L'italoamericano democratico batte con un margine molto ampio il repubblicano Lhota. Ringrazia la città su Twitter e poi, festeggiando con i suoi sostenitori promette ancora una volta "più uguaglianza". Erano vent'anni che un democratico non guidava l'amministrazione della Grande Mela
NEW YORK - L'urlo dura vent'anni e una notte: il primo exit poll arriva nella grande palestra del Park Slope Armory Ymca un minuto dopo le nove: le percentuali parlano subito chiaro, fanno battere le mani e urlare di gioia. Dopo una vita New York ha di nuovo un sindaco democratico: è Bill de Blasio che con una strategia da manuale della politica prima si è preso le primarie e ora la città. Le grida rimbombano dentro lo stanzone ancora semivuoto: il suo popolo, che si è dato appuntamento qui nel cuore di Brooklyn, preme all'esterno contro le transenne, dentro si abbracciano i volontari, quelli che da mesi aspettano, lavorano e sognano questo attimo da gustare all'infinito. Poi finalmente le porte si aprono, il fiume di gente scorre sorridente e felice, stappa le emozioni: la scaramanzia, la prudenza, i calcoli, i timori per l'affluenza bassa sono l'incubo svanito di un pomeriggio di mezz'autunno.
Dopo appena un'ora arriva la resa ufficiale del rivale repubblicano Joe Lhota che ammette la sconfitta. Un boato copre la musica assordante, gli applausi sono liberatori. Il vincitore affida a twitter il primo commento: "Grazie New York". Una città che lo premia con un plebiscito, tanto che bisogna andare indietro almeno sino al 1985 per trovare un divario simile, una trentina di punti. Lo spinge, come già avvenuto per Obama, l'onda black che lo vota con il 92% dei consensi, poi i latinos che seguono con l'82%. Lui arriva sul palco alle dieci di sera, ringrazia tutti per il lavoro svolto e promette: "Adesso andremo avanti con le nostre idee: più uguaglianza, ora camminiamo uniti. La nostra città non deve lasciare nessuno indietro".
Perché Bill de Blasio non è un moderato, è uno che nel corso della lunga (e spesso velenosa) campagna elettorale si è sentito chiamare in tutti i modi: sandinista per la sua passione giovanile per la rivoluzione in Nicaragua, poi gli dicono anche di tornarsene in Urss. Contro di lui fuoco ad alzo zero: "Vuole riportare il crimine e la violenza nelle strade", lo punge l'ex sceriffo Rudy Giuliani nel tentativo di rivitalizzare uno spento Lhota. E' la reazione dell'ala più conservatrice della società newyorchese, dei suoi giornali, delle sue tv, tutti spaventati dalle riforme rivoluzionarie promesse dal gigante di origini italiane.
La sua tattica è ossessiva e vincente. Parole d'ordine ripetute come un mantra in questi mesi. Senza mai arretrare di un centimetro, nemmeno quando sembrano ad un certo punto controproducenti. L'era Bloomberg è finita, più tasse per i ricchi così da trovare fondi per le scuole pubbliche, le università e gli ospedali. Basta agevolazioni fiscali a costruttori che fanno a gara per ricoprire Manhattan di grattacieli per miliardari (in dollari) e soprattutto un cambio radicale nella politica della polizia, che deve rinunciare allo stop and frisk, la tattica razzista usata per fermare i sospetti (quasi sempre giovani black o latinos). Gli imputano velleitarismo e scarse capacità amministrative. Anche a questo lui replica sereno: "Dicono che sono idee ambiziose, per me sono solo buone idee".
La sala è piena adesso. Sulle note di Empire State of Mind di Jay Z e Alicia Keys parte un coro a ritmare il ritornello, la gente salta. Si abbraccia, piange. E' la fine del tunnel per chi è stato troppo tempo al buio della sconfitta. "Aspettavo questo momento dai tempi di Ed", urla Michael, capelli grigi corti, elegantissimo e felice con la maglietta del suo idolo addosso. Ed sta per Koch, il leggendario sindaco di New York: uno dei modelli di de Blasio. La moglie Clara fa sì con la testa: "Inizia una nuova era per tutti noi. Io amo questa città: ci sono nata, ci sono nati i miei figli e i miei nipoti, ma negli ultimi anni non la riconoscevo più. Troppo egoismo, troppe ingiustizie: adesso basta". Poi ci sono i giovani, tantissimi. Molti di loro non hanno mai avuto un sindaco democratico: "E' incredibile, non riesco ancora a crederci", dice Lorainne che ha 18 anni e ha ottenuto il via libera dei genitori solo perché abita due strade più in là: "Ma tra un po' non resisteranno: saranno qui anche loro", scherza. E infatti il padre Tim sbuca una ventina di minuti dopo: "Io non volevo votare, per me sono tutti uguali. Ma mia figlia ha insistito, mi ha portato ad ascoltare Bill: devo dire che mi piace, ora vediamo se mantiene le promesse".
Arrivano anche le stelle dello spettacolo, quelle che l'hanno sostenuto sin da subito. C'è Steve Buscemi e c'è Susan Sarandon che se ne sta lontana dal palco: "E' un bellissimo momento: finalmente la gente ritroverà la parola e ci sarà qualcuno ad ascoltarla. Ci sarà un po' più di giustizia sociale ed economica, sono contenta che abbia vinto".
Nessun commento:
Posta un commento