«Vi spiego perché gli italiani credono alle bufale»
Dal Corriere della sera di Giovedì 12 maggio 2016
Lo studio di Pagnoncelli sulle percezioni sbagliate
L’ultimo
libro di Nando Pagnoncelli, Dare i numeri.
Povera
Italia! Il 49% è disoccupato! Il 48% ha più di 65 anni! L’età media è di 59
anni! Gli immigrati sono ormai il 26% cioè 15 milioni e mezzo! Il 20% del Paese
è islamico! Aiutooo! Vi chiederete: ma da dove saltano fuori queste bufale?
Questo è il problema: sono le convinzioni degli italiani. Così assurde da
strappare una risata. Se non fossero cavalcate dalla cattiva politica. Nella
scia dei figuri teatrali di Antonio Albanese: il Ministro della Paura e il
Sottosegretario all’Angoscia.
Le percezioni sbagliate sulla realtà
sociale, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane di Bologna, fa sorridere e mette i
brividi. Emerge infatti l’abisso che separa la realtà dalle convinzioni di
tanta parte della popolazione che non sa, non legge, non ascolta con attenzione
giornali radio o telegiornali, non si informa, orecchia qualcosa e si
costruisce un mondo di opinioni granitiche sospese in una bolla di sapone. Il
guaio è che, come spiega nella postfazione Ilvo Diamanti, troppe volte «la
realtà percepita è quella che conta. Cioè: la realtà reale». Un esempio? «Il
71% dei nostri connazionali», scrive Pagnoncelli, «ignora che l’Italia, grazie
alla presenza di oltre quattro milioni di imprese, è il secondo Paese
manifatturiero d’Europa dopo la Germania». Peggio: «Il 17% non ci crede».
Le non-soluzioni
Tutto ciò,
sospira l’Ad di Ipsos Italia, «investe il tema della sfiducia nel futuro, delle
aspettative personali e del rapporto con chi ha responsabilità politiche, a cui
i cittadini chiedono soluzioni». Ma quali soluzioni? Quelle orecchiate negli
sfogatoi familiari, al bar, dal barbiere o dagli ospiti di certe trasmissioni,
da gente tele-dopata che guarda mediamente la tivù 255 minuti al giorno:
quattro ore e mezza. Che salgono a «circa sette ore per le persone di oltre 64
anni, per molte delle quali la televisione svolge il ruolo dell’animale da
compagnia». Il debito pubblico è salito a 2.215 miliardi di euro? La soluzione,
per questi «orecchianti», è tagliare le paghe dei parlamentari e i parlamentari
stessi. Anche se la Camera e il Senato insieme, dal gingerino del bar alla paga
dei barbieri, dai vitalizi alle bollette costano molto meno di un millesimo di
quel debito e i tagli (fossero pure giusti) avrebbero effetti limitatissimi?
«Eeeeh, signora mia, chissà come ce la raccontano...».
Frottole in rete
Ci si mette,
ovvio, anche internet. Un esempio? Una notizia diffusa on line alla vigilia
delle elezioni del 2013: «Ieri il Senato della Repubblica ha approvato con 257
voti a favore e 165 astenuti il disegno di legge del Senatore Cirenga che
prevede la nascita del fondo per i parlamentari in crisi, creato in vista della
imminente fine della legislatura. Questo fondo prevede lo stanziamento di 134
miliardi di euro da destinarsi a tutti i deputati che non troveranno lavoro
nell’anno successivo alla fine del mandato. Rifletti e fai girare». La notizia,
ricorda Pagnoncelli, «era palesemente falsa: il senatore Cirenga non esiste, la
somma dei votanti (257 favorevoli e 165 astenuti) era pari a 422 mentre il
Senato è composto da 320 senatori e infine la cifra stanziata era enorme»: 130
milioni a parlamentare! Una balla spaziale. Eppure «la notizia si diffuse in
modo virale, suscitando la più viva indignazione...».
Il problema: l’ignoranza
Dice lo
studio Ipsos, condotto tra il 2014 e il 2015 prima in 14 e poi in 33 Paesi, che
abbiamo un serio problema: l’ignoranza. E non solo perché, contando la sola
popolazione adulta, il 57% degli italiani è appena alfabetizzato o in possesso
della licenza elementare o al massimo media. È diffuso un «analfabetismo
numerico»: «non hanno dimestichezza con i numeri e le percentuali, faticano ad
orientarsi e a formulare stime corrette, finendo spesso col generalizzare,
amplificando o attenuando significativamente la portata della realtà». Peggio:
si formano nelle loro opinioni sul «sentito dire». Ed ecco i risultati che
dicevamo: la disoccupazione, che pure è alta, è al 12%? Gli italiani sono
convinti che sia addirittura al 49%: il quadruplo. L’Italia invecchia e quelli
con più di 65 anni sono già il 21%? La percezione è che siano il 48%. L’età
media degli abitanti, che negli anni Sessanta era intorno ai trent’anni, è
salita a 44,4? L’idea diffusa è che sia schizzata a 59.
I musulmani «percepiti»
Per non dire
degli immigrati. «Demografia in cifre» dell’Istat certifica che gli stranieri
residenti in Italia (dati 2015) sono 5.014.437 pari a circa l’8% della
popolazione con intere aree geografiche (come le isole) in larga parte esenti
dal fenomeno? Gli italiani «percepiscono» che siano oltre il triplo: il 26%.
Vale a dire, come spiegavamo, 15 milioni e mezzo. E va già meglio che nel 2014
quando, prima di scoprire dalla tivù l’esistenza della rotta balcanica e degli
sbarchi sulle isole greche, questa percezione era ancora più alta: 30%. Come se
avessimo 18 milioni di stranieri! Per non dire dei musulmani. Dice un recente
studio del Viminale, che costretto dal timore di attentati tiene un
monitoraggio continuo della galassia, che gli islamici sono da noi un milione e
550 mila. Meno di un terzo degli immigrati. Meno del 3% della popolazione
totale. Bene: quelli «percepiti» sono sei o sette volte di più: il 20% degli
abitanti. Pari a dodici milioni! Bum! E potete star certi che, messi di fronte
ai numeri reali, molti scuoteranno la testa: «Vai a sapere perché ci viene
nascosta la realtà...».
Scoraggiante.
Tanto più che chi cavalca queste paure se ne infischia di correggerli coi
numeri veri. Anzi, più la gente è convinta che il nostro sia ad esempio un Paese
dove «se esci di casa ti tagliano la gola» (gli omicidi nel 2015 sono stati in
realtà meno di un quinto dei 2.453 del 1981 e in genere degli anni Ottanta) più
il raccolto di voti può essere abbondante. Il populismo, spiega Ilvo Diamanti,
«si accende e si propaga, non per caso, quando la democrazia rappresentativa
fatica a funzionare». E «la dilatazione delle percezioni e delle immagini,
rispetto alla realtà» è un «amplificatore. Che rende l’Italia più esposta,
soprattutto rispetto agli altri Paesi europei». Insomma, proprio perché sono
spesso assurde e sballate, queste percezioni «vanno prese sul serio».
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