzo. Come per Breivk
si è sbrigativamente derubricato l’avvenimento come il frutto della pura follia. Ma queste due figure
non sono cresciute isolate, lontane dal radicalismo di destra. Hanno solo portato alle estreme conseguenze
la cultura xenofoba e fascista a cui avevano aderito, ritenendo fosse giunto il momento dello
scontro. Due “lupi solitari”.
Anche la scoperta in Germania, mesi fa, di una cellula terroristica denominata «Clandestinità nazionalsocialista
», in rapporti con l’Npd, responsabile tra il 2000 e il 2007 di ben dieci delitti, di cui nove a
sfondo razziale, in maggior parte piccoli commercianti di origine turca, ci dice di queste tendenze. Una
vicenda inquietante, stante le notizie emerse dalle indagini circa le protezioni godute dalla cellula da par -
te di alcuni ambienti delle forze di sicurezza.

UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA
In uno studio della fondazione Friedrich Ebert sul razzismo e l’intolleranza in Europa, pubblicato
nel marzo scorso, alla domanda posta sull’influenza degli ebrei nei rispettivi paesi, emergeva l’assenso
del 19,7% dei tedeschi, del 21,2% degli italiani, del 27,7% dei francesi, del 49,9% dei polacchi e
del 69,2% degli ungheresi.
Dati su cui riflettere.
Nel passaggio epocale verso società sempre più multiculturali, dentro agli sviluppi dell’attuale crisi
capitalistica, va colto sia l’inquietante riemergere dei miti complottisti e delle antiche ossessioni sulla purezza
della razza e del sangue che pensavamo esserci lasciati alle spalle, sia il pericolo per la convivenza
civile e democratica rappresentato dalle attuali destre populiste e radicali, da Est a Ovest. Nel loro insieme,
per quanto multiformi e differenti, veicolo di oscurantismo, violenza e razzismo.

Note
1) Milza, Pierre, Europa estrema. Il radicalismo di destra dal 1945 ad oggi, Roma, Carocci Editore, 2003.
2) Vidal, Dominique, Le estreme destre alla riscossa, in «Le Monde diplomatique», gennaio 2011.
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3) Scaliati Giuseppe, La destra radicale in Europa. Tra svolte ideologiche e nuovi sviluppi, Acireale-Roma,
Bonanno Editore, 2008.
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