1. LA DISOCCUPAZIONE BATTE ALLE PORTE. DA TEMPO IL PD SUONA L’ALLARME, MENTRE LA DESTRA STENDEVA UN VELO DI MENZOGNE. OGGI L’INCONTRO SINDACATI- IMPRENDITORI, DOMANI PARTI SOCIALI E GOVERNO. DUE INDUSTRIALI SU TRE: L’ARTICOLO 18 NON C’ENTRA.
L`Istat comunica che a dicembre il numero dei disoccupati in Italia ha toccato i 2,243 milioni, in aumento dello 0,9% su novembre e del 10,9% su base annua (cioè rispetto al dicembre 2010). È il dato peggiore dal gennaio 2004 (cioè da quando sono cominciate le serie storiche mensili) e se si fa riferimento alle serie trimestrali si torna addirittura ai livelli di 10 anni fa (primo trimestre del 2001). Il tasso di disoccupazione a dicembre è risultato all`8,9%, in rialzo di 0,1 punti percentuali su novembre e di 0,8 punti su dicembre 2010. Anche in questo caso si tratta del dato peggiore dal gennaio 2004, o dal terzo trimestre 2001 osservando le serie storiche trimestrali. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a dicembre è al 31%, in calo di 0,2 punti percentuali su novembre, ma in aumento di 3 punti su dicembre 2010. La disoccupazione giovanile da settembre 2011 ha messo a segno un balzo che ha portato il tasso a superare per la prima volta la soglia del 30% e a novembre ha registrato il livello record del 31,2%, da cui poco è regredito a dicembre. Dal 2004 non era mai accaduto che il tasso di disoccupazione dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni stazionasse su questi livelli.
Se non ci fosse stata la cassa integrazione guadagni speciale, che copre una parte di coloro che sono fuori dal lavoro ma li considera ancora collegati alla propria azienda, il numero dei disoccupati sarebbe in esplosione in Italia.
Da almeno due anni il Pd e i suoi dirigenti suonano l’allarme per la crisi in arrivo, facendo proposte di intervento in politica economica e invitando il governo ad agire. L’Italia è stata invece cloroformizzata dal centrodestra (e da gran parte della stampa che ha sempre assecondato il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e le affermazioni di Berlusconi): Berlusconi e Bossi non hanno fatto nulla, se non favorire i più ricchi, gli evasori, le corporazioni. Adesso tutti ne pagano il risultato.
Oggi imprenditori e sindacati si incontrano per delineare una posizione comune in vista del confronto di domani tra parti sociali e governo sulla riforma del mercato del lavoro, sulla precarietà da ridurre, sul’occupazione e la formazione.
Da La Stampa. Indagine tra gli imprenditori. “Né totem né tabù, ma nemmeno la chiave magica che riuscirà ad aprire le porte della riforma del lavoro. I manager italiani sdrammatizzano il peso dell’articolo 18, indicando la strada per un nuovo patto tra aziende e lavoratori. L`articolo 18 non è un tabù, ma da solo non serve più. La maggioranza degli 850 dirigenti e quadri intervistati rivela un atteggiamento pragmatico e laico verso quello che è diventato un territorio di crociate e di battaglie spesso ideologiche e riporta i problemi con i piedi per terra. Come risulta dall`indagine realizzata dall`associazione Manageritalia, che rappresenta oltre 35 mila direttori e capi d`impresa, con la collaborazione di Astra Ricerche, due manager su tre affermano che non è l`articolo 18 a impedire alle imprese di assumere personale (concorda con questa opinione il 61,7% degli intervistati).
I dirigenti indicano con chiarezza quelle che dovrebbero essere le vere tutele in un moderno sistema del lavoro. Secondo l`86,7% degli interpellati, infatti, il punto critico è la forte competizione e l`obsolescenza di alcune professionalità, che vanno sostituite rapidamente, ma ciò deve e può avvenire solo con una riforma più ampia e complessiva del mercato del lavoro. Per questo, nove manager su dieci ritengono che compito delle aziende sia soprattutto assicurare e mantenere le competenze professionali dei propri lavoratori, con una crescita e una riconversione verso le nuove esigenze; mentre più di tre intervistati su quattro ritengono che compito del sindacato sia quello non tanto di difendere il singolo posto, ma il lavoro, l`occupabilità e la professionalità dei lavoratori. Infine, l`83,4% ritiene che sia compito di aziende e sindacati quello di aiutare i singoli ad avere cura del loro sviluppo professionale. L`articolo 18 è un falso problema, affermano quattro manager su dieci. Il fronte dei dirigenti si divide poi grosso modo in due parti uguali nel rispondere sulla difendibilità o meno in questa fase storica dell`articolo 18, per la spinta della competizione globale. Ma mantiene anche una relativa omogeneità nel rilevare i difetti che il limite dei 15 dipendenti ha creato….”.
2. DAY AFTER DEGLI ACCORDI EUROPEI. BENE MONTI. MA L’EUROPA COSI’ RISCHIA.
Da Il Sole 24 Ore. Articolo di Martin Wolf. “Le autorità economiche sono le più ottimiste rispetto a due mesi fa. Il motivo principale di questa maggiore fiducia è la convinzione che la Banca centrale europea, sotto l`accorta guida di Mario Draghi, abbia eliminato il rischio di un`implosione finanziaria dell`eurozona. Come ha osservato Mark Carney, stimato governatore della Banca del Canada nonché successore di Draghi a capo del Financial stability board, al Forum economico mondiale di Davos: «Non ci sarà un evento devastante come la Lehman in Europa. Questo conta». Gli spread sui Cds delle banche italiane e spagnole sono diminuiti da quando la Bce, a dicembre, ha dato il via alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine per tre anni. Anche gli spread fra i rendimenti dei titoli di Stato di alcuni Paesi a rischio e i Bund tedeschi sono scesi. Significa che la crisi dell`euro è finita? Assolutamente no. La Bce ha salvato l`eurozona da un arresto cardiaco, ma i suoi membri hanno davanti una lunga convalescenza, resa ancora più impervia dall`ostinazione che la medicina giusta peri pazienti malati sia chiudere i rubinetti della spesa pubblica. La revisione al ribasso delle previsioni del Fondo monetario internazionale, la settimana scorsa, mostra i pericoli. L`Fmi prevede per quest`anno una recessione nell`eurozona, con un calo del prodotto interno lordo complessivo dello 0,5%. Il Pil dovrebbe registrare un brusco arretramento in Italia e in Spagna e rimanere al palo in Francia e in Germania: un contesto terribile per Paesi che cercano di ridurre il loro deficit. Anche per altri Paesi ad alto reddito le previsioni sono tutt`altro che soddisfacenti, ma l`eurozona è l`area di maggior pericolo dell`economia mondiale: solo qui si vedono Stati importanti come Italia e Spagna che corrono il rischio di perdere il credito dei mercati. Fuori dall`eurozona i Governi di Paesi ad alto reddito possono continuare a sostenere l`economia, soprattutto perché dispongono di una Banca centrale e di un tasso di cambio aggiustabile. Grazie a questi, due aspetti, sono in grado di sopportare deficit di grande portata. Nelle condizioni del dopo-crisi, questi deficit sono il corrispettivo naturale e il principale fattore che agevola il necessario del everaging del settore privato. L`eurozona non dispone di questi meccanismi interni.
Quando si è prosciugato il canale di finanziamento del settore privato esterno, come è successo a diversi Paesi, gli Stati membri colpiti si sono trovati ad aver bisogno sul breve termine di finanziamenti e sul lungo termine di un meccanismo per correggere il saldo con l`estero che non sia semplicemente passare attraverso una pesante recessione. L`eurozona non possiede nessuna della due cose e si è scoperto che ha pochi strumenti per affrontare il malessere finanziario globale. Come ha osservato a Davos Donald Tsang, capo dell`esecutivo di Hong Kong: «Non sono mai stato spaventato come adesso». Gli osservatori più acuti hanno la sensazione che sfamo a un passo da un`ondata di default di banche e Stati sovrani all`interno dell`eurozona, con funeste ripercussioni a livello globale.
La Bce ha ridotto il rischio di un tracollo immediato del settore bancario. Ma dall`esterno si chiede un argine più robusto contro l`eventualità che un crack della Grecia, che comporterebbe anche un`uscita di Atene dall`euro, scateni il panico sulle prospettive di Paesi ben più importanti. Christine Lagarde, direttrice generale dell`Fmi, in un coraggioso discorso pronunciato a Berlino la settimana scorsa ha fatto di questo punto uno dei suoi tre imperativi, insieme a una crescita più forte e a una maggiore integrazione. Quello che da fuori vogliono vedere è un impegno a garantire ai Paesi vulnerabili dell`eurozona il tempo e le cure necessarie per recuperare. Naturalmente vogliono vedere anche, da parte dell`eurozona, uno stanziamento di risorse che faccia capire chiaramente che i suoi membri sono determinati a garantire un esito di questo tipo. Solo in questo caso avrebbe senso che un Fmi potenziato aggiungesse il suo contributo. Perché un Paese relativamente povero, come la Cina, dovrebbe contribuire a salvare un`eurozona che ha dimostrato scarsa volontà o capacità di guarirsi da sola? Purtroppo non è solo un problema di volontà, ma di mancanza di una diagnosi corretta. E questo è un problema a cui la Bce non può porre rimedio. La Germania, in quanto Paese creditore, è contraria a un`"unione dei trasferimenti" e insiste che la disciplina di bilancio è tutto. Ha ragione sul primo punto e torto sul secondo. Un trasferimento di risorse a lungo termine a Stati membri non competitivi sarebbe un disastro: debiliterebbe chi lo riceve e manderebbe in rovina chi lo eroga. Ma l`indisciplina di bilancio non è l`unico problema. Così come non è stata la causa principale del disastro, provocato semmai dal credito allegro e dall`improvvido indebitamento del settore privato, la disciplina di bilancio non è la cura. Questo tentativo di riabilitare la catastrofica austerity di Heinrich Briining, cancelliere tedesco dal 1930 al1932, fa venire i brividi. La prospettiva incarnata nel patto di bilancio - a sua volta un tentativo di rilanciare il fallimentare patto di stabilità e crescita - difetta dell`indispensabile presa di coscienza che la produzione di uno Stato membro dipende dalla domanda di altri Stati membri, del ruolo giocato dagli squilibri nella bilancia dei pagamenti e del fatto che la competitività è sempre relativa: se l`Italia e la Spagna vogliono diventare più competitive all`interno dell`area euro, la Germania o l`Olanda dovranno diventarlo meno. Inoltre, se il settore privato è in surplus finanziario strutturale per ridurre l`indebitamento, le autorità possono eliminare il deficit di bilancio strutturale se, e solo se, la nazione è in attivo strutturale nel saldo con l`estero. La Germania dovrebbe capirlo bene, perché è esattamente quello che sta facendo. I Paesi colpiti da una crisi finanziaria hanno quasi sempre un settore privato in forte surplus; per riuscire a eliminare il disavanzo di bilancio strutturale anche loro
devono andare in attivo nel saldo con l`estero, proprio come la Germania. Ma non possono essere in attivo tutti gli Stati membri, a meno che non lo sia l`eurozona nel suoinsieme. È impossibile per i singoli Paesi guarire senza cambiamenti compensativi inaltriPaesi. Come ha detto la signora Lagarde, «ricorrere a tagli di bilancio a tutto campo e in tutto il continente non farà che aggravare le pressioni recessive». Il risanamento dei conti pubblici dev`essere selettivo. Ma soprattutto, l`indicazione che il processo di aggiustamento sta funzionando - rendendo inutili i trasferimenti monetari a lungo termine che la Germania giustamente vede come il fumo negli occhi - dovrebbe essere una vivacità della domanda nel cuore dell`eurozona, con un`inflazione ben al di sopra della media: un`immagine speculare di quello che succedeva prima della crisi. La più convinta nota di ottimismo sull`eurozona che ho ascoltato a Davos faceva leva sugli effetti catastrofici di una rottura dell`euro. Ma la gente disperata fa cose disperate. Gli Stati membri ora hanno bisogno di avere il tempo e l`opportunità per realizzare l`aggiustamento. Gli argini robusti possono garantire il tempo, ma solo una variazione della competitività può garantire l`opportunità. Senza entrambe le cose, la crisi tornerà sicuramente sui nostri schermi”.
3. CASO LUSI. RIGORE E NIENTE SCONTI. IL PD RIUNISCE LA COMMISSIONE DI GARANZIA.
Il Segretario del PD, Pier Luigi Bersani ha assicurato ieri che il caso di Luigi Lusi, Tesoriere della Margherita e ora senatore del PD, indagato dalla Procura di Roma per irregolarità nel bilancio della Margherita, sarà valutato con il massimo rigore dagli organismi di garanzia del Pd. "Stiamo raccogliendo gli elementi e la vicenda finirà alla Commissione di Garanzia, che deciderà in proporzione alle responsabilità di Lusi", ha spiegato Bersani ai cronisti in Transatlantico. "La Commissione - ha ricordato - ha tanti provvedimenti a disposizione, che verranno adottati secondo la gravità della questione. Come PD - ha assicurato - non facciamo sconti a nessuno. Abbiamo le nostre procedure che verranno applicate rigorosamente". Inoltre Bersani ha tenuto a ricordare che l'inchiesta riguarda l'attività di Lusi da tesoriere della Margherita e non come senatore del Partito democratico. "Se parliamo del PD, non ne sappiamo niente come appare chiaro a tutti - ha sottolineato - detto questo, personalmente sono piuttosto sorpreso e certo non gradevolmente".
Il Tesoriere del Parito Democratico, Antonio Misiani, ha precisato che "gli unici rapporti economici tra PD e Margherita, che sono soggetti giuridicamente distinti, riguardano i pagamenti che il PD effettua regolarmente ed esclusivamente per il subaffitto e per le spese di gestione della sede di via Sant’Andrea delle Fratte".
Anna Finocchiaro, presidente del gruppo parlamentare del Pd al Senato, ha chiesto al senatore Luigi Lusi, attraverso una lettera inviata ieri, "di dimettersi dal Gruppo del PD e da tutti gli incarichi che, in ragione di tale appartenenza, ricopre a Palazzo Madama".
Il presidente del partito, Rosy Bindi, ha parlato ieri di “una storia sconcertante, che provoca tanta amarezza e tanta tristezza. Rispetteremo, come sempre, il lavoro dei magistrati ma intanto ha fatto bene la presidente Finocchiaro a chiedere al senatore Lusi le dimissioni dal gruppo Pd. Il Pd ha un codice etico e procedure rigorose che saranno applicate anche in questa circostanza, come ha ricordato il segretario Bersani. Del resto è già stata convocata la Commissione di garanzia. Questa vicenda ripropone
l’urgenza di varare una legge, in attuazione dell’art. 49 della Costituzione, che regoli la vita dei partiti, prevedendo nuove norme per il finanziamento pubblico e procedure efficaci di controllo sull’utilizzo delle risorse”.
L’Ufficio Stampa del PD ha reso noto ieri che il presidente della Commissione nazionale di Garanzia del PD, Luigi Berlinguer, ha convocato la Commissione per svolgere tempestivamente l’istruttoria sulla vicenda del senatore del PD Lusi e verificare se risultano attendibili le informazioni apparse oggi sulla stampa. Ove così fosse, la Commissione prenderà tutte le misure previste dallo Statuto e dal codice etico del Partito democratico.
Memento: il Pd è l’unico partito italiano ad avere il bilancio certificato da una primaria società di revisione.
4. RAI. VERSO UNA MOBILITAZIONE DI TUTTO IL PD CONTRO L’OCCUPAZIONE DELLA RAI DA PARTE DELLA DESTRA.
Il Consiglio di amministrazione ha deciso ieri a maggioranza di nominare Maccari direttore del Tg1 e Casarin direttore della Tgr, cioè l’insieme delle redazioni regionali della Rai, forti di centinaia di giornalisti su tutto il territorio nazionale. La decisione è scaturita da una proposta del direttore generale della Rai, Lorenza Lei, chiaramente suggerita dal centro destra di Berlusconi e Bossi: ci sono le elezioni amministrative e ancora non è chiaro se la destra del Pdl, Berlusconi compreso, riuscirà a reggere ancora per molto il governo Monti. Così, in vista del voto amministrativo, o anche di un voto politico dovuto alla decisione di Berlusconi di far saltare il tavolo del governo Monti, la destra intanto ha creduto bene di perpetuare l’occupazione della Rai.
Il consigliere Rizzo Nervo per protesta contro questa decisione del Cda si è dimesso. Il Partito democratico, che ha da tempo denunciato la necessità di una riforma del sistema di governo della Rai, ha deciso di organizzare una forte mobilitazione.
Da Il Messaggero. “Pier Luigi Bersani in mattinata aveva sollecitato il ministero del Tesoro, azionista Rai al 99%, a intervenire sul proprio rappresentante in Cda Angelo Patroni. Tentativo senza esito e ora, dopo le nomine, parte la battaglia sulla tv pubblica. «Non resteremo con le mani in mano. Non staremo di certo fermi davanti a coloro che vogliono vedere distrutta un`azienda pubblica», commenta il leader democrat. E il Pd sta già organizzandosi per iniziative di mobilitazione. «Lorenza Lei - dichiara il responsabile comunicazione del partito Matteo Orfini - ha scritto la pagina più nera della storia della Rai. Il direttore del principale tg italiano è stato nominato con il voto decisivo di un parlamentare del Pdl in carica. Una forzatura assurda che umilia chi crede nel servizio pubblico e i cittadini italiani». Antonio Di Pietro aggiunge: «La misura è colma. Adesso anche il governo faccia la sua parte e restituisca dignità al servizio pubblico della Rai defenestrando í partiti dalla gestione dell`azienda. L`Italia dei Valori non ha mai voluto partecipare a questa ignobile spartizione di poltrone nel Cda, nei tg, né tantomeno nelle trasmissioni delle tre reti.
Chiediamo a tutte le forze politiche che in queste ore stanno denunciando un`inaccettabile aggressione alla Rai, di passare dalle parole ai fatti e di fare un passo indietro per il bene del Paese». «Sono senza parole. Quello che si è consumato stasera nel Cda della. Rai è uno scandalo lungamente preparato ed annunciato. Il servizio pubblico dell`informazione ancora una volta è umiliato dalla protervia di un potere politico volgare e dozzinalmente padronale», dichiara a sua volta anche il presidente di
Sinistra ecologia e libertà, Nichi Vendola. La replica politica dal fronte dei vincitori di giornata è affidata a Maurizio Gasparri, padre della legge con la quale si sceglie attualmente la governance Rai, ora presidente dei senatori Pdl. «Bersanì usa sulla Rai il linguaggio della minaccia e della protervia» - dice - la smetta. Rispetti le decisioni del consiglio di amministrazione, rilegga le sentenze della Corte Costituzionale e si renda conto che la sua arroganza non lo porterà da nessuna parte. Quel che lui dice è falso. Quel che propone è illegale».
E se il democrat Paolo Gentiloni plaude alla scelta di Rizzo Nervo, Alessio Butti del Pdl risponde: «Difficile, anche sforzandoci. sentire la mancanza di Rizzo Nervo. In realtà con suo comportamento ci ricorda un po` quei bambini che vogliono decidere le regole del gioco e il risultato, ma poi una volta perso vorrebbero portarsi il pallone a casa per impedire di giocare. Queste dimissioni - aggiunge - sarebbero state un coup de theatre se fossero arrivate prima, adesso valgono a poco. Ad un mese e mezzo dalla fine del mandato non hanno senso». Per il leghista Davide Caparini, «è stata premiata la professionalità e garantita l`azienda da possibili ricorsi (quello di Augusto Minzolini per la poltrona del Tg1, ndr)». Ma lo scontro non è solo politico o nella governance aziendale. Contro la gestione Lei, dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi del sindacato dirigenti, torna alla carica la rappresentanza dei giornalisti. «Il Cda ha autocertificato la fine di una negativa esperienza. Il voto 5 a 4 è il capolinea di ogni tentativo di trovare soluzioni condivise nell`interesse dell`azienda e non dei partiti di riferimento dei consiglieri», dichiara il segretario Usigrai Carlo Verna. «È ancor più chiaro aggiunge - che senza il cambio della legge sulla governance la Rai muore. Con questo vertice non trattiamo più. Quando e se saremo, come da obbligo contrattuale convocati, ci presenteremo consegnando l`avvio della procedura di sciopero».
5. VALORE LEGALE TITOLO DI STUDIO. DIBATTITO APERTO. GIARDA E BERLINGUER.
Da Il Mattino. Articolo del ministro Piero Giarda. “Il valore legale del titolo di laurea è praticamente un unicum nel mondo accademico internazionale. Si tratta di una categoria filosofica con qualche risvolto pratico e di questi vale la pena discutere. Ce ne sono tre.
Il primo è costituito dal fatto che spesso nei contratti collettivi di lavoro, soprattutto per il settore pubblico, il conseguimento della laurea attiva un passaggio automatico di carriera o di livello retributivo. Non sorprende che in numerose facoltà e corsi di laurea si incontrino studenti avanti negli anni che frequentano e sostengono esami nell`obiettivo di una laurea triennale da far valere per gli avanzamenti di posizione. Il secondo è costituito dal fatto che spesso i concorsi pubblici hanno come prerequisito, per certe carriere, il possesso di una laurea; con un subalterno che in qualche caso è richiesto, per l`ammissione al concorso, un voto minimo di laurea. Il terzo è che nei concorsi pubblici per titoli ed esami – ai quali si acceda solo con una laurea spesso il voto di laurea costituisce titolo il cui peso nella valutazione complessiva dei titoli del candidato è a volte fissato dal bando di concorso, altre volte lasciato alla discrezionalità della commissione. Nel settore privato, invece, il possesso della laurea e il voto di laurea costituiscono solo un indicatore che l`impresa considera nelle scelte di assunzione. Primi commenti. Sembra assai poco logico, oltre che molto inefficiente, che l`acquisizione di una laurea comporti automaticamente uno scatto di carriera o di retribuzione, mentre non c`è nulla di illogico che per l`accesso a certe posizioni o carriere nella pubblica amministrazione venga richiesta una particolare
laurea. Restano da chiarire le questioni sull`utilizzo del voto di laurea come criterio per l`ammissione a prove d`esame di un concorso, oppure come titolo per il computo del punteggio che determina i vincitori di concorso. Tali questioni sono relative alle difformità degli ordinamenti nelle singole università che poi rilasciano titoli formalmente identici. È esperienza comune che i voti di laurea, anche per singoli indirizzi di studi o facoltà, siano tra di loro difficilmente confrontabili. Nella facoltà di economia dell`università X solo i1 5 per cento degli studenti arriva al 110 e un altro 10 per cento si colloca tra il 100 e il 109. Nella stessa facoltà dell`università Y le percentuali sono del 15 e del 20 per cento. È molto improbabile che gli studenti di Y siano mediamente più intelligenti e preparati degli studenti di X. Il problema sono i professori, le tradizioni e le usanze: nell`università Y il sistema è più generoso. Lo stesso studente nelle due università X e Y avrebbe due voti di laurea molto diversi tra di loro. Non è grave se lauree rilasciate da università diverse vengono trattate allo stesso modo, quando costituiscono solo un requisito per l`accesso al concorso. Un po` più serio è il problema quando l`accesso a un concorso è condizionato dal possesso di una laurea con un voto minimo (per esempio superiore a 99/110). In questo caso un bravo, ma non eccellente, studente dell`università X non può accedervi mentre un suo coetaneo di pari preparazione dell`università Y, che magari ha conseguito la laurea con il voto di 108/110, può accedervi.
È opportuno continuare ad utilizzare il voto di laurea come titolo per concorsi? Questo aspetto è il cuore della proposizione «valore legale del titolo di laurea» che si basa sull`assioma amministrativo secondo cui le università italiane sono dei cloni uniformi di un modello fissato dalla legge. Ma è evidente che questo principio è del tutto infondato e le statistiche lo dimostrano. L`utilizzo del voto di laurea come titolo per giudicare l`idoneità o le capacità di laureati provenienti da università diverse può generare disparità di trattamento perché attribuisce lo stesso peso a contenuti formativi potenzialmente molto diversi. Sarebbe come far pagare una uguale imposta sul reddito a soggetti che hanno un reddito diverso. Per rimuovere gran parte del «valore legale» è quindi sufficiente, per iniziare, vietare l`utilizzo del voto di laurea come titolo (o ridurne al minimo il peso) e vietare avanzamenti di carriera per effetto della sola acquisizione della laurea”.
Da Europa. Articolo di Luigi Berlinguer. “Caro direttore, nel dibattito, anche quello meritoriamente promosso da Europa, occorre tenere distinte la funzione formativa da quella professionale. L’università ha il compito della formazione dei cittadini per lo svolgimento delle alte professioni e la società, lo stato, il potere pubblico, le imprese devono presiedere alle forme di utilizzazione degli alti quadri e dei professionisti. Ciò che deve essere impedito (anzi, scongiurato) è l`automatismo tra il possesso di un titolo di studio e l`impegno nella funzione o nella professione. Per l`esercizio del lavoro, l`utilizzatore deve sempre - sempre - procedere ad una sua verifica "indipendente". Mentre la Costituzione prevede il concorso per l`impiego pubblico, nelle altre funzioni "private" tale compito spetta ai soggetti economici. È questione che richiede drastiche misure di riforma. Prima tra tutte la cancellazione degli automatismi perché è evidente come la prassi italiana abbia, ad oggi, concesso in questo senso davvero troppo. Riassumere tutto ciò nella formula dell`abolizione del valore legale del titolo di studio è però, a mio parere, fuorviante. Sugli aspetti giuridici della questione rimando a quanto scritto, in modo esaustivo, da
Sabino Cassese. Come è possibile che l`università possa erogare titoli di studio privi di valore legale? Si provi a chiedere cosa pensino un genitore o uno studente in procinto di iscriversi all`università della prospettiva del "pezzo di carta" senza valore (questo e non altro sarebbe il messaggio lanciato nella, spesso dannosa, semplificazione mediatica). In una parte rilevante della società italiana ci sarebbe sconcerto (forse anche angoscia). Ritengo sbagliato insistere nello slogan e, parallelamente, doppiamente sbagliato non intervenire per eliminare gli automatismi. Come spiegare una eventuale abolizione del valore legale della laurea in medicina e un eventuale esercizio della professione medica sostanzialmente senza quel titolo? E lo stesso tema si potrebbe declinare per chi dovrà costruire un ponte (ingegneria), giudicare un reato (giurisprudenza). Le lauree sono necessarie con tutto il loro valore ma non possono certo abilitare alle professioni automaticamente né favorire gli scattidi carriera né coprire le molte forme di corporativismo che rinunciano alla verifica della effettiva capacità professionale degli aspiranti. L’istruzione è un bene pubblico da difendere energicamente, chiunque eroghi il titolo. Per valorizzare il merito occorre piuttosto cambiare mentalità sulle forme di reclutamento, superando formalismi e automatismi. In primo luogo, valutando i risultati e i voti di laurea attraverso la verifica con la prova d`ingresso nell`esercizio del lavoro. E, ancora, precisando il concetto stesso di concorso che in Italia è declinato ancor oggi in una dimensione prevalentemente formale e che spesso, molto spesso, non è in grado di valutare le vere capacità del concorrente. Un esempio può aiutare a capire meglio la dimensione del fenomeno: è in corso, come è noto, un ampio reclutamento di presidi scolastici. Per la "valutazione" sono state individuate prove del tutto esterne (test, bandi...) che guardano essenzialmente alla conoscenza del diritto amministrativo. Prove formali che non diranno se il vincitore saprà davvero gestire una scuola. In simili circostanze occorre certamente verificare con rigore lo spessore culturale del candidato, ma insieme la sua propensione e la sua capacità di direzione e di coordinamento in un rapporto con una struttura complessa quale oggi è una scuola. Concludo sulle misure da adottare. Prima di tutto occorre sostenere e far crescere il metodo della valutazione del sistema universitario, reso oggi imprescindibile dalla presenza del paese in Europa, dallo spazio europeo dell`istruzione superiore (Ehea) nel quale si deve raggiungere una fiducia reciproca tra i diversi sistemi universitari nazionali per tagliare il traguardo della validità della singola laurea in tutti i paesi europei. Su questo crinale si richiede la verifica dei Learning outcames, i risultati dell`apprendimento, attraverso il Quality assurance register (ovvero la verifica permanente della qualità). In tal modo, si determina una legittima emulazione tra atenei e tra corsi di laurea, perché attraverso l`osservazione continua si è costretti alla valutazione permanente dei risultati. I principi, già introdotti, di accreditamento dei nuovi corsi di laurea (insieme alla ricognizione di quelli esistenti) aiutano tale percorso e sanciscono che l`istruzione è un bene pubblico e la verifica della possibilità di titoli con valore legale spetta, conseguentemente, al potere pubblico. Un tempo nell`università d`élite funzionava l`orgoglio scientifico dell`accademico quale presidio della qualità. Oggi che, per fortuna, l`università è anche un grande bene sociale - Europa 2020 prescrive alt Italia di laureare il 40 per cento della leva d`età - la valutazione permanente interna ed esterna è necessità inderogabile
Nessun commento:
Posta un commento