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Articolo tratto da Huffington Post Italia
Strage di Nassiriya, 12 novembre 2003. Dieci anni fa l'attacco. Enrico Letta: "Memoria tragica, pensiero alle famiglie"
Sono passati esattamente dieci anni dalla strage di Nassiriya,
il più grave attacco alle truppe italiane dalla fine della Seconda
guerra mondiale a oggi. Diciannove morti italiani, tra civili e
militari, e 9 morti iracheni. Una vicenda su cui, oggi, non c'è più
alcun fascicolo aperto, visto che tutte le inchieste sono state
archiviate. La ferita, però, è ancora aperta, soprattutto per chi
nell'attacco del 12 novembre 2003 perse un padre o un figlio, un marito,
un fratello, un amico.
A loro è dedicato il primo tweet del giorno del premier Enrico Letta:
"Oggi la memoria tragica di Nassiriya. Il pensiero per le famiglie dei
19 italiani e 9 iracheni che perirono. La vicinanza alle forze armate".
Era il 12 novembre 2003 - ore 8.40 italiane,
ore 10.40 a Nassiriya, città irachena a maggioranza sciita e capoluogo
della provincia di Dhi-Qar - il giorno in cui la guerra entrò di nuovo
nelle case degli italiani. Un tremendo attentato, compiuto con un camion
e un'auto imbottiti di esplosivo, devastò la base italiana Maestrale a
Nassiriya e portò la morte tra i militari impegnati nell'operazione
Antica Babilonia.Dodici carabinieri della Msu (Multinational Specialized Unit) uccisi. Morti anche cinque militari dell'Esercito che facevano da scorta alla troupe del regista Stefano Rolla che si trovava a Nassiriya per girare uno sceneggiato sulla ricostruzione da parte dei soldati italiani e si erano fermati lì per una sosta logistica. Morirono anche due componenti civili di una troupe che stavano lavorando a un film. Rimasero uccisi anche 9 iracheni. Feriti una ventina di italiani, tra militari (anche una donna carabiniere) e civili.
Ma sarebbe stato ancor più tremendo se non fosse riuscito, anche se solo in parte, il disperato tentativo di fermare i kamikaze all'ingresso della base, nota anche come Animal House e che durante il regime di Saddam Hussein era sede della Camera di Commercio, sulle rive del fiume Eufrate. Con quell'azione il carabiniere Andrea Filippa, di guardia all'ingresso della base e poi morto anche lui nell'esplosione, riuscì a fermare e uccidere i due attentatori suicidi sul camion, che esplose sul cancello di entrata, evitando così una strage di più ampie proporzioni. L'autobomba ce la fece invece a passare, perché era nascosta dal camion, e a proseguire fin dentro portandosi il suo carico di morte.
L'esplosione - ricordano i testimoni - fu potentissima, fece venir giù gran parte di uno dei due edifici e danneggiò l'altro, quello che era sede del comando. In fiamme anche il deposito delle munizioni della base, e da lì arrivarono nuove esplosioni innescate dall'attentato. L'altra sede del contingente italiano, base Libeccio, era distante poche centinaia di metri dalla prima e venne danneggiata anch'essa dall'esplosione.
I caduti appartenevano a vari reparti dell'Arma dei carabinieri territoriale: 13° reggimento di Gorizia, 7° reggimento Trentino-Alto Adige di Laives, reggimento San Marco, brigata Folgore, 66° reggimento fanteria aeromobile "Trieste", reggimento Savoia cavalleria, reggimento Trasimeno. Morti anche appartenenti alla brigata Sassari dell'Esercito che stavano scortando la troupe cinematografica e 3 militari del 6° reggimento trasporti della brigata logistica di proiezione.
Oggi, nel decimo anniversario della strage, si celebra nella cappella della caserma Montebello dei carabinieri di Milano una messa in onore dei caduti in tutte le missioni internazionali di pace.
Sfogo del maresciallo superstite: "Mi sento abbandonato dallo Stato". Riccardo Saccotelli, maresciallo dei carabinieri in congedo e sopravvissuto alla strage di Nassirya, ha affidato ieri il suo sfogo ai microfoni di Radio 24. "Lo Stato non ha fatto nulla per noi.
Oggi capisco chi diceva 10, 100, 1.000 Nassirya". Nell'attacco Saccotelli ha riportato ferite e per questo ora è in congedo. Lui non ha voluto la medaglia: "è un'offesa alla mia dignità", ha spiegato. "Quella medaglia non vale niente, perché lo Stato si è comportato in modo ambiguo".
"I tre generali indagati (e poi assolti, ndr) hanno ricevuto la più alta onorificenza, l'ordine militare e il cavalierato della Repubblica, a processo ancora in corso", ha ricordato il carabiniere in congedo. "E hanno ricevuto le onorificenze per eventi bellici, anche se nei processi i reati erano stati derubricati a tempo di pace", ha aggiunto. Saccotelli ha raccontato che "prima dell'attentato a maggio 2003 doveva andare in avanzamento". "Invece non ci sono mai andato, mentre gli indagati sì. Oggi capisco chi diceva 10, 100, 1.000 Nassyria. Inizialmente mi rattristavo, ora li capisco, perché lo Stato mi ha abbandonato, nessun premier ha mai voluto incontrare i feriti", ha insistito.
Quanto alla sicurezza della base, al centro del processo, Saccotelli ricorda che "la sera prima dell'attentato, una delle vittime aveva previsto che i prossimi saremmo stati noi". "Noi eravamo lì a difendere i nostri politici. E mi fa ridere che si dica che non si possano dare medaglie perché non era in tempo di guerra", ha concluso Saccotelli.
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