Sulbiate, 26 gennaio 2020
Questo è il testo che Daniela Mattavelli ha letto a nome di nipoti e pronipoti tutti.
Desideriamo ringraziare l’Amministrazione Comunale e il Comitato delle Pietre d’Inciampo di Monza e Brianza perché questa iniziativa volta a “fare memoria” e a mettere in guardia le generazioni di oggi e di domani contro il male che l’uomo è capace di coltivare e di compiere, rappresenta per Angelo e per i suoi familiari anche un Atto di Giustizia.
Un piccolo Atto di Giustizia, se lo rapportiamo agli atroci patimenti che Angelo ha dovuto subire, alla sua morte insensata e al dolore che ha lacerato i suoi cari per il resto della loro vita.
Ma, nello stesso tempo, un grande Atto di Giustizia, perché questa pietra con il suo nome scolpito – a restituirgli l’identità strappatagli dalla barbarie nazista - questa mattonella lucente sul selciato, d’ora in poi sarà sotto gli occhi di tutti i passanti, attirerà l’attenzione dei bambini e qualcuno, leggendone l’iscrizione, si domanderà chi era Angelo e forse proverà sentimenti di pietà per la sua giovane vita spezzata.
Angelo era solo un ragazzo di 19 anni che ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Un ragazzo normale, le cui uniche colpe furono il desiderio di aiutare la sua famiglia, il senso del dovere e la speranza di un futuro migliore. Tali erano certamente le motivazioni che lo spinsero ad andare a lavorare in città in una grande fabbrica (la Breda), e – forse – si sentiva fortunato per non essere stato ancora arruolato e mandato a combattere al fronte. Così, mentre infuriava la guerra, lasciando il più tranquillo paesino natio, affrontò i maggiori rischi che inevitabilmente si correvano a Milano, dove nel marzo 1944 si assisteva a una recrudescenza delle rappresaglie tedesche in risposta agli scioperi degli operai nelle maggiori fabbriche.
Angelo non era ebreo. Non era partigiano. Non aveva nessuna di quelle “etichette” che lo avrebbero identificato come un “nemico”. Nella delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 22/04/1980 con la quale l’Amministrazione Comunale di allora, guidata dal Sindaco Brambilla Francesco, decideva di intitolargli una nuova via di Sulbiate (Via Angelo Mattavelli, appunto) leggiamo che “era un giovane semplice, timido che a detta di chi l’ha conosciuto non avrebbe importunato una mosca”. Ma l’assurdità della guerra non guarda in faccia nessuno e non ha risparmiato neppure lui. Fu arrestato sul posto di lavoro, dove era stato assunto 3 giorni prima.
Rinchiuso prima nel carcere di San Vittore e poi in una caserma militare di Bergamo, i suoi fratelli e in particolare la sorella Vittoria, fecero il possibile perché fosse rilasciato, ma fu tutto inutile. Per “motivi precauzionali” fu destinato dal Servizio di Sicurezza delle SS di Milano al campo di Mauthausen in Austria, il solo campo di concentramento classificato di classe 3, come campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro, uno dei più terribili Lager nazisti.
Abbiamo ritrovato negli Archivi Arolsen, un Centro Internazionale sulla Persecuzione Nazista, la scansione della sua scheda di registrazione nel campo di Mauthausen.
In questa scheda, ormai ingiallita dal tempo, nella quale gli veniva assegnato il numero di matricola 61690, sono meticolosamente trascritti i dati personali di Angelo: luogo e data di nascita, indirizzo, stato civile, il nome della madre (Maria Spelta), la sua lingua, la sua religione, e la descrizione del suo aspetto fisico (m. 1,70 di altezza, la corporatura forte, il viso rotondo, gli occhi castani, il naso lungo, la bocca carnosa, le orecchie normali, i denti buoni, i capelli neri...).
Sembra un controsenso che i suoi carnefici volessero raccogliere quante più informazioni possibili su una persona che intendevano uccidere. Che cosa importava loro di come fossero i suoi capelli, gli occhi, il naso e la bocca? Sono proprio questi particolari a rivelare lo spietato disegno degli aguzzini, dei carnefici nazisti: la totale privazione dell’umanità delle vittime imprigionate, annientandone affetti, cancellandone sogni, calpestandone dignità, umiliandone il senso stesso di Esistenza. La morte
del corpo e dello spirito, che avrebbe poi colpito direttamente i cari, i parenti di quei martiri, che si sarebbero trovati tra le mani solo la polvere delle tante speranze per loro costruite e nutrite.
Una sorte che, come sappiamo, toccò a milioni di uomini, donne e bambini. La pagina del registro dei decessi del campo, in cui il nome di Angelo Mattavelli compare col numero progressivo 14315 è una terribile cronaca di morte: in meno di 4 ore, nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1945, la fame, gli stenti, i maltrattamenti e le malattie si portarono via 29 persone.
Perché? Se lo sono chiesto la mamma Maria, le sorelle Vittoria, Carolina, Luigia, i fratelli Mario, Francesco, Domenico, senza trovare una risposta alla loro tragedia familiare che lasciò una ferita forse mai rimarginata.
Perché? Se lo sono chiesto milioni di vittime e milioni di sopravvissuti, di madri, di padri, di figli, di mogli, di mariti, di fratelli, di sorelle.
Perché? Dobbiamo continuare a chiederci oggi e domani, anche noi che – per fortuna – non abbiamo vissuto quegli orrori sulla nostra pelle.
Per quali imperscrutabili motivazioni psicologiche, per quali impenetrabili e recondite vie dell’animo umano, si è arrivati non solo a giustificare la guerra, ma a macchiarsi di crimini per i quali non esistono aggettivi adeguati? Perché?
Forse non riusciremo mai a comprendere la malvagità senza limiti che si annida nei lati oscuri della psiche. Forse non c’è una risposta a questa domanda, ma è necessario continuare a porsela, per evitare che una simile ferocia torni a prendere il sopravvento sull’umanità.
Milioni di vittime ci gridano ancora il loro Perché? E noi abbiamo il dovere personale e
collettivo di ascoltare questo grido e di fare memoria.
Ci auguriamo che le pietre d’inciampo sparse in tutta Europa possano far risuonare la domanda per sempre e colpire le coscienze anche delle donne e degli uomini più distratti.
Ci auguriamo che ognuno di noi arrivi a comprendere l’immenso valore della Libertà e della Pace, che non dobbiamo mai dare per scontati, assolutamente. Sono beni preziosi, fondati sul sacrificio, anche estremo, delle generazioni che ci hanno preceduto e occorre sempre vigilare, per mantenerli in essere.
I nipoti e i pronipoti di Angelo Mattavelli
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