21 febbraio 2013

Perchè Ambrosoli Vincerà in Lombardia.


di Marco Campione e Lia Quartapelle
Complice la coincidenza tra il voto politico e regionale, mai come quest'anno la Lombardia è stata al centro del dibattito elettorale. È stata definita l'Ohio italiano per la competizione del Senato e la sua posta in palio, ma la valenza politica nazionale è anche - forse soprattutto - quella delle regionali.
Una sua vittoria sarebbe la conferma dei passi avanti che il centrosinistraha ha compiuto per essere riconosciuto come interlocutore credibile da un elettorato tradizionalmente ostico. Per la prima volta da quando c'è l'elezione diretta, Maroni e Ambrosoli sono pressoché alla pari. Il centrosinistra ha trovato il candidato giusto per giocarsela e il centrodestra è stato costretto a rifugiarsi in quel che resta della vecchia alleanza: la Lega Nord e il suo segretario. Per questo sarà probabilmente il primo a trionfare sul secondo e non viceversa.

Solo un anno fa sarebbe sembrato un obiettivo impossibile. Cosa è successo? In estrema sintesi, tre cose, che potremmo sintetizzare con tre nomi: Albertini, Zambetti, Formigoni. Tre nomi che sintetizzano tre diversi problemi del centrodestra lombardo e dei quali Ambrosoli ha saputo rappresentare l'esatto opposto, mentre Maroni non ha saputo o voluto incarnare nulla di diverso che la continuità. Vediamo perché.
La candidatura di Gabriele Albertini è quella di un ex sindaco di Milano fuoriuscito dal PDL, che rappresentava fino a poche settimane fa al Parlamento Europeo. Essa evidenzia come la Lombardia sia una regione ancora con un forte orientamento di centrodestra. Le proposte politiche ascrivibili a questo orientamento sono due, una populista l'altra liberale ed europeista. Il bisogno di differenziare l'offerta di questo schieramento, frutto anche di scelte nazionali, sottolinea però quanto sia difficile per loro trovare un orientamento comune di fronte alla crisi economica, che in questi territori sta avendo effetti devastanti sul tessuto produttivo e sociale.
Il centrosinistra, al contrario, ha saputo fare sintesi tra l'anima riformista e quella più radicale, compendiando due caratteristiche che la contraddistinguono e che le consentono di meglio interpretare in questa regione il bipolarismo italico: le primarie e il civismo. Come è stato per Milano, il candidato "civico" non è figlio di una scelta imposta agli elettori dai vertici del centrosinistra, ma si è misurato con il consenso del popolo del centrosinistra in primarie aperte (anzi, apertissime) e contendibili.
Il nome Zambetti ci ricorda invece che in Lombardia si torna al voto dopo due anni di legislatura perché il potere formigoniano si è sgretolato sotto i colpi delle inchieste della magistratura, arrivando alla vergogna di vedere un proprio assessore in galera con l'accusa di aver chiesto i voti alla criminalità organizzata e lo stesso presidente sotto inchiesta per associazione a delinquere. E Maroni, arrivato con la ramazza, non sembra essere poi così diverso da quelli che lo hanno preceduto. Ce lo dimostrano da ultimo le tristi vicende nelle quali è coinvolta Finmeccanica.
Ambrosoli ha opposto a tutto questo la propria storia personale fatta di impegno per trasmettere ai più giovani fiducia nelle regole, la propria specchiata onestà, la propria "ostinazione civica".
Infine Formigoni. Non è solo per i guai giudiziari che stanno caratterizzando il crollo del suo regime che i lombardi stanno pensando di portare aria nuova a Palazzo Lombardia. Formigoni aveva da tempo perso ogni slancio riformatore, limitandosi alla mera gestione dell'ordinaria amministrazione, anzi del potere. Non più una riforma, non più un'idea, non più una proposta, nemmeno proposte sbagliate, da molto, troppo tempo. E i Lombardi lo hanno capito. Anche in questo caso Maroni si pone in continuità con il predecessore (lo confermerebbe all'Expo e vorrebbe con sé alcuni degli attuali assessori, in particolare - ha detto - quello alla Sanità); al contrario, Ambrosoli resta - come scriveva qdR a dicembre - "il più adatto a coniugare la necessaria cesura netta con il passato formigoniano con la garanzia che questa avverrà senza scatenare i peggiori istinti di rivincita".
Il "civico" Ambrosoli, dunque, appare come un candidato che si pone obiettivi molto "politici". E questo non ci sorprende, visto che abbiamo sempre sostenuto come il civismo sia una delle caratteristiche fondamentali di quella bella politica essenziale per sconfiggere ogni populismo, incluso quello grillino.
I lombardi hanno già dato segnali di aver abbandonato in gran numero le vecchie appartenenze. Il responso delle urne ci dirà se è un numero sufficiente a segnare il cambio di regime. Noi siamo ottimisti sull'esito, ma il segnale che la strada lombarda sia quella giusta anche per le scelte nazionali è già nel fatto che la partita sia aperta.

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